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Attualità domenica 12 maggio 2019 ore 11:28

I nostri vecchi cinema

Sempione (Foto di Riccardo Marchionni)

Sempione, Supercinema, Odeon, Circolino e Sacro Cuore, su #tuttoPIOMBINO Gordiano Lupi ripercorre la memoria attraverso i vecchi cinema



PIOMBINO — C’era una volta un cinema di terza visione, uno di quei cinema che non esistono più, uccisi dalla televisione e dal mercato Home Video, prima cassette e dopo dvd. C’era una volta un cinema che non c’è più, una saletta di paese presa d’assalto da torme di ragazzini nel fine settimana. 

Si chiamava Cinema Teatro Sempione, ma per tutti era il Pidocchino, lo trovavi in Corso Italia a Piombino, lato acciaierie, immerso nel sudore degli operai e nei quartieri popolari dove la gente faticava per arrivare a fine mese e sognava un futuro migliore per i figli. All’ingresso del cinema una signora in abiti dimessi vendeva semi, noccioline, pistacchi, lupini, gommoni, stringhe di liquirizia e duri alla menta. I pop-corn non sapevamo neppure che cosa fossero, sarebbero arrivati più tardi, quando il Cinema Teatro Sempione ormai aveva chiuso i battenti. Nel ricordo tutto sembra più bello, forse la memoria non trattiene i veri sapori, ma solo una fanciullezza perduta che profuma di tempo passato. Capita che pure adesso quando entro in un cinema non riesco a mangiare pop-corn e Coca Cola, ma stringo forte il mio pacchetto di semi e mi sforzo di trovare il sapore del passato. Non è possibile, certe sensazioni irripetibili fanno parte del ricordo e, tra pellicole antiche e immagini evaporate, rappresentano un sogno che non può tornare. Passo davanti alla facciata del vecchio cinema e mi rivedo bambino mano nella mano di mia nonna, grande amante di cinema d’avventura e di pellicole comiche. Avrò avuto cinque anni la prima volta che ho varcato la soglia del Cinema Sempione, sarà stato il 1965, epoca di Beatles e miti americani, a Roma apriva il Piper, Patty Pravo cominciava a cantare, Rita Pavone andava di gran moda con la sua partita di pallone, ma io non sapevo niente di tutto questo. Stringevo la mano della nonna quasi intimorito e mi tuffavo in un sogno impossibile, ché allora non avevamo neppure la televisione e quelle immagini su grande schermo sembravano magiche. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono il ricordo della mia infanzia, terze visioni da Cinema Sempione, sedie di legno e bambini irrequieti che gettavano bucce di semi dalle balconate, grida di protesta ogni volta che si rompeva la pellicola o spariva la voce dei protagonisti. Satiricosissimo, I due maghi del pallone, Franco e Ciccio nell’anno della contestazione, Le spie venute dal semifreddo … ma anche Totò a colori, i film di Gianni e Pinotto (erano due statunitensi, si chiamavano Abbott e Costello, l’ho scoperto da poco leggendo Cabrera Infante), gli horror comici d’oltreoceano e il mitico Dorellik. Questo era il cinema del vecchio Sempione, spettacolo popolare a prezzi modici, pellicole storico-mitologiche che da grande avrei chiamato peplum ma che per un bambino erano soltanto film di romani, western fatti in casa con nomi di attori e registi nordamericani inventati dai produttori, horror gotici ambientati in castelli tenebrosi con vampiri e uomini lupo che non spaventavano nessuno.

Il Sempione ho continuato a frequentarlo nei primi anni Settanta con gli amici di via Gaeta e i compagni di scuola, pure se le prime visioni le passavano all’Odeon e al Metropolitan, ma noi non ce le potevamo permettere. Il Supercinema l’avevano già chiuso, adesso è un negozio di abbigliamento che ha conservato soltanto la facciata. Ricordo di aver visto l’ultimo cartone animato proiettato sul grande schermo con mia nonna, in un pomeriggio che segnava la fine di un’epoca. Il Supercinema era un locale da gente con i soldi, mica un posto per ragazzini, ci andavi nelle occasioni speciali quando c’era una prima visione imperdibile. Adesso mi spiace parecchio non ricordare cosa ci fosse all’interno, tutto è svanito nella labile memoria d’un bambino, purtroppo. Il Sempione no, quello lo ricordo bene, proprio come se non l’avessero mai demolito, piccolo cinema della mia infanzia, con i sedili di legno vecchio stile, la balconata, il palcoscenico ridotto, la cassa ricavata in una nicchia della parete, il banchetto dei semi, il corridoio con i cartelloni dei prossimamente, i tendoni rossi e logori, i bagni maleodoranti, le uscite di sicurezza che davano su via Carlo Pisacane dalle quali fantasticavamo di poter entrare di soppiatto senza pagare il biglietto.

