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Attualità domenica 03 novembre 2024 ore 07:00

La gradazione del brutto

Foto di Riccardo Marchionni

Nel suo Blog #TuttoPiombino lo scrittore Gordiano Lupi ripercorre un modo di dire legato alla visione delle cose



. — Non è proprio un modo di dire. Forse è una cosa inventata da noi adolescenti degli anni Settanta, fatto sta che la gradazione del brutto appartiene allo slang della mia generazione. Se ne scrivo è per non farla morire, perché se ne conservi il ricordo, come se fosse un vecchio flipper fuori moda gettato in qualche scantinato di periferia. 

Qualcuno che ha vissuto quei tempi là, magici al punto che si partiva da Piombino in duecento a bordo di quattro torpedoni per andare a vedere una partita di calcio a Castellina in Chianti, dopo aver fatto sosta per pranzare con tortelli al sugo e carne arrosto in una taverna di paese.

Tempi che non ritorneranno, allora si viaggia a ritroso con la memoria e si raccontano, non ci resta altro da fare. Il brutto aveva delle gradazioni, possedeva diverse tonalità, c’era il brutto sic et simpliciter, direbbero i latini, che diventava orrendo quando esagerava, ma poteva trasformarsi in torrente (chissà poi perché) se straripava e finiva per essere fiume quando si esprimeva alla sua massima potenza. 

Orrendo andava detto con le erre molto blesa, alla francese, torrente andava pronunciato con enfasi, come se le erre fossero tredici e non due, così come fiume portava la i ad allungarsi all’infinito per confluire nella vocale u. Ma non bastava, a volte aggiungevamo le gradazioni intermedie dell’orrore, cose come orrido e torrido, che precedevano il grado di torrente, pure in questi casi le erre erano molto blese e cosa ci importava che torrido significasse caldissimo, per noi era bruttissimo. 

Pure la gestualità era importante, per pronunciare questi aggettivi serviva un minimo di teatro, se brutto potevamo dirlo con aplomb inglese, già torrente e orrendo andavano espressi con enfasi, per finire con fiume che spesso ci portava sdraiati per terra, finendo - come dicevamo allora - in iperventilazione. 

Per farmi capire da chi non l’ha visto e da chi non c’era, come scrive sempre un mio amico giornalista, da quanto una cosa era brutta ci faceva mancare il fiato, serviva qualcuno che ci rianimasse, una sorta di gigantesco ventaglio per rimetterci in sesto dallo spavento. Inutile dire che tutto questo teatrino si poteva usare sia per criticare rappresentanti dell’altro sesso, come atteggiamenti (per noi) strani, persino azioni di partite di calcio condite da errori plateali. 

Erano anni in cui un comico televisivo ripeteva ossessivamente la domanda occosè un trangolo?, ogni volta che vedeva qualcosa di incomprensibile, noi ridevamo e usavamo questa battuta come se fosse uno slang. Altre espressioni, invece, le inventavamo di sana pianta.

Finiamola qui, ci sta che sia solo un ricordo personale, mica un modo di dire, ma è comunque qualcosa che ha attraversato la vita di una combriccola di amici che passava le giornate tra partite di Subbuteo al tavolino e incontri di calcio allo Stadio Magona. 

Ho mantenuto viva questa tradizione con i miei figli quando erano bambini, scherzando tante volte con loro sulle gradazioni del brutto, al punto che credo di averli contagiati con questa mia fissazione post adolescenziale. E adesso che ne scrivo sono qui che penso al sorriso nostalgico di tanti amici del passato che - se mai leggeranno queste righe - si sentiranno sfiorare ancora una volta da tutta la leggerezza che ci è passata accanto e non è stato possibile trattenere.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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