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Attualità domenica 09 agosto 2020 ore 07:12

In barca, alla volta di Cerboli

Una barca e il mare (Foto di Riccardo Marchionni)

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia “In barca, alla volta di Cerboli” di Gordiano Lupi. Foto di Riccardo Marchionni



PIOMBINO — A Lido con affetto

La mia immaginazione la cercava nel cielo di quelle sere in cui ancora lo guardavamo insieme; al di là del chiaro di luna che aveva amato, tentavo di alzare fino a lei la mia tenerezza perché la consolasse di non essere più viva, e questo amore per un essere diventato così lontano era come una religione, i miei pensieri salivano verso di lei come preghiere.

Frase letta su un libro, non ricordo quale, un breve paragrafo di romanzo che mi porta a ripercorrere le strade del mio amore, ancora una volta, come se fosse un sogno da rivivere in eterno. Resta il rimpianto, questo lo so bene. Resta una vita. Restano i ricordi. Il presente è quel che mi circonda, isola infinita e profumata. Restano l’incanto e le onde frastagliate del mio mare. Non è poco. È tutto il mio passato.

In barca, alla volta di Cerboli, solo in compagnia del mio mare. Voglia di dimenticare, che cosa non so, forse il senso della vita, di troppi inutili perché, sempre più convinto che questa vita un senso vero non ce l’ha, come canta Vasco. Dimenticare qualcosa di particolare, ancora una volta, come la Venezia d’un vecchio film, mentre il cavaliere d’Italia vola nella palude lungo la costa e i gabbiani corsi sfoggiano la macchia rossa sul becco davanti ai miei occhi estasiati. Non sapevo che Piombino fosse così bella sino al giorno in cui l’ho vista dal mare, lontano da fumi e acciaio, distante da ciminiere annerite che scacciavano nuvole bianche. Adesso non ci sono più neppure loro, ora che fumo e pane fanno parte del passato, sono un sogno vagheggiato, per il fumo non ci sono rimpianti, certo, ma per il pane la preoccupazione è palpabile.

Vedo rondini di mare seguire lampare che pescano sardine e acciughe, contendono prede ai gabbiani, diffidano delle paranze che trattengono il pescato, non lasciano niente ai famelici abitanti del mare. All’improvviso Cerboli, come una visione inattesa, si apre davanti ai miei occhi, isola dei gabbiani, antico scoglio depredato dalle rocce, estratte e caricate sui barconi, materiale per costruire paratie dimenticate da ergastolani e uomini di fatica. Rocce rosse, bianche, scure, vegetazione mediterranea, bassa, verdeggiante tra scogliere, marmo bianco scavato e una casa diroccata, torre d’avvistamento del passato che emerge tra spunzoni di roccia calcarea. Cerboli alla fine si allontana, abbandona il mio sguardo senza avvisare.

Torna il panorama consueto, l’archeologia industriale della centrale Enel, quel che resta della vecchia Pontedoro, mito del tempo che scorre e non lo puoi fermare, ricordo inossidabile di vecchi piombinesi alla ricerca delle loro radici. La fumata bianca dell’acciaieria non era un segnale di pace da un villaggio indiano, come pensavo da bambino dopo aver visto l’ultimo western con Giuliano Gemma, ma solo la cokeria che si spegneva, coltivando illusioni di operai, sogni di famiglie nei quartieri del centro, che vivevano tra spolverino e scirocco. Il porto che si apre nel mare, accoglie navi veloci e traghetti diretti all’Isola d’Elba, piccolo mondo antico orfano del suo Napoleone, golfi innaturali che si protendono verso piccole spiagge di città. Il cimitero, Sotto Bernardini - una volta fonderia adesso ricordo -, Sotto Macelli - pure questi perduti -, la Buca Rossa, lo sperone di roccia di Piazza Bovio, il Castello, Cittadella, Sotto Frati. E sullo sfondo un tempo la fiamma antica dell’altoforno, una fiamma che significava vita, una fiamma che per sempre è spenta.

Scorrono come un flashback della memoria i miei sogni a occhi aperti mentre lascio la città vecchia, rimessa a nuovo dopo tanto degrado, intuisco la spiaggia del Canaletto e il Golfo di Salivoli, intravedo la Chiesa dell’Immacolata e le case sulle scogliere, come case di doganieri in una poesia di Montale. Rocce calcaree, condomini popolari e ville, senza soluzione di continuità, lasciano il posto a bianche farfalle che sorvolano le onde dirette verso l’orizzonte. Sogni di bambini che fanno muovere il mondo, sogni del passato sotto forma di ricordi, farfalle che abbandonano le pietre del promontorio, raggiungono Punta Falcone, l’osservatorio astronomico, Calamoresca, la spiaggia di sassi della Centralina, la macchia mediterranea lasciata alla sua sera. Fosso alle Canne, tra Punta Galera e Rio Fanale, a un passo da Buca delle Fate, è l’ultimo approdo, alle spalle un lenzuolo di roccia chiara, la buca del bove marino - leggenda narrata da vecchi pescatori - e le cento scalinate della principessa che uccideva gli amanti dopo notti di sesso.

Sconvolto da tanta bellezza, senza telefoni che suonano, senza computer, immerso nei pensieri, cullato dalle onde che frangono ricordi e speranze. Piombino vista dal mare è uno spettacolo di travolgente bellezza. Ho vissuto anni senza rendermene conto, inseguendo sogni e sacrificando la vita, senza l’incanto del mio mare, immagine di vita in divenire, sempre in grado di stupire. Dimenticare sarà la scommessa del mio autunno, ora che il calcio non è così importante, ma sta svanendo come un pensiero affievolito. E quando si comincia a invecchiare diventa sempre più difficile dimenticare. Il solito vecchio romanzo torna a occupare la mia mente. Se solo fossi stato un calciatore come tanti. Se solo non avessi avuto il vizio assurdo della letteratura …

Un essere non muore subito per noi, rimane immerso in una specie d’aura di vita che non ha nulla della vera immortalità, ma gli consente di continuare a occupare i nostri pensieri come quando era vivo. È come se fosse in viaggio.

Purtroppo è vero. Ormai lo so a mie spese.

Testo tratto e rielaborato da “Sogni e altiforni - Piombino Trani solo ritorno”, presentato al Premio Strega, 2018

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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