Attualità

La Baracca Siti di Dario D’Avino

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi parla del romanza appena pubblicato. Foto di Riccardo Marchionni

Piombino città di scrittori. Ben vengano, se hanno qualcosa da dire, non esiste concorrenza in questo mestiere che non è tale, ma solo passione e voglia di lasciare traccia del nostro passaggio su questa terra. Dario D’Avino, al suo esordio letterario, racconta la storia di cinque amici - Andrea, Matteo, Rubina, Ike e Alessia - alle prese con progetti e passioni, uniti da ricordi comuni e da una lotta per difendere un luogo caro, diventato un simbolo. Piombino è lo sfondo sul quale si svolge l’azione, scenografia importante, un territorio sfiduciato, alla ricerca di una propria identità, che l’autore definisce con questa parole: Piombino non è la migliore città del mondo. È una piccola cittadina, come tante altre seminate, chissà come, sul nostro pianeta. Con i suoi pregi e i suoi difetti. Però è la mia casa da sempre, e quindi, per me, è il posto migliore in cui vivere, il posto in cui crescere e invecchiare.

È la città dei miei ricordi di bambino: le giornate a Fosso alle Canne, ma anche le girate in bicicletta in Piazza Bovio, gli allenamenti di calcio al Magona, il Luna Park. Dario D’Avino è nato e cresciuto a Piombino, dove vive con la famiglia, libero professionista, laureato in Scienze Geologiche, per pura passione allenatore di settore giovanile e di scuola calcio.

Baracca Siti (non è un errore, lo capirete solo leggendo) nasce dal suo amore per la lettura e per la scrittura, per dire la sua contro i pregiudizi, contro il conformismo e il disimpegno. Una storia di amicizia eterna e di amore per una città. Un inno alla vita, in cui il messaggio di responsabilità e di rinascita è affidato alle nuove generazioni.

Il romanzo è stato presentato venerdì 17 Dicembre, nella cornice del nuovo Caffè Letterario di Cittadella, commentato dalla blogger letteraria Patrizia Lessi.

Dario D’Avino ci ha rilasciato una breve dichiarazione sui motivi che l’hanno condotto a scrivere il romanzo: “Il giorno in cui vidi mio figlio abbracciato con i suoi due grandi amici, su un campo di calcio, tra una fatica e l’altra di un allenamento, rimasi a guardarli, inebetito. Anzi, meravigliato, ammirato. Sorrisi complici, figli di una battuta perfetta e di una sintonia unica. Un’energia incredibile in quell’abbraccio, una forza che ormai io posso solo ammirare negli sguardi giovani di chi mi sta intorno. Poi, improvvisamente, un fotogramma illumina per un attimo il buio della mia memoria. Un’istantanea vissuta in una giornata di sole nel giardino dell’asilo. Ancora loro tre, abbracciati allo stesso modo, ancora uniti in un sorriso, anche se più ingenuo. Un raro attimo di condivisione a quell’età, in cui la continua scoperta di sé stessi, rende il proprio castello invalicabile agli altri. Rivedere, anni dopo, quei tre torsoli come mi viene di chiamarli con affetto e un po’ d’invidia, fu un vero e proprio spettacolo. Il paragone tra quei due momenti, mi trasmise un’emozione inaspettata e rafforzò una consapevolezza, che è anche un augurio per quei ragazzi: un’amicizia può durare un’intera vita e, quando capita, è un dono. Da questo spunto è nata l’idea della storia, un vero e proprio inno all’amicizia e alla forza che solo le vere passioni sanno trasmettere. E, mano a mano che riempivo le pagine di questo romanzo, riemergevano dal mio passato i ricordi di momenti e esperienze in cui l’amicizia è stata la risorsa più grande, a volte l’unica, per superare momenti difficili, oppure la chiave che mi ha permesso di godere appieno gli attimi di gioia della mia vita. È chiaramente una storia totalmente frutto della mia fantasia, anche se alcune coordinate di questo viaggio narrativo, trovano il loro riferimento in personaggi, in modelli che, tra l’altro, al momento di questa stesura, non conoscevo personalmente, ma che comunque seguivo discretamente, a distanza e con infinita ammirazione. Parlo di Enrico Salvadori, amorevole custode di Fosso alle Canne, che ha ispirato la figura di Stefano e del Professor Michele Collavitti che, in modo inequivocabile, ha ispirato la figura del Professor Teorema e poi, con ancor più evidenza, quella del Professor Michele Vitti. E sullo sfondo c’è Lei, la città che amo, la mia Piombino. Una voglia incredibile di raccontarla, di incoraggiarla a rialzarsi dopo un periodo così buio, senza dimenticarsi mai di quanto è bella. Una storia che non vuole essere polemica, non vuole indicare responsabilità e riferimenti politici, ma vuole, con tutta la sua anima, investire i giovani piombinesi del ruolo di protagonisti assoluti della rinascita della mia città”.

Leggete questo romanzo. Non ve ne pentirete.