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Attualità domenica 25 luglio 2021 ore 06:59

La venditrice di illusioni

La copertina del libro Raccontare Campiglia

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi propone un racconto di Aldo Zelli scritto negli anni Sessanta e riadatto



PIOMBINO — Un vecchio racconto di Aldo Zelli che meritava di rivedere la luce, scritto negli anni Sessanta, un racconto d’epoca che ho riadattato ambientandolo nel borgo di Campiglia Marittima, perché venisse pubblicato in Raccontare Campiglia 2021. Abbiamo sempre bisogno di illusioni, ognuno ha la sua chimera preferita. Magari esistesse davvero una venditrice d’illusioni… (Gordiano Lupi)

Tanti anni fa, Piazza del Mercato, a Campiglia, proprio dietro piazza della Repubblica dove si bevono aperitivi al fresco quando si fa sera, non era solo un nome per indicare un luogo caratteristico di un antico borgo collinare. No davvero. Era un mercato vero e proprio, pure bello grande, da fare invidia ai mercati delle industriose cittadine della costa. Venivano mercanti da ogni luogo per vendere frutta e verdura, stoffe di ogni tipo, animali vivi e spellati, carne e pesce da cuocere alla brace. Piazza del Mercato era un brulicare di vita e di chiacchiere, piena zeppa di donne del paese che di buon mattino cominciavano ad affollarla per accaparrarsi le offerte migliori. Spesso a questi rivenditori di generi alimentari e di vestiti si univano gruppi di giocolieri, equilibristi, pagliacci, uomini del circo che rallegravano i più giovani, soprattutto nei giorni di festa. I vecchi del paese ricordano anche un piccolo banco, un po’ defilato, seminascosto tra verdure, stoffe, animali, pane sfornato e chiocciare di galline, che di buon mattino veniva allestito da una donnetta minuta, una sorta di chiromante, pure se lei si definiva una venditrice d’illusioni. Il suo banchetto era piccolo e oscuro, ché nelle piazze antiche il sole non arriva mai, picchia sempre in tralice, un po’ di sbieco. La venditrice si portava dietro una lampada di ottone a tre becchi e la teneva accesa per mostrare la sua mercanzia e rischiarare ogni angolo del banco, anche se il suo viso rugoso restava in penombra. Chi acquista illusioni non ha bisogno di grande luce: chiede, sceglie, paga, nasconde l’illusione cercata e se ne va. Talvolta anche qualche cieco andava dalla donnetta per comperare un’illusione. E i ciechi, si sa, non hanno bisogno di molta o poca luce, tanto sono sempre al buio.

La donnetta vendeva illusioni da ogni prezzo. Illusioni da un soldo e illusioni da mille lire, a seconda del cliente. Le illusioni erano tutte in una grande scatola di cartone foderata di sbiadito raso celeste. Erano tutte lì, allineate, lucenti come palline di vetro. Illusioni d’amore, di speranza, di gloria, di fama, d’oblio. Ogni illusione aveva il suo colore, un po’ opalescente, un po’ irreale, ma ben distinto: scarlatto, verde, oro, rosato, perlaceo. Le illusioni non finivano mai; più la donnetta ne vendeva, più la scatola foderata di raso celeste sembrava piena. Le grandi dame dei quartieri nobili, specialmente quelle che vedevano avanzare il tempo leggendone il cammino sulle rughe del volto, ripetutamente acquistavano le illusioni della giovinezza e, tornate alle loro sale, ritrovavano per un attimo il sorriso dei vent’anni, il grande amore, l’infuocato sguardo degli uomini che le avevano amate. I giovani artisti, stremati dalla miseria e dall’avvilimento, acquistavano invece le illusioni della gloria, palline auree fragilissime. Ed ecco che una lirica, un dipinto, un rigo di musica, apparivano come capolavori da far gridare al miracolo.

L’indomani ciò che era stato osannato come capolavoro ritornava a essere quel che era sempre stato: una lirica fredda, un dipinto dozzinale, un motivo musicale plagiato. Tuttavia gli artisti tornavano dalla venditrice. A chiunque si presentasse, la donnetta sapeva consigliare quale illusione scegliere. E non sbagliava mai, la venditrice. I clienti erano titubanti, chiedevano con un filo di voce, quindi se ne andavano dal piccolo banco stringendo felici una traslucida illusione colorata nel palmo tremante.

I molti anni avevano ricoperto di una patina antica le case decrepite di piazza del Mercato. Qualche cliente non tornava più: forse era morto. Ma venivano clienti nuovi, sempre nuovi e chiedevano alla immutabile donnetta le vecchie illusioni.

Un giorno passò dal banco una giovane donna pallida dal vestito modesto.

