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Quel giorno che vidi Pelè in via Gaeta

Su #tuttoPIOMBINO il ricordo della partita dell'estate 1970 vista in un tinello operaio di via Gaeta

Quel giorno che vidi Pelè in via Gaeta era l’estate del 1970, un balcone annerito affacciato sulla grande acciaieria, il mostro che dava fumo e lavoro. La prima volta che lo vidi giocare fece un gol di testa al nostro Dino Zoff saltando più alto di Burgnich, cancellando sogni e speranze riaccese da una rete di Bonimba sul finire del primo tempo. Brasile campione del mondo, Italia seconda, poco da fare, era la legge del più forte, un 4 a 1 che non ammetteva repliche.

Mica lo sapevo che Pelè aveva fatto faville in Inghilterra, nel 1966, al tempo ero troppo piccolo per capire di calcio; nel 1958 in Svezia neppure ero nato, nel 1962 in Cile a fatica parlavo. Ho fatto in tempo a vedere solo le ultime partite di Pelè, un pugno di gare giocate dopo aver vinto i mondiali in Messico, il suo lento declinare verso gli Stati Uniti, dal Santos al Cosmos.

Restava comunque un mito per noi bambini che sognavamo di giocare a calcio, le storie narrate dai padri potevano bastare, i commenti televisivi pure, ci fidavamo. E poi aveva spazzato via la nazionale di zio Uccio, uno che aveva giocato nel Piombino in serie B diversi anni prima, un fatto che mi sembrava surreale, l’allenatore degli azzurri aveva cominciato ad allenare proprio nel nostro Magona, dove mio padre mi portava a vedere le partite.

Chi ti credi d’essere, Pelè? Interrogativo retorico che veniva fuori ogni volta che qualcuno esagerava con la palla al piede, non la passava, voleva strafare. Non sei mica Pelè, Vieni, Pelè … (detto con sarcasmo), Di Pelè ce n’è uno solo! Pelè sta in Brasile. E via di questo passo. Appena cominciò a far faville Maradona, gli epiteti vennero aggiornati versione pibe de oro, ma Pelè resse il colpo, non fu mai spodestato, persino chi non l’aveva mai visto giocare subiva l’influenza della leggenda.

Ecco, per me Pelè è una partita di calcio in bianco e nero, vista in un tinello operaio di via Gaeta, a Piombino, mentre tra il primo e il secondo tempo mi affaccio e chiamo Luca - da terrazzo a terrazzo - per dirgli che stiamo pareggiando, che forse ce la possiamo fare. Pelè è la caduta dei sogni, nel secondo tempo, è l’uomo che spazza via i desideri d’un bambino, lascia stare se contribuiscono pure Gerson, Tostao, Rivelino e Jairzinho, ma il Brasile è lui, il re del calcio, il bomber imprendibile che colpisce e non perdona. E dal giorno successivo tutti in piazza Dante con il Super Tele stretto in braccio a gridare Non sei mica Pelè, Chi ti credi d’essere, Pelè?, Pelè sta in Brasile…

Lui era l’uomo che si portava via i sogni ma lasciava un grande sogno, quello del calcio più bello del mondo, del calcio danzato, degli uomini che con la palla tra i piedi possono fare qualsiasi cosa. Ecco perché me lo ricordo ancora quel giorno che vidi Pelè in via Gaeta, era la prima volta che accadeva, la televisione trasmetteva in bianco nero, ma lui indossava una maglia splendente, gialla come l’oro rifinita di verde.

Articolo di Gordiano Lupi