Il sole che tramonta in curva Tolla metafora della mia vita. La curva scaldata dal sole, da tiepidi raggi anche nei giorni invernali di tramontana e grecale, o sotto frustate inclementi di maestrale. Se in gradinata non potevi stare c’era la curva a salvarti, alternativa a pagare un biglietto costoso ed entrare nella verde tribuna a favore di sole, adesso abbattuta, costruita con lamiere di Magona. Mio padre amava andare in curva Tolla (quante volte l’ho detto!), non credo solo per motivi economici, ricordo un me stesso bambino che gli strappa dal naso gli occhiali da sole per guardare il mondo a colori. Erano gli anni Sessanta, quanti palloni ho visto insaccare nella porta della curva Tolla, quella dove il Piombino segnava spesso, così dicevano i vecchi. Ho visto portieri volare da un palo all’altro, scongiurare reti, difensori piangere per stupidi errori, calciare rigori, aggredire e difendere invano, non darsi per vinti, implorare, gridare, protestare per un fallo non dato. E poi son cresciuto in quel campo, l’ho visto invecchiare, lui ha visto me che passavo gli anni migliori, la testa fuori dal sottopassaggio, le prime partite, mio padre seduto a osservare le azioni di gioco, ricordi sperduti nel vento e raggi di sole. Quanto tempo son stato lontano, non son bastati i campi sterrati del Sud, neppure San Siro, non è stato abbastanza il ricordo, lo stadio Magona chiedeva un ritorno. Giocare sul campo che mi aveva visto bambino, per mano a mio padre, dal Chiassatello alla strada che porta alle navi, entrare dal grande cancello, soffrire per vecchi colori. Spettatore e tifoso, poi centrattacco, la maglia del cuore, le reti, i sogni, volare lontano per farli avverare. Il ritorno è sempre più mesto, chi dice che non si dovrebbe tornare ha ragione, ma come poterlo impedire? Io non ci sono riuscito. E ho preso per mano la squadra, calciatore invecchiato, difensore in mezzo ai terzini, non più attaccante ma libero, un ruolo scomparso, perno del reparto arretrato, l’uomo più esperto, allenatore in uno stadio cadente che mi fa fremere il cuore. Passato il tempo del ritorno, non siedo neppure in panchina, adesso è il tramonto; la curva Tolla rifugio di erbe infestanti, impossibile entrare, posso solo intuire un fantasma, seduto al solito posto. La gradinata in briciole di antico granito e un’impalcatura di plastica, legno e lamiere che svetta nel mezzo, deturpa il presente, impedisce la vista degli ultimi ritagli di campo. Non appena arriva il tramonto sono soltanto un tifoso, l’urlo della folla lontano, ricordo di anni passati, siamo in pochi a guardare stanche partite, rito sfibrante di squadre e palloni, abitudine antica di domeniche che scorrono su vecchie passioni. Il sole tramonta in curva Tolla, tra bianche sedie sperdute, oleandri frondosi, pini marittimi che stan per cadere, strutture di legno marcito e chiodi sporgenti, recinzioni bucate, reti corrose dal tempo, sacchi di nera immondizia gettati dove un tempo vendevano caffè corretto al Fernet. Erano gli anni Settanta, lo stadio, mio padre, gli occhiali da sole, quel caldo tepore, il ricordo d’un giorno in cui la Roma perse la strada di casa ancora vicino. E il mio tempo doveva iniziare. Adesso il tramonto del sole rende più triste lasciare scaloni distrutti da incuria e abbandono, dove troppi amici perduti non torneranno. Non è mica il sapore del campo di gioco a mancare, neppure il dolore del tempo che non può tornare, la cosa più triste è sapere che di tutti quei giorni passati di piccola storia restano solo vaghi sentori di grida lontane perdute nel vento. Sabbia che scorre tra le dita della tua mano. E tu sai che non la puoi fermare. Perché è arrivato il tramonto.
Il racconto è uno spin-off di Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino (2014) e di Sogni e Altiforni - Piombino Trani senza ritorno (2018), il primo ristampato in occasione del decennale, scritto in prima persona come se a parlare fosse Giovanni, il calciatore protagonista dei due romanzi, ormai giunto al tramonto della sua esistenza.