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Attualità domenica 23 agosto 2020 ore 07:00

Le strade della mia città

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia “Le strade della mia città” di Gordiano Lupi. Foto di Riccardo Marchionni



PIOMBINO — Adesso che riassaporo le strade della mia città, ogni volta che passo dal centro, mi rendo conto di quante cose abbiamo perduto, di ciò che dovremmo recuperare, del troppo che non siamo più in grado di fare. Sì, pure lo stadio Magona, chiaro, il tempio della mia vita, il luogo dove ho santificato lo scorrere dei giorni, ma non solo il calcio è importante. C’era una libreria storica in via Tellini, dove si potevano incontrare i libri più strani, non soltanto best-seller, aveva un reparto sopraelevato, una sorta di impalcatura reduce dagli anni Settanta, che conteneva poesia e teatro, persino arte e cinema. Era una libreria d’epoca, che organizzava presentazioni, incontri, mandava avanti una rivista e una casa editrice. Libreria La Bancarella, si chiamava, ricordo di averci conosciuto Aldo Zelli e un sacco di altra gente meno famosa che faceva cose per la nostra città. Era una libreria indipendente che rendeva speciale una via anonima, a metà strada tra piazza Dante e il vecchio cinema Odeon. Un piccolo pezzo di cuore che abbiamo perduto, trasformato in appartamenti inutili, ridipinto di tempera bianca e reso incolore. Non più poesia e teatro ma aride case in affitto e fondi commerciali, uffici oscuri, stanze di vita quotidiana prive di passione. La libreria era figlia d’un tempo che stiamo perdendo, di dibattiti e passioni, impegno civile e diversità che significa valore. Per i libri, adesso, basta uno spaccio collettivo in un supermercato per adeguare alle mode gusti unificati, come accade per il cinema. Libreria la Bancarella e Circolino delle Acciaierie, due momenti d’una stessa sconfitta, nella prima trovavi libri originali, nel secondo film e spettacoli che altrove non passavano. Ma non serve rimpiangere, sarebbe il caso di lottare per recuperare, per cercare di salvare il salvabile. Ricordo il vecchio cinema Sempione, teatro delle mie giornate di bambino, dei doppi spettacoli domenicali, capace di abbinare Totò e Godzilla in un unico interminabile pomeriggio, di propinarci cartoni animati a ripetizione, classici in costume o romanzi d’amore, le prime storie di James Bond digerite tra pacchetti di semi, noccioline, lupini e stringhe di liquirizia. Un cinema abbandonato, che per anni è stato immagine di decadenza nella via principale, annerito e corroso dal tempo, dove danzavano topi tra pezzi di celluloide, resti di finti baci cinematografici, sedili di legno e palcoscenico distrutto. Le passate emozioni non si perdono, restano nascoste tra le file immaginarie dei posti in platea, nella piccola balconata e in galleria, dove lanciare bucce di semi in testa a chi stava al piano inferiore era lo sport praticato da ragazzini irrequieti. Cinema Sempione, mausoleo del nulla, adesso anonima profumeria intrappolata nella vita di paese, nel viavai di ragazzi e ragazze che si prendono per mano, memore del passato e di tanti rimpianti. Conobbi il cinema Sempione grazie a mia nonna, avida consumatrice di pellicole, ero un bambino che ancora non andava a scuola quando varcai quel magico portale per la prima volta, ricordo film indimenticabili con Franco e Ciccio, pellicole di romani - chi sapeva che si chiamavano peplum? -, commedie con Totò, persino Stanlio e Ollio, tutti impressi saldamente nel mio cuore. Era il cinema operaio, della povera gente, dei figli di chi lavorava all’Ilva o in Magona, dai prezzi popolari per passare il pomeriggio del sabato e pure la domenica, se non c’era la partita di calcio. Attendevamo quei doppi spettacoli con trepidazione. Le lotte dei mostri giapponesi e il cinema western - chi immaginava che fossero italiani? -, i duri alla menta, la venditrice di semi e gommoni. Era la nostra festa, una festa che i ragazzi di oggi non possono capire. E non era la sola. C’era il Circolino delle Acciaierie con i film di Gianni e Pinotto, i cartoni della Warner Brothers, le pellicole di fantascienza e l’horror americano. Occorreva essere figli di dipendenti, ma il modo si trovava sempre, un amico, una tessera in prestito, una bugia prima di pagare il biglietto. Adesso che restano soltanto due cinema, grandi sale troppo spaziose per uno scarso pubblico, il fascino del cinema è svanito. La televisione invasiva, Internet, il cinema casalingo diffuso da apparecchi sempre più perfezionati, la possibilità di avere a portata di mano ciò che un tempo pareva un sogno. Penso a mio nonno che è morto senza vedere un’immagine sullo schermo: diceva che gli dava fastidio, che gli danneggiava la vista, ma non era vero. Si difendeva dal nuovo che non capiva, credo. Audiovisivi, cinema, computer, progresso. Era il suo modo di comunicare che per lui la cultura era narrazione orale di vecchie storie. Nonostante la sua terza elementare, mio nonno era un pozzo di cultura popolare, cantore d’un vecchio mondo che si portava dentro e che era sempre pronto a raccontare. Un altro tipo di cultura che stiamo perdendo, purtroppo, come ci siamo lasciati alle spalle vecchi cinema popolari con torme di ragazzini urlanti che facevano ressa al botteghino per pagare il biglietto e si accalcavano attorno alla venditrice di semi e pistacchi. Ma è un mondo che cambia e non lo puoi fermare, una volta premuto l’acceleratore non si torna indietro, non ci sono freni da tirare. Resta soltanto il ricordo, ma è un’altra dimensione.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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