
Il meteorite che ha sfondato il tetto di un'abitazione in Georgia è più antico della Terra di 20 milioni di anni

Attualità domenica 10 agosto 2025 ore 07:59
Parlavamo alla Piombinese con Leonardo Meini

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia alcuni detti ricordati da Leonardo Meini ispirati al libro "Parlavamo alla piombinese" di Gordiano Lupi
PIOMBINO — Cominciano ad arrivare le prime lettere, alcune sono veri e propri articoli, perché ognuno di noi ha il suo modo di parlare piombinese. Questa domenica è il turno di Leonardo Meini, che collabora con una serie di detti e alcune integrazioni significative provenienti dal suo lessico famigliare e da alcune osservazioni inerenti le pagine del libro che ha letto.
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Il liscite era il termine con cui mio nonno indicava il gabinetto. Per cui andare al liscite era andare in bagno. Credo derivi dalla formula interrogativa Licet? con cui si chiedeva, credo a scuola, di andare in bagno. Espressione assimilabile al già citato Ma vai a letto e copriti diventava per mio nonno anche Ma vai al liscite, vai!. Mi dicono che a Grosseto si dica anche licite.
Essere inculento/inculente lo usava mia nonna riferito a me quando avevo una giornata negativa, quando mi giravano, ergo mi ero alzato con il culo torto.
Un’espressione meravigliosa che usava sempre il mi’ babbo per dirmi che ero duro: E che duri la banda del Sasso e loro sona, sona … Ho ricostruito che forse i bandisti della banda di Sasso Pisano non fossero molto abili e all’esclamazione di qualcuno “E che duri” per dire che non erano capaci, loro avessero inteso “che continui” e quindi continuassero a suonare indisturbati.
Fai come la pesca del Giunti, acqua fino ai ginocchi e pesci punti!…, in casa mia si coloriva un po’ di più, finiva con … acqua fino ai coglioni e pesci punti!
Un’altra espressione in voga in casa nostra a sottolineare le poche fortune familiari era la famosa Legge del Menga, chi l’ha in culo ce lo tenga.
Oltre a quelle citate nel libro, per indicare una persona molto alta, babbo usava l’espressione risparmiascale, bada che risparmiascale che è quello!, dove per scala si intende la scala a pioli, quindi espressione legata al mondo contadino.
Al tuo scarruffato aggiungo il nostro sgaruffato.
Altra espressione meravigliosa di mia nonna per riferirsi a persone delle cui osservazioni/affermazioni non valeva la pena di tener conto: quando parla lui/lei, faccio finta che scureggi il culo.
Alla tua mangiare a quattro palmenti aggiungo mangiare come un tribunale.
La giomella, espressione usata da mio zio per indicare la manciata, in realtà esiste in italiano (V. Dizionario Treccani: La g. è un’unità di misura, corrispondente alla quantità contenuta nel cavo delle mani accostate).
Non andiamo a cercare gli schiaffi in piazza, cioè esporsi a un insuccesso, a un rischio. Una mia amica dirigente scolastica in pensione dice Non andiamo a mettere il culo in mezzo alle pedate (ovviamente i calci).
Spesso da piccolo ero malaticcio e nonna mi diceva che ero bianco come una loffa di cammello. Scrivendo questi appunti, ho voluto vedere se ci fosse un riscontro ufficiale (v. Sopra giomella) e scopro che loffa di cammello in italiano si riferisce a camel toe in inglese, un termine gergale che descrive l’impronta della vulva umana visibile attraverso indumenti aderenti. Questo fenomeno è più evidente quando si indossano pantaloni stretti o leggings. Il termine deriva dall’aspetto che ricorda la forma dell’alluce del cammello. Va da sé che quella parte del corpo femminile non poteva altro che essere bianca rispetto al resto del corpo esposto al sole. Ovviamente la loffa è anche la peta silenziosa. E sempre per restare in tema, in casa mia il plurale di peta era pete.
Per indicare una persona insulsa, insignificante, mia nonna diceva che era come la merda del locco (allocco): né puzza e né odora.
Contro il culo la ragione ‘un vale lo diceva sempre mamma o nonna quando giocavamo a brisca (non briscola!) e vincevo, attribuendo le mie vittorie alla fortuna e non alla mia abilità!
Con questi chiari/lumi di luna, con questa crisi.