Al Sempione era d’obbligo il doppio spettacolo, entravi alle tre del pomeriggio e uscivi alle otto, ubriaco di immagini, pronto per andare a cena, pure se ti eri rimpinzato per ore di semi, noccioline e gommoni. Le avventure di Godzilla erano lo spettacolo più atteso, improbabili pellicole giapponesi che raccontavano le gesta d’un tirannosauro che si risvegliava in un’isola del Pacifico e minacciava la Terra. Titoli come Godzilla contro King Kong, Il figlio di Godzilla - che tutti chiamavamo confidenzialmente Godzillino - e Il ritorno di Godzilla non si potevano perdere. Attendevamo la domenica per vedere Sartana, Gringo, Cuchillo, Provvidenza e tutti i nostri eroi del western all’italiana, eccessivo, spesso comico, ma in ogni caso emozionante.

Erano tempi che c’era fame di cinema, a Piombino si contavano ben quattro sale: l’Odeon in via Fragola (adesso via Lombroso) e il Metropolitan in piazza Cappelletti, vicino al Rivellino, che ci sono ancora, il Supercinema in Corso Italia davanti al Bar Cristallo e il Sempione nel quartiere popolare. Ma non bastavano le sale ufficiali, c’era anche il Circolino delle Acciaierie, dove per entrare dovevi essere figlio di dipendenti ma poi non era mica vero, si passava tutti e facevano un sacco di cose per ragazzi, pellicole di Tarzan, film con Totò, horror degli anni Cinquanta, neorealismo rosa e commedie balneari. E la domenica pure le parrocchie facevano cinema, ché al sacro Cuore di Don Claudio, in via Lando Landi, pure se non eri andato a messa la mattina vedevi film castigatissimi senza gambe nude e scollature di troppo, quasi sempre Totò e western, ma per noi erano il massimo.

Circolino (Foto di Riccardo Marchionni)

Il Cinema Teatro Sempione è diventato una profumeria. Ha conservato la vecchia facciata che ricorda il passato, ma il passato non torna, adesso i tempi del divertimento li scandisce la televisione. Non esiste più un pubblico disposto a mettersi in coda alla cassa per un cinema di terza visione che nessuno produce, oggi la terza visione sono i film che vediamo su Sky, in dvd e in pay-tv. E allora capita che non riesco neppure a varcare la soglia di quel locale perché la nostalgia del passato mi prende alla gola. Vedo le immagini di Gringo e Sartana figli di puttana fotografate su immaginari manifesti accanto alla programmazione di Vamos a matar compañeros. Ripenso alla tristezza degli ultimi giorni quando la crisi del cinema trasformò il Sempione in una sala a luci rosse. Per fortuna durò poco, non era da Sempione quel triste ruolo, un cinema che per anni era stato il rifugio dei bambini. Sopravvenne l’oblio, la chiusura, lo sfacelo di cadenti locali, rifugio di topi che rincorrevano vecchi pezzi di celluloide.

Il Supercinema, invece, prima è diventato Upim, poi Semaforo Rosso, adesso succursale Oviesse: un triste destino da negozio d’abbigliamento. Vestiti al posto di sogni. Profumi in cambio di pellicole. Tempo che passa, consumismo che avanza, necessità che cambiano. 

Tutto si vorrebbe immobile, il sogno di fermare il tempo realizzando il mito di Dorian Gray, ma è una magia che capita solo scrivendo, proiettando immagini d’un vecchio film sul telo bianco della memoria. Il profumo del passato percorre ancora i vecchi luoghi e nelle notti d’inverno, quando il libeccio sferza i volti e i soffi del maestrale spingono ad alzare il bavero del cappotto, ti sembra ancora di scorgere la fioca luce d’una maschera che indica il tuo posto e ti prega di non fare rumore perché lo spettacolo sta per cominciare. Si apra il sipario sul telo bianco per mostrare ancora una volta Giuliano Gemma nello Scontro tra titani, le astronavi spaziali di Antonio Margheriti e i castelli cadenti di Mario Bava.

Forse non mi mancano tanto il Cinema Sempione e il Supercinema quanto il sapore di quei giorni che non possono tornare, quando tutto era ancora incertezza e scoperta del futuro, quando le immagini che si rincorrevano sul grande schermo erano i nostri sogni a occhi aperti. Proprio così, come un gelato assaporato che non conserva il gusto del passato, pure se lo compri nella stessa gelateria della tua infanzia. Sa di cose che non possono tornare. Sa di rimpianto.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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