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Attualità domenica 30 giugno 2019 ore 07:00

La casa del fanciullo e viale Amendola

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO "La casa del fanciullo e viale Amendola" di Gordiano Lupi



. — La casa del fanciullo adesso non esiste più, ma era il luogo di ritrovo preferito dei ragazzi piombinesi negli anni Settanta. L’oratorio della chiesa dei frati, quella che nessuno chiama con il suo nome, ma dove un tempo ogni piombinese sognava di sposarsi perché una lunga scalinata si affaccia su via San Francesco e in lontananza si vedono Cittadella e il mare. La chiesa del convento francescano, l’Immacolata, il luogo di culto più importante della città dove ancora oggi esiste una casa famiglia per aiutare ragazzi ad affrontare situazioni difficili. 

Negli anni Settanta c’era anche la casa del fanciullo, ma non crediate che fosse niente di eccezionale: un bar economico gestito da una famiglia, qualche biliardino scassato, un paio di flipper, una pista di pattinaggio che usavamo per interminabili tornei di calcetto, un piazzale erboso, qualche panchina, pochi tavolini all’aperto, una tettoia di lamiera e un vero campo di calcio sterrato. Nei dintorni della casa del fanciullo c’era anche la sede del gruppo scout e forse quella ci sarà ancora, ma tutto il resto è andato perduto. Peccato.

Sono sempre stato laico, per non dire ateo che è una parola grossa, vai un po’ a sapere cosa c’è dopo, meglio essere previdenti, di certezze me ne sono rimaste poche: a Cuba ho visto la fine della rivoluzione e non sono sicuro più di niente.

A parte questo, dicevo che non era mica necessario andare a messa e fare la comunione per frequentare la casa del fanciullo. No davvero. L’oratorio dei frati era aperto a tutti e si poteva giocare a briscola e tresette, scopone scientifico, calcio balilla, flipper, ma pure organizzare interminabili tornei di calcetto. Quando arrivava la bella stagione la casa del fanciullo diventava la base per andare al mare, sotto il controllo dei frati s’intende, allo scoglietto, allo scoglio della morte, al limite sotto viale Amendola, dove c’era un bar di legno e lamiere che serviva un’ottima granita fatta con ghiaccio frantumato e sciroppo tipo quella di Salivoli. Sotto viale Amendola adesso hanno costruito un albergo con piscina sopra le scogliere, togliendo tamerici, abbattendo cespugli e alberi, arroccando sul mare uno stabilimento balneare fatto di cemento. 

Viale Amendola mi ricorda mio padre nei giorni d’estate che guida la sua bicicletta per andare alla spiaggia di Salivoli, io osservo la sirena di bronzo che ancora oggi sorride e si accarezza i capelli dalla facciata di un palazzo che si sporge sul mare. Il babbo non sapeva perché avessero messo quella statua, ma il nonno aveva inventato un storia per rispondere alle mie domande. Mi diceva che tanti anni prima una sirena si era innamorata di un pescatore e aveva deciso di diventare umana per vivere accanto al suo uomo, accettando di morire per amore. Mio nonno sosteneva che quella statua di bronzo l’avessero fatta i pescatori, per ricordare la sirena dopo la morte. Era una delle tante storie che raccontava e che ancora oggi mi piace pensare che sia vera, al punto che quando era piccola la raccontavo a mia figlia per rinnovare la tradizione. E alla fine lei ha scritto una fiaba intitolata La sirena di Piombino, come se fosse una leggenda…

Ma torniamo alla casa del fanciullo, ché altrimenti divaghiamo.

Autunno e inverno li passavamo dentro al bar tra carte e biliardini, ogni tanto consumando qualcosa, ma poco, ché eravamo spiantati, con clienti come noi di sicuro il gestore non si arricchiva. La primavera era il momento migliore per organizzare partite di calcio nel campo grande, quello sterrato, dove abbiamo lasciato i ginocchi della nostra adolescenza distruggendo pantaloni e tute da ginnastica per colpa di criminali sassi appuntiti. Il campo dei frati era quasi di misure regolamentari, le porte fatte con tubi innocenti, senza reti, le linee laterali immaginarie, la palla andava fuori quando finiva nei cespugli dell’erba alta, tanto l’arbitro non c’era, decideva il più forte. Quando il pallone terminava fuori dal campo lo recuperavamo in mare o tra gli sterpi dopo aver rischiato di scivolare fino alla spiaggia per andarlo a prendere. Nelle partite tra liceo classico e istituto professionale noi del classico perdevamo sempre, non eravamo tagliati per lo sport, pure l’istituto tecnico ce le suonava di brutto, con la ragioneria non c’era storia e con lo scientifico ci si provava ma si perdeva lo stesso, anche se di poco. Bene, noi del classico almeno sapevamo scrivere, così ancora adesso serviamo a qualcosa, raccontiamo una piccola storia d’un mondo perduto conservando la memoria del passato.

La casa del fanciullo serviva spuma e gassosa a cinquanta lire il bicchiere, pure la birra la vendevano a prezzi modici, inoltre avevano inventato una bibita dissetante, una cosa che adesso non beve più nessuno, si chiamava scendigaf (vai un po’ a sapere come si scrive, io lo scrivo come si legge) ed era soltanto birra mescolata a gassosa. Si beveva dopo aver giocato a calcio, sudati fradici, incuranti che fosse gelida. Era pure buona. Ve lo garantisco. La Coca Cola non andava ancora di moda, per la gioia del Chinotto, bibita italiana inventata a Savona. Non si compivano trasgressioni bevendo Chinotto, era il massimo del conformismo, il vantaggio era soltanto che costava poco, proprio come la gassosa. Da lì il famoso proverbio piombinese per distinguere il ricco dal povero: al primo non mancano donne e champagne, mentre il secondo vi lascio immaginare quale modesta attività sessuale pratichi e che cosa beva. Non è difficile…

Tornare adesso dopo tanti anni alla casa del fanciullo e vederla in abbandono fa male al cuore per chi l’ha conosciuta come un luogo dove incontrare amici e ragazze, giocare a calcio e fare tuffi in mare sotto la chiesa. Ma se ci siamo messi alla ricerca della Piombino perduta, piccoli Proust di provincia, dobbiamo affondare la lama nelle ferite che fanno più male. Qualcuno ha detto che ogni cosa che accade a uno scrittore è importante, va presa come materiale letterario sul quale imbastire storie, tessendo la magica tela del ricordo. Forse è vero. Forse è proprio dai dolori personali che nascono storie indimenticabili. E allora facciamo scorrere la bobina del film del passato per rivedere gli istanti della nostra adolescenza. 

Padre Fiorenzo narravano che avesse giocato in serie C, correva sul campo di calcio sterrato insieme a noi ragazzi e non perdeva un dribbling. Adesso non c’è più neppure lui, è andato a rapporto dal suo superiore e ci attende per disputare un’altra partita, in un campo senza reti e senza linee laterali, delimitato soltanto dalla nostra fantasia. 

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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