“Vorrei un’illusione, signora. Un’illusione da pochi soldi perché sono molto povera”. La donna teneva per mano un bambino di pochi anni. La venditrice guardò il piccolo con stupita curiosità perché al suo banco non venivano mai bambini. Quando siamo troppo piccini non abbiamo bisogno di acquistare illusioni perché ne abbiamo già abbastanza e sono le più belle.

“Avete un bel bambino”, disse la venditrice.

“Sì, è molto bello. Somiglia al padre”.

“E che specie di illusione desiderate?”

“La speranza”.

“Sì, signora”.

“Veramente la speranza io la vendo sempre insieme a qualche altra illusione. Non so... l’amore, la gloria, l’oblio”.

“Oh! Io non ne ho bisogno. Non voglio la gloria, né voglio dimenticare. Voglio soltanto la speranza. In quanto all’amore, si può voler bene anche senza sperare. Ma io voglio la speranza”.

La venditrice prese la scatola celeste, l’aprì e mostrò alla donna le illusioni colorate. Le mani di quest’ultima erano incerte nello sfiorare le illusioni e sembrava che non sapesse decidere.

“Voi non siete pratica di illusioni, si vede subito” - disse la venditrice con un sorriso arguto - “capita qualche volta che una cliente venga per comperare un’illusione e poi non sa esattamente quale scegliere”.

“Questa illusione azzurra, cos’è?”

“È la fede”.

“Io ho fede”.

“È questa che dovete prendere, questa verde. È la speranza”.

“Allora la prendo, se non costa troppo basterà una sola”.

“Sì, basterà. Un’illusione basta sempre a tutti”.

“Quanto costa, signora?”

“Vedete, la speranza non ha prezzo. Ma a voi la darò per tre soldi soltanto”.

La giovane donna pagò, prese la sua illusione e se ne andò via dal mercato insieme al bambino dopo aver salutato la venditrice.

Dopo qualche istante venne un uomo molto distinto: un bell’uomo aitante vestito con ricercatezza.

“Vorrei un’illusione”.

“Da che prezzo?”

“Non bado al prezzo”.

“Che specie di illusione, signore?”

“Non so, non me ne intendo”.

“Mi dica per cosa le serve. Forse la potrei aiutare”.

“Ecco. Qualche anno fa ebbi con me una ragazza, abbastanza bella e abbastanza povera. Poi partii per un lungo viaggio. Appena tornato seppi che lei aveva avuto un bambino: mio figlio. Ora vorrei ritrovarla”.

“Ho capito, l’illusione che lei cerca è la speranza”.

“Me la dia, allora. Ho fretta”.

“Mi dispiace, di queste illusioni non ne ho più.

“Non ne ha più?”

“No, le ho finite. Ma posso indicarle dove trovarne una. Pochi minuti fa ho venduto l’ultima a una giovane donna. Non deve essere lontana. Segua questa via, la raggiungerà certamente. È una giovane donna con un bambino”.

“Lei pensa che vorrà cedermela?”

“Credo di sì”.

“Le offrirò qualsiasi prezzo”.

“Non occorre. Le dia in cambio questa illusione: questa rossa. La donna accetterà, ne sono sicura”.

“Che cos’èquesta illusione?”

“Il nome non importa. Vada”.

“Quanto?”

Non ha prezzo, signore, come ogni altra illusione. Mi dia tre soldi. Basteranno”.

La venditrice aprì la scatola delle illusioni. Di verdi ce n’erano tante, anche se al distinto signore lei aveva detto di averle finite. Ma, talvolta, è più conveniente non vendere. Passò dal suo banco in Piazza del Mercato un giovane magro, con gli occhi lucidi di febbre.

“Vorrei un’illusione, signora”.

“Lei è un pittore, vero?”

“Sì, signora”.

“Allora vuole la gloria?”

“Come fa a saperlo?”

“Gli anni portano esperienza, figliolo”.

“È quella illusione color oro, quella che mi occorre”.

“E non vorrebbe anche questa verde? La speranza?”

“Sono troppo malato per sperare. Voglio la gloria”.

“Eccola figliolo, ma costa cara. Tutto il denaro che lei possiede”.

Il giovane trasse di tasca una manciata di spiccioli.

“Questo è tutto ciò che posseggo”.

“E questo è il prezzo che io chiedo”.

Il giovane se ne andò via beato con la sua illusione. La venditrice chiuse la scatola foderata di celeste. Riprese l’eterna paziente attesa. Passò dal banco una procace ragazza, con gli occhi sfavillanti e le labbra dipinte.

“Avanti” disse la venditrice “venga avanti”.

Quella entrò.

“Vorrei un’illusione, signora” disse.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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