Chiappelo è di Magona! Perché i dipendenti della Magona stavano meglio di quelli delle Acciaierie e quindi si esortavano le fanciulle in età da marito a cercarsi uno sposo dipendente della Magona, magari un impiegato, che mia nonna raccontava erano soliti buttare i colli dei polli (ciò che scartavano) dalle finestre, fornendo ai piombinesi più poveri (non credo per misericordia) ottimo materiale per un buon brodo.
A mia zia Elsa, classe 1914, emigrata in Francia perché perseguitata dai fascisti ho sentito dire Pancia piena non vede pancia vuota, ma onestamente non saprei se il proverbio è piombinese, toscano, italiano o francese!
A integrazione di una tua citazione: l’azzo è brutto, disse il boddo che vide attizza’ il palo! Della serie: si mette male! Inoltre per indicare un attrezzo o un macchinario poco efficace o poco potente, che so, un motocoltivatore con pochissimi CV di potenza, una cosa buona a niente, mio zio diceva che non è buono nemmeno per leva’ le bodde di cantina!
Mio nonno quando voleva sottolineare quanto fossi inutilmente insistente io, a volte, o nonna o un’altra persona, non volendo arrenderci nella discussione, esclamava Ettullilla! Scritto così, perché non so se fosse E tu lilla oppure E tullilla …
Ma levati di ‘ulo per dire “ma falla finita, pago io” (per esempio).
O dente o ganascia (da te citato in campo odontoiatrico) e te crudele, io tiranno sono due espressioni che riportano alla tavola. Questa carne è dura, ma io non mi arrendo! In particolare la seconda espressione riporta alla carne cruda (crudele) ma io tiro, strappo (tiranno).
Un naso particolarmente importante da noi, un naso a pisciambocca è la povera (un grosso imbuto, sempre legato al lessico contadino).
Il polpaccio a buzzo di conigliolo non ha bisogno di spiegazioni.
Il moccolare di cui scrivi da noi è smoccolare, attività molto praticata in famiglia!
Babbo era solito dire Quanto più m’affanno e più m’aggaio, è come batte l’acqua nel mortaio. Insomma, tutti gli sforzi che faccio non servono a niente. “Aggaiarsi”, pare in quel di Pisa stia per “arrabbiarsi” e se si pestasse (batte) l’acqua nel mortaio è chiaro che il risultato sarebbe nullo!
Sempre babbo, per persona non particolarmente sveglia era solito dire che Dorme come una valigia in sosta.
Fico fico, boccone boccone, usato soprattutto dalla nonna, magari quando mangiava cose piccole (ciliegie, biscotti o polpettine fritte), ma anche dal babbo che traslava questa espressione dalla tavola alla caccia: a ogni colpo di fucile, una vittima.
Se se ne accorgono le budella a casa mia non era tanto per prevenire un danno, come riporti a pag 183, ma per sminuire il “danno” subito. Esempio classico: mi ferivo, arrivavo a casa sanguinante e la zia per sminuire: Mamma mia! Vedrai ora se se ne accorgono le budella, come dire: “non è che un graffio!”
Per indicare persona non del tutto normale, diciamo quantomeno singolare tu scrivi Mi sembri quello che me la fece sull’uscio e se n’andò, da noi era quello che mi cacò sull’uscio e il giorno dopo la rivoleva, che se permetti aggrava la situazione!
Duri alla menta! Era l’espressione con cui nonna mi apostrofava a sottolineare la mia caparbietà. I duri, essendo un po’ più grande di me, li ricorderai certamente. Se ben ricordo legato ai duri c’era anche uno specie di “slogan”, se vuoi, per attirare le acquirenti, tipo Duro e che duri, a sottolineare la qualità del dolciume ben fatto oltre che quella di un performante organo sessuale maschile.
Andare avanti, tirare avanti: … un altro frate, brodo lungo e seguitate!
A proposito di incignare non dimentichiamo incignare il preciutto!(cominciare a tagliare un prosciutto appena comprato).
