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Le panchine di piazza Dante

Su #tuttoPIOMBINO di Qui News Val di Cornia "Le panchine di piazza Dante" di Gordiano Lupi

Foto di Riccardo Marchionni

Piazza Dante e le sue rotonde panchine di marmo, che non son panchine ma basamenti per lampioni dove per puro caso capitava di poter sedere. Quante notti d’estate ho passato protetto dal calore soffuso delle loro luci, tra insetti e falene, coleotteri e formiche alate! 

Mio nonno amava le scomode panchine, forse per la rotonda illuminata, forse perché da un lato della piazza si scorgeva una flebile luce lontana. Finiva che la pretura illuminava l’altoforno mentre la fabbrica rifletteva luci e scintille fin dentro la città, ché in via Fucini un tempo sorgeva il tribunale e dalla parte opposta, poco oltre via Torino, vedevi le case proletarie di via Gobetti, povero palcoscenico dove si esibiva il fumo rosso della colata continua d’un magico altoforno che dispensava tramonti e lavoro. 

Passo da piazza Dante e ricordo un autunno di troppi anni fa, vedo un bambino con la cartella in mano, rimpiango le tante illusioni, la tempesta di speranze, i sogni che lasciavano spazio ad altri sogni. Niente è come prima, in questo futuro che è già passato e non ce ne siamo neppure accorti, forse soltanto i tigli e gli oleandri conservano il profumo di certe notti estive, dei tempi in cui un uomo passeggiava sulla luna e credeva di cambiare il mondo. Forse solo la panchina sbrecciata e il basamento futurista che sosteneva un lampione, caduto come le speranze, conserva il calore dei racconti dispensati al tramonto del sole. 

Passare da piazza Dante, ancora oggi, vedere una vecchia scuola stile liberty, i cancelli ossidati, i pinnacoli di cemento, le inferriate, sentire le voci dei bambini, un profumo di schiaccia, di bomboloni caldi, di bocche di leone. Vedere come in un vecchio film in bianco e nero, in dissolvenza - ma è lo stemperarsi della tua vita, non un effetto cinematografico -, un piccolo fantasma vestito di nero con un fiocco azzurro e la cartella in mano, mentre un vecchio cantastorie racconta la solita fiaba che riscalda il cuore. Dimmela ancora, nonno! Vorresti dire. Ma non puoi.