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Quarant’anni da un Mondiale

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia “Quarant’anni da un Mondiale” di Gordiano Lupi

Mondiali di Spagna dell’ottantadue, son passati quarant’anni e sembra ieri per come ricordo certi giorni del passato; scorrono come un sogno su lungarni di Pisa illuminati da candele spente dopo San Ranieri, ricordano un esame, diritto diplomatico, mentre al Bar Cipriani facciamo nero il Brasile. Vedo la partita di straforo, ché siamo tanti a dare quell’esame, devo aspettare, partecipo a caroselli improvvisati, non ripasso per il giorno dopo, quando m’interrogano e porto a casa un onesto ventinove. Siamo in finale, l’esame ormai l’ho dato. Che ci faccio a Pisa? Scappo a Piombino, treno del pomeriggio lungo strade ormai dimenticate, ferrovia locale, sentori di Cassola verso il mare, verso Cecina, quando in fondo alla vallata intravedi Casale, Saline, poi Volterra. La partita me la guardo con gli amici della sezione arbitri, ché facevo pure l’arbitro di calcio, non mi bastava vedere le partite, tifare Piombino, Inter, pure Pisa, purché fossero maglie nerazzurre.

Mondiali di Spagna che vinciamo contro i rivali di sempre, quei tedeschi che mio nonno chiamava tedescacci e non pensava certo ai calciatori. Girandole a festa, auto a far casino in piazza Verdi, in corso Italia, da Salivoli al Porto, era la prima volta, bolgia improvvisata, inno di Mameli a tutto spiano, come fosse Baglioni, Viva l’Italia di Francesco De Gregori da un Autovox Canguro malandato.

Bearzot aveva capito tutto, era bravo a mescolar le carte, nelle prime tre partite aveva nascosto il potenziale, adesso lo portano in trionfo come l’ultimo eroe nazionale. Forse aveva avuto tanto culo, capita spesso, mica fa niente, si resta nella leggenda, anticipando Sacchi, seguendo un tema antico come il mondo. Paolo Rossi finisce nel refrain d’una canzone. Stefano Rosso cantava L’italiano, forse son rimasto solo ad ascoltarla: e la domenica ho problemi grossi / segna Giordano oppure Paolo Rossi. Povero Stefano Rosso, morto qualche anno fa, nessuno si ricorda più di lui, pure se a noi ragazzi di quei tempi là piaceva tanto.

Era l’anno dei Mondiali, quelli dell’Ottantadue, Paolo Rossi era un ragazzo come noi, cantava Venditti. Sembrava come noi. Tu prova a fare sei reti in un Mondiale, battere Argentina, Brasile e Germania. No che non era come noi. Era il nuovo simbolo del calcio italiano. E ci faceva impazzire.