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Attualità domenica 21 gennaio 2024 ore 07:00

Far paura a Piombino

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO di QUINews Valdicornia “Far paura a Piombino” di Gordiano Lupi. Foto di Riccardo Marchionni



PIOMBINO — Ci sono espressioni cadute in disuso ma che un tempo si usavano molto nell’immaginario collettivo piombinese per far paura ai bambini. E non sono passati decenni, perché mia figlia - che adesso ha 17 anni -, da piccola era terrorizzata da un personaggio che nei primi anni Sessanta spaventava pure me, la terribile gatta gnuda. Grammatica classica vorrebbe che si scrivesse gatta ignuda, ma a Piombino nessuno ha mai usato certe raffinatezze lessicali. Tu pensa che il modo di dire che hai paura della gatta gnuda? Era un sinonimo per dire che hai paura di niente? Temi una cosa che non esiste? Una paura infantile, che le donne del tempo trasformavano in un immaginario felino senza peli, di sesso femminile, zimbello provocatorio per bambini pavidi. “Mamma ho paura!”, piagnucolava il bambino. “Sie… della gatta gnuda!” rispondeva la mamma. La gatta gnuda è un immaginario personaggio famelico, usato per sminuire chi ha paura di cose di poco conto; ricordo mia nonna intimorirmi con frasi del tipo se non fai il bravo viene la gatta gnuda! La gatta gnuda sarebbe un animale fantastico che si aggira per le campagne nelle notti scure, avrebbe le sembianze d’un gatto ma la grandezza di un cane gigantesco, del tutto glabra, dotata di un inquietante miagolio.

Un equivalente femminile e animalesco dell’uomo nero, che secondo un’antica filastrocca terrebbe prigionieri un anno intero; ammonimento che contiene una matrice razzista, al tempo dovuto al fatto che si vedevano pochi individui di colore a Piombino, quindi l’uomo nero faceva paura. Oggi è politicamente scorretto e non va usato! In ogni caso il nostro uomo nero è una sorta di demone, uno spirito che sembra un uomo ma è un fantasma oscuro che teme solo la luce, simile al Babau e all’uomo col sacco, forse è proprio la stessa cosa indicata con nome diverso, secondo il luogo. La filastrocca citata, usata per addormentare (e intimorire) i piccoli, recitava: Ninna nanna ninna oh / questo bimbo a chi lo do / lo darei alla Befana / che lo tenga una settimana / lo darei all’uomo nero / che lo tenga un mese intero / lo darò lo darei / ma per me lo terrei! Il finale era rassicurante, ma certo non le strofe iniziali, dove tra chi incuteva timore c’era anche la Befana, una strega bruttissima che portava doni ai bimbi buoni e carboni per i cattivi.

Un altro timore dei bambini degli anni Sessanta era il collegio, una sorta di reminiscenza dal Giornalino di Gian Burrasca (adesso non lo legge più nessuno), che portava a fantasticare in negativo su un luogo popolato da cattivi maestri e da perfide suore, ma anche da frati violenti che costringevano a studiare con le cattive maniere. Quindi, se non fai bravo ti mando in collegio! era un altro modo di ammonire il bambino a comportarsi bene, pena l’iscrizione a una sorta di galera per piccoli. Tutto più che politicamente scorretto, oltre che fuori da ogni moda contemporanea, ma noi che siamo interessati a conservare il passato, sfogliando un imponderabile album dei ricordi, vogliamo mettere nero su bianco anche questa antica tradizione. A parte il collegio c’era anche la casa di correzione, in certi casi persino identificata in un luogo ben preciso della città, magari in una casa cadente, che si faceva vedere al bambino capriccioso, con la minaccia di portarcelo dentro. 

Un’altra minaccia terribile da fare ai bambini piccoli era il gatto mammone. Niente a che vedere con il film di Nando Cicero del 1975, interpretato da Lando Buzzanca, Rossana Podestà e Gloria Guida, quello era proprio tutta un’altra cosa. Se non stai buono ti do al gatto mammone! Dicevano le mamme del litorale tirrenico ai bambini disubbidienti, quando il limite della pazienza era colmo. Il gatto mammone sarebbe anche un tipo di babbuino, una scimmia non ben determinata, ma non è quello che a noi interessa. La nostra ricerca è rivolta al mostro immaginario delle favole, un po’ come l’orco, ma l’origine è storica. Il termine proviene dalle invasioni dei pirati saraceni, soprattutto dagli assalti alle navi in mare aperto, frequenti nello stretto canale che separa Piombino dall’Elba. Il gatto mammone deriva dal nome arabo Maimun e dalla concrezione semantica di un concetto, quello delle scorrerie veloci e cruente di bande di pirati musulmani che caratterizzarono tutto il IX e X secolo anche il Tirreno settentrionale. Allo stesso modo gli orchi erano gli ungari, predoni terrestri terribili e sanguinari, simbolo di insicurezza e paura. (cfr. Anna Benvenuti Papi, Breve storia del’Elba, Pacini Editore, 1991).

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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