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Attualità domenica 18 febbraio 2024 ore 08:18

Per ricordare Gianfranco Benedettini (1940 - 2024)

Gordiano Lupi e Gianfranco Benedettini

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia il ricordo firmato da Gordiano Lupi all’amico Gianfranco Benedettini



PIOMBINO — Gianfranco Benedettini muore a 84 anni non ancora compiuti e io mi sento un po’ più solo. Era tra i pochi a riconoscermi (con sincerità) un impegno culturale a favore della nostra terra, proprio lui che di cose ne aveva fatte tante e un po’ per tutti, da Piombino a Campiglia, passando per Sassetta e Venturina. Era un grande uomo Gianfranco Benedettini, non perché non c’è più, chi mi segue sa che non lo scrivo per tutti, anche da morti si resta quel che eravamo da vivi. E lui era un grande. Politico di levatura morale d’altri tempi, socialista di grandi ideali, assessore alla cultura di grande cultura, storico locale, narratore appassionato, aveva scritto fino a pochi giorni fa una rubrica di Pillole su Facebook, dove raccontava di tutto, dal cinema ai fatti della storia. Aveva una parola buona per tutti, un motto di incoraggiamento, s’impegnava in prima persona e faceva in modo che anche gli altri seguissero le loro idee. Se Il Foglio Letterario esiste ancora (dal 1999) è anche merito suo che ci ha sempre dato una mano, a differenza di altri, vorrei dire di molti, di solito uomini piccoli, privi della sua levatura morale. L’ultima volta che ho visto Gianfranco è stato una ventina di giorni fa, alla presentazione venturinese di Franco Demi, assisteva alla conferenza sul libro Quaderni proletari - Vita di Gino Tinagli e non fece a meno di intervenire con la sua forbita dialettica. Ci mancherà molto, restano i suoi libri, le opere che ha regalato alla sua terra, tra queste il mio primo libro acquistato, quel Cinquant’anni in nerazzurro che conservo in biblioteca con la sua preziosa dedica. Gianfranco aveva collaborato alla mia Storia popolare di Piombino, con un’appendice di racconti intitolata Tempi moderni. Voglio ricordarlo come lui avrebbe voluto, pubblicando la sua cronaca da piccolo spettatore di un evento epocale, quel Piombino - Roma 3 a 1 che a Piombino è diventato leggenda. Grazie di tutto, Gianfranco, porta un poco della tua saggezza nel luogo dove adesso ti trovi e saluta mio padre.

Ecco il racconto integrale di Gianfranco Benedettini e tratto da Storia popolare di Piombino di Gordiano Lupi:

18 novembre 1951: Piombino batte Roma 3 a 

Era domenica, quel 18 novembre 1951.

“Ilia, mangiamo prima, oggi. Poi, prepara il bimbo (sarei io) che lo porto a vedere la partita”.

“Ma cosa succederà, Mario. Stacci attento, è sempre piccino”.

Avevo undici anni; ero più alto di tutti i miei amici, però ero sempre “piccino”, per la mia mamma. Quando me lo dissero mi pareva di toccare il cielo con un dito. Tifavo Piombino perché i miei amici tifavano contro. La mettevamo sul piano “politico”. Il mio babbo era comunista, stavo con lui anche se non sapevo che cosa significasse la parola comunismo. Lavorava alla Magona, che era lo sponsor a tutti gli effetti della squadra. Potevano benissimo scriverlo sulle maglie anche se non era ammesso.

Può darsi che avesse delle facilitazioni per andare allo stadio, al mitico Magona. Vi avevo già visto il Livorno e il Pisa (due 0-0). In porta avevano Merlo e Lovati, rispettivamente, insomma grandi portieri. Io stravedevo per Doriano Carlotti, il portiere del Piombino, uno fra i più grandi che abbiano mai giocato fra i neroazzurri. Nelle nostre partitelle pomeridiane, giocavo in porta perché ero una schiappa negli altri ruoli. Andammo nella “città del ferro e del fuoco” con la Sertum (la moto) inseguiti dalle ultime raccomandazioni di mia mamma. Ci accolse una fiumana di gente. Uscivano da tutte le vie, a gruppetti più o meno folti. La fila agli ingressi (erano due) giungeva fino alla palazzina della stazione. I tifosi romanisti, in folta schiera, urlavano i loro sfottò ai piombinesi che pensavano alla vendetta. Sul campo. Entrammo senza far la fila, ecco perché penso che il mio babbo avesse già i biglietti. Niente tribuna centrale (al tempo c’era, eccome se c’era!). Prendemmo posto fra la fine della curva Tolla e l’inizio della gradinata scoperta. Ero attaccato alla grata metallica che divideva i due settori. Da quella posizione vidi tutta la partita. Il campo era perfetto. Il verde del prato faceva invidia agli stadi maggiori. Quanta gente! La curva Tolla era tutta giallorossa, i colori della Roma.