E a questo proposito mi viene in mente un altro detto che babbo riferiva sui contadini di un tempo: tutto l’anno “gru gru” (insomma, un verso che ricordi quello del maiale!) e a Natale rrringa! I contadini, quelli più poveri (siamo ai primi del ‘900), disponendo di qualche avanzo dalla campagna, allevavano il maiale, ma quando arrivavano al periodo di farlo fuori, in genere il mese di dicembre, lo vendevano per comperare soprattutto scarpe per la famiglia, ma anche stoffa e ciò di cui avevano più bisogno. Così, l’aspettativa di un anno dei bambini e dei ragazzi veniva tradita con l’aringa, che, al tempo non particolarmente costosa, com’è noto veniva appesa e ci veniva strusciata la pulenda di granturco. A questo proposito l’amico di mio nonno, Osvaldo Fillini, per gli amici “Bandone”, che ho avuto la fortuna di conoscere e che per un periodo è stato mio confinante all’orto a San Rocco, oltre a raccontarmi di mio nonno Anito e di quando da casa andava in bicicletta a Follonica a lavorare la vigna, mi ha anche raccontato la storia che lui e la sua famiglia vivevano con il maiale. Esattamente come scritto sopra, con l’aggravante che essendo la famiglia per lavoro legata ai cicli della natura, talvolta dovevano spostarsi in massa, come per esempio durante il taglio del bosco e così il maiale seguiva tutta la famiglia dietro al barroccio, insomma un bell’incomodo per un’aringa! Bandone tra l’altro era originario di Sasso Pisano e il soprannome gli deriva dal fatto che suonasse (credo il trombone) nella famosa e già citata banda. Credo che un nipote di Bandone sia medico nutrizionista o qualcosa del genere.
Sembri il ciuco del ciottolaio o il ciuco di Lindoro era quanto mi sentivo dire quando esibivo stinchi, ginocchia, coscia e braccia piene di ferite e cerotti!
Tra ninnole e nannole da noi è tra nizzole e nazzole.
Nonna: Cencio dice male di straccio, il tale farebbe bene a stare zitto perché è esattamente come il tizio di cui sparla.
Nonna: Tra il cancro e la rabbia, la differenza è poca, triste metafora per dire non c’è molta differenza tra due cose.
Sempre nonna usava l’espressione beccafico per persone secche allampanate o in qualche modo strambe.
Babbo: Cari i mi’ fichi!, quando una cosa costa tanto.
Altra espressione che la nonna citava spesso: rendo l’anima a Dio, il corpo in tera e quel che ho tra le gambe al mi’ nepote Giambera. Qui non saprei davvero cosa dire. Mi viene da pensare che il morituro tenesse tra le gambe un sacchetto con i soldi o i valori, ma chi sia lui e suo nipote Giambera non lo so proprio
Il tuo culimaia di pag. 58 esisteva anche da noi per indicare sì un posto alla fine del mondo, ma anche per mandarci qualcuno in modo non cattivo, se vuoi simpatico e allora l’espressione completa era: Ma va’n culimaia a sculaccia’ i macacchi.
Quando uno la spara grossa o chiede l’impossibile si rispondeva: Sì, la fava d’Aronne oppure anche: Sì, la fava di Noè, che pesava un chilo e trentatré
Variante di mio cugino, purtroppo scomparso da poco, al tuo mangiare la segatura per cacare i trucioli, mangiare la segatura per cacare i tavoloni, intendendo i tavoloni per le impalcature, i ponteggi … efficienza piombinese!
La mia camera, a detta di mia nonna ogni volta che ci entrava, era una Casamicciola, ma credo che l’espressione sia nazionale.
Riprendendo il tuo gnau … mia nonna era solita ripetere un “ritornello” con cui apostrofava i vagabondi, che nel mio lessico famigliare erano i nullafacenti e non i giramondo: chi fa il muratore, chi fa il calzolaio, ma di lavorare gnaooooo!
E quando spesso in estate rientravamo tutti sporchi in casa, sbrodolati di cocomero e terra, la nonna era solita dire Ma voi con la pulizia non ci avete mai avuto niente a che fa’?, dove pulizia stava per polizia. Stessa espressione la usava per indicare persone notoriamente sudice.
Legato al tuo Chiurlo che ferrava i coniglioli a casa mia girava il soprannome Ferraconiglioli, insieme a Raspamota, Trombaciuche, Sciagattavedove
Hai fatto la scoperta di Ca’one, che a mezzanotte era buio!
Infine il canburdrò, evidentemente il cane bulldog, espressione con cui mia nonna apostrofava persone particolarmente sgraziate, magari un po’ grassocce. Per lei Bud Spencer era un canburdrò, ma la sua antipatia nei confronti del grande Bud derivava dal fatto che lui picchiava e come diceva lei Io, i fascisti ‘un ho mai potuti sopporta’!
Gordiano Lupi
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