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Attualità mercoledì 05 marzo 2025 ore 09:57

​Un Cicciolo superbriaco e la nostra storia

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi ci racconta la storia del "re per un giorno, briaco per sempre"



PIOMBINO — Quando vedi sfilare Cicciolo torni bambino, c’è poco da fare. Ricordi la canzoncina che t’insegnava tua nonna, era lei amante del Carnevale, tuo nonno no, lui preferiva raccontare storie, tuo padre men che mai, libri e fumetti, ma il Carnevale non faceva parte del suo mondo. Non perdiamo l’occasione di festeggiare la fine dell’inverno, l’inizio della buona stagione, il canto d’un briaco errante al tramonto d’un cielo rosso fuoco, con l’Elba negli occhi. Non ci sono più gli ubriachi come Cicciolo, in fondo, nella nostra Piombino, resta solo il ricordo, resta la tradizione; non ci sono le osterie a Marina, le bettole nella città vecchia, non c’è il Bar Nedo in fondo a corso Italia, che serve un gotto di rosso e una granfia di polpo, ma quella la devi comprare fuori, nel grande bidone in alluminio che ribolle. Non c’è più tuo nonno che ci andava a bere, né tua nonna che torna a casa dopo il Carnevale, ti spiega la canzone del bischero, ti dice che domani al Sempione faranno ancora Godzilla, che questa volta combatterà contro King Kong. E tu sogni, incubi strani che non fanno dormire, attendi il sabato del doppio spettacolo con l’ansia nel cuore. Non c’è più tuo padre, che magari per Carnevale ti comprava un fumetto, Topolino contro l’uomo nuvola, oppure Topolino a Viareggio. Chissà. Resta Cicciolo, però, grazie a un pugno di vo-lontari, resta un motivo per andare in corso Italia a vedere la maschera di cartapesta sfilare, ché c’è ancora una storia da scrivere, la solita storia di sempre, quella delle madeleines e del tempo perduto. E quando sei in piazza ti accorgi che Cicciolo non ha niente a che vedere con la tradizione, purtroppo, è un supereroe mascherato con una tutina nera aderente, il fiasco di vino non lo stringe in pugno ma è alla base del carro. Non ha neppure il naso rosso e le gote da bevitore di vino il nostro Cicciolo, anche se viene definito un superbriaco e - come regola vuole - è re per un giorno, briaco per sempre. E poi è piccolo e magro, quando brucia ci mette davvero poco a scomparire, a diventare cenere, per fortuna ci sono i bimbi, loro non possono mancare, cantano musica latina, ballano rumba e merengue, ridono sotto un cielo rosso fuoco, attendono l’estate. Non t’importa più niente, d’un tratto, non vedi il presente, ripensi al passato, sei uno dei bimbi che cantano, pensando al domani. Il risveglio è inclemente, purtroppo. Il profumo del tempo passato si fa catturare solo un breve istante, poi fugge lontano, amico del vento di mare, come un gabbiano che lieve si lascia planare tra le scogliere. Tornando a casa ti accorgi che forse più niente rimane di quel vecchio ricordo, ma è stato importante fermarlo, grazie a un carro che muove i suoi passi verso quel mare, diretto a un rogo augurale, che segna la fine del freddo, del gelo, d’un inverno feroce. E basta il volto felice dei bambini che corrono intorno per farti capire che domani sarà di nuovo primavera.

La storia di Cicciolo

Cicciolo è nato in Magona, piombinese verace, è uno di noi, rappresenta la Piombino popolare e operaia, il beone storico, il briaco della vecchia Trastevere. Per anni è stato realizzato all’interno della fabbrica, nel reparto treni a freddo, frutto di un’appassionata attività dopolavoristica, in un clima di nuova fiducia, al termine del primo conflitto mondiale. Tradizione vuole che sia costruito come un grande pupazzo di cartapesta che stringe in mano un fiasco di vino; in tempi storici non poteva mancare un cosciotto di maiale arrosto, simboli di godimenti carnascialeschi, estranei a ogni privazione quaresimale. Si partiva dalla Magona, si sfilava per le vie cittadine, fino alla piazza sul mare, tra un codazzo di ragazzini vocianti che accendevano le torce quando si faceva sera e usavano il fuoco per bruciare il mascherone, simboleggiando la fine di tutte le pene dell’inverno. Gino Filippi, detto Vespa, un vecchio piombinese organizzatore di spettacoli, era il capo del reparto treni a freddo, possiamo dire che fu lui l’inventore di Cicciolo, frutto del lavoro di tanti giovani inconsapevoli di costruire una maschera che sarebbe diventata un simbolo cittadino. Forse avrà avuto lontane origini inglesi, non ci sono certezze, ma il nostro Re Carnevale ha sembianze maremmane, vive la sua spensierata goliardia tra scogli e ciminiere, piazze sul mare e altiforni.

Mario Barsellini è stato uno storico realizzatore del mascherone, al quale ha dedicato persino un libro (Cicciolo il re del Carnevale, edito dal Comune di Piombino) che racconta alti e bassi del nostro Carnevale, periodi di splendore e di crisi nera. Cic-ciolo fa parte della storia cittadina: il rito del falò al calar del tramonto, il coro dei bambini che intonano: è morto Cicciolo/ è morto un bischero (un tempo era: è morto Cicciolo, briom, briom, briom… e noi lo bruciam bruciam bruciam), il detto popolare che se brucerà bene avremo un’estate calda, tutto contribuisce a creare un alone di mistero attorno al mascherone. Cicciolo è il nostro Bacco, il re della trasgressione, per poco tempo al potere, perché l’ordine viene ristabilito da un rogo purificatore dopo un ridanciano corteo funebre con una moglie (un uomo vestito da donna come nella commedia dell’arte) che piange il triste destino del suo uomo. Il ribelle Cicciolo con il grande naso rosso, ebbro di vino, gonfio come un otre, si dirige verso la punizione terminale, quel rogo che una volta si teneva in piazza Bovio, oggi nel piazzale di alaggio di Marina, ma il significato resta lo stesso. Non ci sono più i carri d’un tempo al Carnevale di Piombino, la città è più povera, Follonica ha ereditato il primato delle sfilate organizzate nel golfo, ma il rito di Cicciolo non ha mai smesso di essere celebrato, persino ai tempi tristi della crisi della Magona, tra scioperi, licenziamenti ed emigrazione di operai in cerca di lavoro.

Cicciolo è una via di mezzo tra Bacco e Arlecchino, debitore per il carattere anche del napoletano Pulcinella e del fiorentino Stenterello, ma è più moderno, una sorta di operaio ubriacone che annega nel vino i problemi del quotidiano e vede il futuro con ottimismo. Cicciolo pare che nasca come Ciccio in periodo giolittiano, nel 1911, ai tempi delle rivolte socialiste, del periodico La Fiamma e di Max Biondi che affermava con passione: “Combatterò sino a quando non avrò visto tutte quelle maschere fare la fine del tradizionale Ciccio”. Cicciolo viene realizzato con materiali poveri, spesso fa satira e fustiga i costumi, negli anni Trenta fa il verso al Negus di Etiopia, nel 1939 - 1940 al re d’Inghilterra (Giorgetto) e a Churchill (che i piombinesi chiamavano Ciorcillone, Ciurcillone e persino Ciorci). Il presente di Cicciolo è lontano anni luce dalla politica, resta la maschera dell’ubriaco condannato per i vizi privati e per gli eccessi goderecci, rimpianto da una moglie scollacciata e volgare che si dispera in abiti succinti. 

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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