Oh, gente, giocava la Roma, mica scherzi! Risorti, Treré Cardarelli, Acconcia, Nordhal, Venturi, Merlin, Zecca, Galli, Andersson, Bettini. Chi conosce la storia del calcio sa bene che cosa significano questi nomi. C’erano nazionali di A e di B, c’erano due svedesi! A questi si opponevano: Carlotti, Bonci I, Coeli, Bonci II, Lancioni, Ortolano, Morisco, Biagioli, Zucchinali, Cozzolini, Montiani. Oggi, potremmo dire: e chi sono costoro? Sentite cosa scriveva il giornale della Roma : “L’idea è questa: particolarmente oggi che si gioca a sistema vale più una modesta squadra affiatata, di undici professionisti di calcio che non si intendono fra loro…”. Erano “acciaiati” ecco cosa erano. “Acciaiati” e indemoniati. Agli ordini del signor Bernardi di Bologna (grande arbitro della serie A), le due squadre si schierarono a centrocampo. Fischio d’inizio. Mammina, c’era da tremare. “Dai, dai, fate gol”. La gente accanto mi guardava. Il mio babbo era a qualche metro di distanza. “Gooolll” diecimila bocche lo urlarono verso l’alto.

Montiani, il “torello” maremmano, aveva fulminato tutti: 1 a 0. Montiani, proprio lui, quello “estroso, funambolico”, le cui fughe a serpentina finivano con un cross da fondo campo sul quale si buttavano come falchi Biagioli e Zucchinali. “Dai, dai, fatene un altro”. Rigore. Batte Biagioli (in prestito dalla Fiorentina, gli preconizzavano una grande carriera che non ha fatto) e “Gooolll”, anzi “Rigooolll”: 2 a 0. Alla Tolla cominciavano ad abbassare e ad arrotolare le bandiere. Non urlavano più. Qualche battimano, qualche gridolino ma i cori non si sentivano più. “Dai, dai, fatene un altro”. Eccolo. Biagioli, imbeccato da Zucchinali, calciava sicuro. “Gooolll”: 3 a 0. Non mi staccai dalla grata neppure per un attimo. Ma ormai non c’era più partita. Rigore per la Roma. Carlotti contro Venturi. “Dai, paralo, paralo”. Una cannonata che fece tremare perfino i ferri di sostegno della porta. La palla rientrò in campo. “Babbo, gliel’ha parato!” Mi dissero: “Bimbo, è gol”: 3 a 1. Fine della partita, ero felice. All’indomani corsi in edicola per leggere i commenti. Ricordo cosa scrisse il giornale della Roma: “Un commento alla partita di ieri? È presto fatto. Il Piombino con tutti i giocatori di classe modesta si è imposto con la velocità, l’affiatamento e la decisione…”. La bellezza nello sport la fanno i campioni. Ma cosa sarebbero costoro senza i gregari che faticano anche per loro? E cosa sarebbero le squadre dei campioni senza chi, quasi sempre in silenzio, tampona, ricuce, corre, porta la croce e spesso randella alla bisogna? In queste parole sta la grandezza di quella squadra rappresentante di una città legata in tutto all’acciaio.

Appena vidi i miei amici, che avevano pronosticato i romani vincenti: “Tiè, tiè, 3 a1”, dissi loro. Forse, la mia felicità consisteva proprio nel poter dire agli amici che il Piombino aveva battuto la Roma. Che il Topolino aveva “fregato” la Lupa famelica. Piombino giunse sesto nella classifica finale. La Roma vinse il campionato e tornò fra le “elette” come si scriveva allora. Passò il 1951 e il 1952. Nel 1953 avvenne quel che tutti speravano non avvenisse. Crisi della Magona. Alla serrata degli industriali, gli operai risposero con l’occupazione della fabbrica. Li buttarono fuori a suon di manganellate. Il ricordo di quel pomeriggio non si è mai affievolito nella mia mente. Quell’undici in neroazzurro è il mio mito. Erano uomini come tutti, con quella vena di genio che li ha resi immortali, con quella capacità di aggrapparsi ai sogni e farli diventare reali per tutti noi. Per questo li amo e quando posso li ricordo, al di là di ogni bandiera, di ogni fede, di ogni tempo. Perché mi fanno sognare, mi fanno tornare ragazzo di undici anni, più alto di tutti gli amici. E, alla domanda “Ma, tu li hai visti giocare?” La risposta è una e una sola: “Sì, perché io c’ero quella domenica del 18 novembre 1951”.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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