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​T’incanta i bachi e altri detti

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia nuovi modi di dire riportati alla memoria da Gordiano Lupi

“Incantare i bachi” indica un rito di medicina popolare e preghiera, diffuso in passato, per liberare un bambino da un’infezione intestinale da vermi, attraverso formule magiche, gesti rituali, un messaggio addominale o l’applicazione di aglio. La pratica rientra nell'ambito dei riti per i vermi in cui si faceva riferimento a invocazioni e a rituali fisici con le mani per fare morire i parassiti. A Piombino, nell’antico uso popolare, si usava per definire una persona capace di farti dire o fare cose che non ti passano neppure per la testa. Esempio: “Vai vai da lui che t’incanta i bachi!”. Il significato in senso lato indica pure una persona autorevole capace di farti una ramanzina in merito a un tuo comportamento negativo.

Siamo in campagna e studiando i modi di dire della nostra terra ci siamo resi conto che nella maggior parte dei casi derivano da usi campestri e contadini. Un termine come vieto, per esempio, significa vecchio, decrepito, in senso figurato appassito, malaticcio, da noi si usa a proposito di cibi per dire che un prodotto (burro, prosciutto) è stantio, odora di stantio, ergo sa di vieto, è vieto. A Piombino - nella Val di Cornia in generale - per vieto intendiamo un alimento andato a male.

“Il calzolaio va con le scarpe rotte!”, è un altro modo di dire contadino che risale ai tempi in cui si risolavano le scarpe e il calzolaio non aveva tempo per riparare le proprie per dedicarsi anima e corpo al lavoro retribuito da terzi. In senso figurato il detto significa che chi fa un mestiere, soprattutto legato alla cura dei beni materiali altrui, per farlo nel modo migliore trascura se stesso e le proprie cose.

“Ti puppi il sedano!” è un bel modo di dire che fa venire a mente il moderno “Ciucciati il calzino!” usato da Bart Simpson. A Piombino si usava l’espressione “Ti puppi il sedano!” nei casi in cui, a cose fatte, non restava che adeguarsi alla situazione. Esempio politico: “O non l’hai votato? E ora ti puppi il sedano!”. Esempio calcistico: “Te l’avevo detto che era una scarpa! L’hai comprato e ora ti puppi il sedano!”. Alternativa volgare: “Adesso ti attacchi!”. Dove non lo diciamo…

Restiamo in campagna e parliamo di fichi che a Piombino sono neri, almeno quelli autoctoni, poi se ne trovano anche di colore verde, ma in quel caso la pianta è d’importazione. Il modo di dire “Ai fichi quadri!” sta per “Alle calende greche!”. Avete mai visto un fico quadrato? No davvero. Non esistono, come non ci sono le calende greche. “Ai fichi quadri!” è la classica esclamazione per affermare che una determinata cosa non la faremo mai, che in un certo luogo non ci andremo mai. Esempio calcistico, che mi piace tanto, pur se triste. Domanda: “Quanto tornerà il Piombino in serie B?”. Risposta: “Ai fichi quadri!”.

“Veniva un’acqua come i nocchini di moro!” è un equivalente del tutto in disuso di “veniva un’acqua a catinelle!”, oppure di “cadeva una sgrondata d’acqua dal cielo!”. Non è molto chiaro il riferimento ai nocchini dei mori, i vecchi piombinesi lo spiegano con la forza attribuita alle persone di colore e alla grandezza delle loro mani, quindi un nocchino (bottarella come per bussare in testa data con il palmo della mano piegato) inferto da un africano farebbe più male, sarebbe più pesante, rispetto a un normale nocchino. Ergo l’acqua che colpisce a grandi goccioloni sul cranio sarebbe come se un moro ti prendesse a nocchini sulla testa.

Vediamo qualche definizione campestre. Un ragazzo può essere scapestrato, ma diciamo che è italiano, pur se l’aggettivo in disuso e indica una persona oziosa, dissoluta, che conduce una vita disordinata. Tecnicamente una bestia libera dal capestro è scapestrata, per estensione il ragazzo che conduce una vita sin troppo libera, fuori da ogni regola, è scapestrato. Se la sua andatura è dinoccolata può essere definito sbigiancolato, ma è un termine caduto in disuso. Una spepa, invece, è una ragazzina sveglia, una che di certo non è timida. Uno scalcagnato è un tipo piuttosto male in arnese, malmesso, trasandato. L’aggettivo scalcagnato deriva dal calzino rotto nei calcagni, ma a Piombino tutti diranno scarcagnato, da buoni labronici, usando la erre al posto della elle.

La loia in campagna non manca, secondo la Treccani il termine deriva dall’emiliano ed è il sudiciume, la lordura, l’unto che si forma sulla pelle e sugli abiti, specialmente intorno al collo. In piombinese l’aggettivo viene spesso usato come sostantivo: “Che popo’ di loia che sei!”, per dare del sudicio a una persona, ma anche per definire un tale come gretto e rozzo. Per restare in campagna parliamo della gruma, che è una particolare forma di loia, prodotta dalle botti di vino o dal fornello della pipa. Il termine gruma, dice la Treccani, è una variante di gromma, per raccostamento a grumo, e si può usare anche per indicare un’incrostazione di sangue raggrumato (il tronco irto e spumoso di sanguigna gruma, canta il Manzoni). “Datti una bella sgrumata!”, è l’uso piombinese per dire a una persona molto sporca di lavarsi a fondo, magari usando un bruschino. Non solo ripulire dalla gruma, quindi. I nostri vecchi per definire il sudicio usavano anche il termine grofia. Esempio: “Che grofia sei!”. Una grofia sarebbe una persona sudicia sia in senso fisico che morale.

Terminiamo questa parte campestre per ricordare il magnano, nome che deriva dal latino manianus e da manus; era lo stagnino itinerante, il calderaio, colui che andava per i paesi a riparare gli oggetti di rame, quindi aveva le mani nere. Ergo ai bimbi con le mani sporche si usava dire: “Lavati le mani che sembri un magnano!” . La stessa cosa veniva riferita al venditore di noci (nociaio), caratterizzato dalle mani nere. Un modo di dire frequente nei confronti di una persona sudicia: “Con lui non ci mangerei nemmeno le noci!”. Il termine liso, invece, era riferito a un tessuto consumato da un uso forzatamente prolungato, significava un capo di abbigliamento logoro, ma anche manufatti di marmo come dei gradini potevano essere lisi e sbrecciati. Si tratta di italiano corretto, usato poco, perché capita con meno frequenza di vedere abiti lisi. Si diceva anche di un tipo liso, quando si parlava di una persona fiacca e svilita.