Attualità domenica 06 ottobre 2024 ore 07:00
A proposito di "piombinesismi"

Parlare a vanvera, Bucazzucche, fichi palloni, Taralla, Corea, gatti e maiali. Nel Blog #TuttoPiombino Gordiano Lupi ripercorre le usanze linguistiche
. — Tante volte ci è capitato di usare l’espressione parlare a vanvera, che non è solo piombinese, ma nazionale. Forse nessuno si è mai chiesto che cosa fosse la vanvera. Ve lo spiego subito. In tempi molto lontani la vanvera era una guaina con serbatoio terminale che aderiva alle chiappe delle nobildonne, posta sotto le ampie vesti matronali che usavano indossare.
La vanvera permetteva alle dame di scoreggiare senza alcun imbarazzo per poi ritirarsi in luogo appartato (bagno), aprire la valvola e liberarsi dagli odori nauseabondi. In pratica parlare a vanvera significa parlare col culo! E a Piombino spesso quello diciamo, quando ci esprimiamo con terminologie piuttosto volgari come: cazzo spruzzi?, hai dato la via al culo?, ecco, ora dicci un’altra cacata / cazzata … A uno che lamenta tante magagne invece diremo: “Boia dé, ce n’hai più te della barca di Bucazzucche!”.
Ma anche: “Ne hai viste più te della barca di Bucazzucche!”. Ma chi era questo Bucazzucche? Un pescatore piombinese abbastanza disgraziato la cui barca aveva passato così tante avventure da essere ridotta molto male.
A Piombino capita di paragonare una persona ai fichi palloni (che sono grossi ma poco buoni), in questo caso sarà come dare al malcapitato del buono a nulla: “Sei come un fico pallone, grosso e coglione!”. Un modo di dire che ricorda anche il più fiorentino lungo lungo sciocco sciocco (il nostro brindellone).
Negli anni Settanta spesso si diceva: Farai la fine di Taralla che morì senza assaggialla! Il refrain volgarissimo veniva rivolto a una persona non molto popolare presso il sesso femminile; non è dato sapere chi fosse questo Taralla, ma c’è da giurare che si trattasse di un nomignolo inventato per necessità di rima. Altri (tra questi il popolare Masoni da me sentito più volte in corso Italia rivolgere ad amici tale apprezzamento) preferivano dire: Ci hai fatto il fiocco! “Dai la colpa alla Corea!” è un modo di dire che proviene dall’Isola d’Elba, usato molto da mio padre negli anni Sessanta - Settanta per apostrofare una persona che raccontava scuse poco plausibili.
Tutto deriva dalla eliminazione ai Mondiali di Inghilterra (1966) patita dalla Nazionale Italiana guidata da Mondino Fabbri, sconfitta dalla Corea per 2 a 1, con rete decisiva di un certo Pak Doo Ik, caporale dell’esercito, per anni spacciato come dentista (non sappiamo il motivo) da parte della stampa.
Fabbri, di ritorno in Italia, si mise a magnificare le doti calcistiche della Corea che si era rivelata più forte del previsto, invece di ricercare le magagne nei suoi errori tattici e nella debolezza della formazione azzurra.
Quante volte mi sono sentito apostrofare da mio padre con questa battuta quando cercavo di arrampicarmi sugli specchi per giustificare un insuccesso scolastico o sportivo! “Ai tempi dei maiali eran sospiri!”, invece si dice quando una persona emette flatulenze varie - soprattutto orali - al termine di un lauto pranzo, oppure dopo aver bevuto un boccale di birra, dimostrando di aver gradito il cibo o la bevanda.“Dopo San Rocco il cocomero è del porco!”, un altro detto che ritengo di origini elbane, perché lo abbino al ricordo della nonna paterna. In pratica vuol dire che dopo metà agosto - San Rocco cade il 16 - il cocomero è immangiabile, come si dice a Piombino è passato, in un parola non è per niente buono.
Il detto non va più di moda, resta come ricordo dei vecchi, perché con le serre e con la frutta che si trova sempre mangiamo cocomero (guai a chiamarlo anguria) da maggio a settembre. Citiamo il detto (nazionale, ma usato anche a Piombino) “Tanto tonò che piovve!”, che ha un senso sia meteorologico che metaforico. Il proverbio viene attribuito addirittura a Socrate.
Si racconta che un giorno, mentre il filosofo era impegnato a dialogare con gli allievi nel cortile di casa, la moglie Santippe (come racconta Panzini nel Il padrone sono me!, proprio un bel tipino), iniziò a inveire contro di lui, poi si affacciò alla finestra e gli rovesciò una brocca d’acqua in testa. Fu allora che Socrate, senza scomporsi più di tanto, esclamò: “Tanto tuonò che piovve!”. Lui non era piombinese e mise la u tra la t e la o. Questa frase si dice quando si verifica un avvenimento negativo ma non lo fa improvvisamente, prima ci sono segnali premonitori, proprio come il tuono annuncia la pioggia. Facciamo prudenza, quindi, non ignoriamo gli avvertimenti!Piombinese puro è “Tanto è sempre colpa del gatto!”, declinabile anche in forma impersonale come “Sì, diamo la colpa al gatto …”. Succede qualcosa in casa e di chi è la colpa? Sempre del gatto! Esclamazione che sta per sempre la solita persona, per esempio il marito, il figlio... di solito mai il vero responsabile.
Gordiano Lupi
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