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Fosso alle canne

È primavera e su #tuttoPIOMBINO Gordiano Lupi propone uno dei suoi racconti animati dalle suggestioni di Fosso alle canne

Spiaggia di Fosso alle canne con il Salvadori padrone di casa, vecchio Robinson scultore di mare, tra canneti e fossati, impervie salite e scoscesi dirupi. Piccolo angolo di questo paradiso, Isola di Pasqua mediterranea con teste di legno intagliate, appare improvvisa dopo foreste di lecci e macchia silenziosa. Pietre levigate da onde e ricordi che si avvolgono ad altri ricordi, intricati come viottoli che diradano a mare, come sentieri polverosi e immagini che affiorano dal passato. 

Troppo popolata è la mia spiaggia che fu di nessuno, un tempo solitario rifugio d’imbarcazioni perdute e avventurosi viandanti, forse per questo le frasi che scrivo scorrono tra le dita e passano sul foglio, friabili come rocce di calcare scalate da bambini, come sempre, alla conquista di vette impossibili. Isola d’Elba negli occhi, ovunque tu decida di guardare lei resiste, in mezzo a quel mare cristallino e freddo di fine marzo, tra sambuco e tamerici, corbezzoli profumati, felci taglienti. Il fantasma di mio padre saluta dalla panchina intagliata nel legno, riparo di frescura a metà percorso, luogo dove prendere fiato prima di ripartire. Il suo ricordo è intrappolato tra queste rocce, nei passi sul selciato, vicino ai dirupi, tra mulattiere di mare e un orizzonte velato da nubi che diventano animali evanescenti. Tutto è ricordo, un istante del passato, il solo modo per restare immortali è trasformarsi in ricordo. 

Fosso alle canne svapora in lontananza ed è già Spiaggia Lunga, Centralina, Cala Moresca; l’eco dei tuoi passi risuona nel golfo splendente, tra casa matta e spiaggia di ciottoli bianchi. Allora andavamo per queste strade e, in un modo o nell’altro, eravamo ragazzi, sudati, perduti, disfatti. 

Correvamo e ci tuffavamo tra queste onde, le solite onde che oggi ci fanno tremare; allora ogni gesto era un gioco e non si sapeva, ogni piccolo passo profumava di mare e scogliere. Era il nostro mare dell’infanzia e per lontano che si vada a finire ci si ritrova sempre tra le sue braccia, perché là fummo fatti quel che siamo. Adesso non ci resta che tornare, stemperando il ricordo d’un’isola mentre svanisce un frammento di passato, in attesa d’un saluto immaginario tra cuore e scogliere, osservando in lontananza il Falcone pervaso da torme di gabbiani, nell’affocato sole del tramonto che, sorridendo al giorno che muore, si tuffa nel mare.