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Calamoresca

Su #tuttoPIOMBINO “Calamoresca” di Gordiano Lupi

Foto di Riccardo Marchionni

Un tempo Calamoresca non era soltanto una spiaggia di fronte a un golfo percosso dal vento di ponente e dal maestrale. Non esisteva ancora il bagno privato, tutto era libero, oserei dire in abbandono, al massimo trovavi un bar fatiscente, una specie di baracca aperta solo d’estate. Scogliere a picco sul mare, una strada sterrata che portava a Spiaggia Lunga e Fosso alle Canne, scoprivano lo stupendo panorama dell’Isola d’Elba e del canale di Piombino solcato da navi traghetto.

Tutto questo esiste ancora oggi. Ma per noi ragazzi degli anni Settanta e Ottanta, Calamoresca era un luogo mitico, una promessa d’amore. Non avevano ancora recintato la strada sterrata, non esisteva il bar affacciato sul mare, la zona era libera, selvaggia e poco frequentata. Noi che siamo stati ragazzi in quel periodo abbiamo consumato le prime esperienze erotiche a Calamoresca, pochi saranno andati a TollaAlta, sotto il ripetitore della televisione, i più coraggiosi persino a Perelli e Riva Verde, ma erano tipi originali, ché la maggioranza munita di patente e auto - propria o del babbo non faceva differenza - preferiva Calamoresca.

“Andiamo a Calamoresca…”, era il complice invito rivolto alla ragazzina di turno appena entravi un po’ in confidenza. Va da sé che lei non aspettava altro ma doveva resistere un poco, faceva parte del ruolo, negli anni Settanta esisteva un pudore per cui una donna non doveva mostrare di desiderare certe cose. Calamoresca era l’alcova ideale, riparata da tamerici e canne di bambù, lontana da occhi indiscreti, solitaria e oscura, rifugio dove ti sentivi sicuro, persino ai tempi di Cicci il mostro di Scandicci, serial killer fiorentino che ammazzava le coppiette.

Calamoresca era divisa in due settori: appena arrivato incontravi la paratia nella zona asfaltata, più frequentata ma non troppo, che serviva per il primo approccio. Se le cose promettevano bene ci si metteva in moto per andare oltre, lungo la strada sterrata, alla ricerca di un anfratto nascosto da piccoli arbusti, dove rischiavi di forare una gomma e danneggiare gli ammortizzatori. Ricordo il racconto terrorizzato di un mio amico quando lo fermarono i carabinieri, lo fecero scendere dall’auto seminudo insieme alla sua ragazza, minacciarono di denunciarlo per atti osceni ma alla fine lo fecero rivestire e lo rispedirono a casa. Lui balbettò che lo facevano tutti, che non c’era niente di male. Non era una scusa valida. Atti osceni restavano, c’è poco da fare, pure se quei carabinieri dovevano essere due maniaci.

Erano tempi romantici, comunque, aspettavi di possedere un’automobile per andare a Calamoresca, luogo mitico per un adolescente in motorino che si doveva accontentare della panchina di un parco con il favore delle tenebre. “Per nostalgia lo rifaremmo in piedi / sporcando la moquette stile e l’Hi Fi”, canta Guccini in Eskimo. E pure noi per nostalgia lo rifaremmo in auto, a Calamoresca davanti alla luna piena d’una notte d’estate, meglio se al riparo di felci e tamerici, in un angolo nascosto, lontani da occhi indiscreti. Ma non possiamo. 

Calamoresca è diventata un parco naturale. Le auto non possono neppure avvicinarsi, gli innamorati senza casa devono accontentarsi del grande parcheggio asfaltato che ha preso il posto della strada in mezzo ai boschi: la certezza cittadina in cambio del romantico lungomare, una sorta di centro commerciale dell’amore. Non è proprio la stessa cosa. Vorrei essere ventenne oggi per sapere dove vanno i ragazzi a fare le cose che facevamo noi, così, tanto per capire. E magari vorrei essere ventenne per aver quarant’anni in meno e avere tutto per possibilità, pure se a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età. Grazie di esistere, Guccini. Se non ci fossi bisognerebbe inventarti, anche perché in fondo è vero quel che dici, forse si era solo noi, non c’entra o meno quella gioventù…