Attualità

Bar Giuliani

Un rito familiare, un caffè ordinato al bancone di un bar del centro e un ricordo che Gordiano Lupi racconta su #tuttoPIOMBINO

Corso Italia (Foto di Riccarco Marchionni)

Al Bar Giuliani si va per gustare caffè di quello buono, vecchia torrefazione piombinese ancora in armi, luogo dove scorre la piccola storia di provincia, incurante del tempo. 

Il bar dei ricordi giovanili resta il Cristallo, piazza Verdi, ritrovo di sportivi che discutono di calcio come un tempo, dilettanti del Piombino o blasonati juventini fa lo stesso, ma io mi fermo sempre meno, oserei dire mai, giusto il tempo d’un caffè. 

Prendo un caffè al Cristallo quando mi trovo a lavorare da quelle parti, se capita che vendiamo libri in corso Italia, toccata e fuga, colazione rapida, poco altro da dire, mentre sbircio il giornale e sento avventori discutere di reti annullate per fuori gioco incerti. Il mio caffè di mezza mattinata è al Bar Giuliani, via Benvenuto Cellini, poco fuori dal centro, non solo per motivi economici, ché il caffè costa ottanta centesimi, unico posto al mondo. 

Il fatto è che al Bar Giuliani prendeva il caffè mio padre quando veniva in centro, forse per economizzare, ché il risparmio è stata una costante della sua vita, mi ha trasmesso il vizio, anche se c’è di peggio, non è così brutto, tutto sommato. Prendere il caffè dal Giuliani è un modo per ricordare mio padre, più che andare al cimitero e vedere una lapide con foto, ché il caffè era uno dei gesti rituali della sua vita fatta di piccole cose. Rammento quando lo rimproveravo, ché lui beveva il caffè lungo, nel bicchiere di vetro. “Un espresso si gusta ristretto e in tazza, come fanno a Napoli”, dicevo. Lui non era convinto, scuoteva la testa, sorrideva, mica cambiava idea. Era testardo mio padre. Un elbano di scoglio. Caffè lungo, al vetro, già che doveva pagarlo - avrà pensato - che si veda, mica posso bere un fondo di tazzina... Capita che da quando lui non c’è più, sono io che porto avanti il rito e non solo dal Giuliani; ordino un caffè lungo al vetro e lo sorbisco in silenzio, assaporo il ricordo d’un sorriso e ripenso a tutte le volte che ho detto: “Il caffè buono è ristretto”. Vorrei poterlo ripetere davanti a quel bancone sorseggiando caffè napoletano. Vorrei contraddire mio padre nelle piccole cose, non assecondare il destino e confondermi nel suo ricordo. 

Da quanto tempo non bevo un caffè ristretto, caro papà, forse non ci crederai ma non ne sono più capace. Non mi resta che affidare a quel liquido nero tutta la malinconia del mio tempo perduto.