Via Flemalle sta ancora a ricordare un gemellaggio anni Ottanta tra Piombino e la cittadina belga, posto di operai e miniere, memoria di sofferta emigrazione negli anni Cinquanta quando la Magona in crisi convinse molti piombinesi ad andare a lavorare in Belgio. Tra questi mio zio Aldo Andreuccetti, fratello della nonna materna, seguace del detto: “Dove si magiuca che Dio mi conduca!”, forse addirittura l’ha inventato lui, non so, così lo tramanda mia madre.
Adesso quel gemellaggio pare dimenticato, ma nei primi anni Ottanta organizzavano gite aziendali e incontri di calcio giovanile per cementare tanta fratellanza.
Ricordo che da Piombino partirono torpedoni pieni di calciatori di belle speranze, persino un nostro arbitro, il primo direttore di gara al femminile della storia: Irene Scrivini, che aveva soltanto sedici anni, in tempi recenti Giudice Sportivo Federale.
Di tanta gloria quel che resta è una modesta strada cittadina, dimenticata quanto il gemellaggio, un tempo viva, ora non più, persino a sfondo chiuso, transito interrotto da una cancellata.
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Via Flemalle inizia dove termina via Landino Landi, incrocio con via della Ferriera, anticamente strada per il porto, dopo un passaggio a livello, chiuso da quando inaugurarono il cavalcavia e la sopraelevata. In via Flemalle c’era il capannone del Tesi che vendeva elettrodomestici alla moda, trasferitosi dal piccolo negozio di via Carducci (vicino alla stazione ferroviaria), dove nel 1975 comprai il primo stereo, un Lesa portatile con due casse piccole che neppure si vedevano, ma quello passava il mio convento. Sempre dal Tesi, già in via Flemalle, acquistai il primo navigatore satellitare, di fatto l’unico comprato, visto che il telefono sempre connesso a Google lo sostituisce in tutto.
In via Flemalle c’era una concessionaria Ford molto attiva, annessa officina meccanica, dove ho comprato e riparato auto ma così tanto tempo fa che non ricordo quasi niente, sembra tutto un sogno. E dalla parte opposta non dimentico il piazzale dei camion e dei trasporti Nieddu affacciato su via del Chiassatello, altra strada chiusa dopo la morte del passaggio a livello cittadino. Non solo, anche se resta una lapide con l’antico nome, adesso è prolungamento di via Buozzi, mentre l’unica via del Chiassatello comincia lato viale Regina Margherita con la mia cara casa cantoniera (dove ho vissuto la bella gioventù) ormai disabitata.
Torniamo in via Flemalle, dove corre la linea ferroviaria verso il porto, oltre la palizzata, fermiamoci davanti agli alti pini, tra lecci, pitosfori, fichi d’india, canneti e ville in abbandono, tutt’intorno silenzio assordante e altiforni spenti, triste desolazione periferica di quel che un tempo è stato il nostro piccolo mondo proletario.