Attualità

Il pianto della scavatrice

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia “Il pianto della scavatrice” di Gordiano Lupi che racconta Salivoli e il Nastro Azzurro

Foto di Riccardo Lupi

Salivoli bruciata dal sole di Maggio, anticipo d’estate sulla spiaggia proletaria, quando soffia lo scirocco, sollevando polvere e sabbia come se spirasse un vento del deserto per rendere difficile il cammino. Una vecchia scavatrice piange accanto ad ammassi d’alga putrefatta, destinata a render praticabile un arenile dove corrono bambini nel chiarore del giorno di festa, tra palloni e schizzi di mare, bagni tempestosi, giovanili ardori. E gli operai al lavoro rimuovono ostacoli con la benna, per rendere possibile il futuro, ma non innalzano stracci rossi di speranza, ormai fuori moda, inconsapevoli del ruolo, non certo spinti da impeti gobettiani, attendono giorni d’estate tra raggi di sole inclementi e ombrelloni aperti nel vicino bagno, a un dipresso dal ristorante di mare.

Nastro Azzurro, recita una scritta da poco ricomparsa, vernice blu sopra il cornicione d’un palazzo che si sporge sul golfo, oblio perduto, cabine e ricordi, dove andavano coppie a far l’amore per notti d’estate, mentre il juke-box diffondeva melodie che prendevano forma alla flebile luce della luna e potevi sentire L’angelo azzurro dare il cambio a Siamo figli delle stelle.

La scavatrice, straziata da giorni di mattutini sudori, accompagnata dal mutuo stuolo dei suoi lavoranti, nel breve confine d’uno sterro, limite stabilito tra spiaggia e mare, piange le cose che cambiano, i freschi intonaci di dolore, l’erba divelta e l’alga rimossa, le cataste di passato accumulate, nell’intervallo d’una partita di calcio improvvisata tra bambini che non hanno niente da rimpiangere. Rito di trasformazione che si compie, come in una vecchia poesia dimenticata, solo non cambia la borgata, muta una spiaggia, un antico litorale già borghese, alla moda, fatto di rena fina e sorrisi di ragazzi innamorati. Poco lontano famiglie apparecchiano mense con panini e pasta fredda, riso e polpo con patate, un bagnino raccoglie sdraio dimenticate, un cameriere serve vino bianco sotto un pergolato.

Puoi solo pensare a cose vecchie, quasi cancellate, ricordare che solo l’amore, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto. Perderti tra la cantilena d’un’antica poesia evanescente, mentre il lamento della vecchia scavatrice dai denti radi culla l’amore consumato dai ricordi, disperate vibrazioni sgretolano giorni come fossero tormenti, in questo sole che crudele ancora splende, già addolcito da un po’ d’aria di mare.

Il brano è un’attualizzazione in salsa piombinese de Il pianto della scavatrice di Pier Paolo Pasolini (da Le ceneri di Gramsci).