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​Mi chiamo Gino e faccio il calciatore

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi ripercorre la storia di Gino Ieri e una pagina di storia calcistica piombinese

Foto tratte da Giovanni Gualersi - Piombino Calcio (Unbone Publishing, 2020)

Gino Ieri (Piombino, 10 Ottobre 1935 - 17 Giugno 2021). Questo racconto, per finzione narrativa scritto in prima persona, ripercorre le gesta sportive di un piccolo grande campione nerazzurro.

Mi chiamo Gino e faccio il calciatore. Stadio Magona, ho solo diciott’anni, Valcareggi è il mio allenatore - proprio lui (ma io non lo so ancora) che allenerà la nostra Nazionale - gioco in serie B, con una squadra che ha già dato il meglio. Due anni prima ero un ragazzino, ho visto la Roma perdere a Piombino, dagli spalti affollati del mio stadio, poi la crisi, l’industria che licenzia, non si possono spendere soldi per un gioco… Allora Valcareggi schiera i ragazzi e finisce il campionato. Gioco otto partite, finiamo in C, la mia categoria, dove continuo a giocare nel Piombino, la mia squadra, perché qui son nato. Centrocampista puro, dicono che sono fantasioso, che tiro in porta e segno molte reti, che sono l’uomo dell’ultimo passaggio. E allora viaggio, parto da Piombino, una valigia carica di sogni, altre illusioni, campetti sterrati di serie nazionali; dopo un po’ la mia città mi chiama, qui c’è il mare, c’è la mia Trastevere, e io ritorno, gioco in serie D per tre stagioni, fine anni Sessanta. Il calcio dura finché il fisico regge, purtroppo non sono così forte, ho poco più di trent’anni, mi faccio male, appendo al chiodo le classiche scarpette - chissà quanti ne hai veduti, chissà quanti ne vedrai -, qualcosa ho vinto, triste poi non sono, quella di De Gregori in fondo è una canzone. E allora, chissà perché, di tanto in tanto, me li ricordo tutti i miei compagni, quelli dell’anno della retrocessione. Carlotti (un vero portierone), Lorenzelli (elegante come pochi), Morisco, Mezzacapo (l’idolo del Cotone), Fiorindi e Colombelli, con Valcareggi chioccia in mezzo al campo. E i due anni di C con Mochi allenatore a guidare gente come Tafi, Impinna e Panattoni, un giovane Batistini, Cioni, Picchi, Bellucci e poi Tabani, Semplici, Martini. Torno da vecchio, ne ritrovo tanti al mio Magona, ma ci sono anche i giovani e vogliono imparare. Picchi c’è ancora, sicuro in mezzo ai pali, lascerà il posto a Vannoni che sta crescendo bene, è un bel portiere; in difesa Vemati, Tacchi e Topi, davanti Coscetti, Nannini e il buon Pierozzi. Faccio un po’ di reti, anche se il mio ruolo è in mezzo al campo, dove cerco di scrivere la storia, quella piccola dei campi in terra e fango, pure se il Magona è uno stadio, cari miei, uno di quelli che non puoi dimenticare. Piombino è la mia meta, punto di arrivo, la fabbrica e il lavoro, alleno i giovani, cerco di insegnare il poco o il tanto che credo di sapere; faccio in tempo ad allenare il Venturina, ma preferisco i ragazzi, il calcio giovanile. Sono già vecchio che mi danno un premio, uno di quelli dati alla carriera, certo mi piace stringere una targa, sentire l’affetto della gente, ma il mio premio è stato aver vissuto il tempo irripetibile dei sogni, gli anni d’oro del calcio piombinese. Adesso osservo il campo sportivo della vita. Vemati guida la difesa, Tacchi in mediana, Cioni marca l’avversario, Lorenzelli attende l’ultimo passaggio. L’arbitro è in campo, sta già per fischiare. Mica lo sapevo che si potesse rivedere tutto quanto, aprire gli occhi, sentire quel rumore, il cigolare stridulo del mio sottopassaggio.

Foto tratte da Giovanni Gualersi - Piombino Calcio (Unbone Publishing, 2020)