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Attualità domenica 12 gennaio 2020 ore 07:29

Divagazioni nostalgiche su Piazza Bovio

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia “Divagazioni nostalgiche su Piazza Bovio” di Gordiano Lupi. Foto di Riccardo Marchionni



PIOMBINO — Piazza Bovio è il simbolo di Piombino, il nostro orgoglio quando ci portiamo un amico che viene da lontano e lo invitiamo ad affacciarsi da una terrazza naturale che si sporge sulle isole, mette in primo piano Elba, Palmaiola, Cerboli, persino Montecristo, in lontananza fa intravedere la Corsica, dalla parte opposta Follonica, il Puntone, Scarlino e gli scogli di Punta Ala. 

Una finestra sulle isole, come recita una pubblicità non ingannevole dell’amministrazione comunale. Se non ci fosse stata la fabbrica ... torniamo al leitmotiv che come una sinfonia malinconica accompagna la nostra vita.

Piazza Bovio è un cuneo che si getta nel mare, la prua di una nave che sembra voler conquistare l’orizzonte, il posto migliore dove andare nelle mattinate primaverili e nelle sere estive, quando si cerca un refrigerio che non ha niente a che vedere con l’aria condizionata.

Piazza Bovio era la meta di ogni domenica mattina quando uscivo a passeggio con mio padre, una specie di rito prima del pranzo festivo, lui incontrava qualche collega di lavoro, comprava il giornale, parlava dell’Inter e persino del Piombino che il pomeriggio al Magona doveva affrontare un avversario pericoloso, oppure di politica, ma quella m’interessava poco. Io ascoltavo in silenzio, ché negli anni Sessanta i bambini educati non dovevano interrompere i genitori, pena sonori scappellotti, pure se non seguivo il filo del discorso preferivo fantasticare sul prossimo fumetto da acquistare, sul libro di Salgari interrotto sul più bello o sul pomeriggio al cinema Sempione dove proiettavano un doppio spettacolo a base di film di Romani (si chiamavano peplum ma non lo sapevamo), commedie interpretate dal grande Totò e improbabili mostri giapponesi che ci piacevano tanto.

Piazza Bovio e il giro dei becchi - come si chiama il giro intorno al faro per rientrare verso il centro cittadino - erano il traguardo immancabile dopo aver percorso Corso Italia, essersi fermati alle panchine per ammirare l’Elba e i pescatori sulle scogliere. Per me era una bella noia, lo ammetto, anche perché mio padre leggeva il giornale, parlava con gli amici, non raccontava fiabe, non leggeva storie, tutt’al più mi comprava un fumetto, mi aveva insegnato a leggere quando avevo cinque anni anche perché la finissi di costringerlo a leggere storie dopo una giornata di lavoro.

Preferivo la passeggiata in via del Popolo con mio nonno, lo confesso, anche se ero grandicello e non credevo più alla storia di Brighella e Pantalone incarcerati nel Castello, né a Pasquale Mannucci che si mangiò tutti i cavallucci e neppure a Nenerone e Mengherone, beffati dal furbo sarto Nannino che imbrogliava, metteva cinque e cavava sei, come diceva mio nonno. Storie che hanno attraversato la mia fanciullezza, insieme ai racconti della grande guerra combattuta dal nonno, prigioniero degli austriaci in un campo di concentramento, evaso con un amico e tornato a casa quando tutti lo davano per morto. Mio nonno raccontava quelle storie alla stregua di fiabe, invece erano la sua vita, ma le narrava così bene da affascinare come romanzi d’avventura, sogni a occhi aperti che si confondevano ai ricordi.

A volte in via del Popolo, nei giardinetti dell’ex Asilo Pro Patria mi parlava degli Stati Uniti dove era andato a far fortuna, come si diceva allora, ma la fortuna non l’aveva trovata o forse la sua fortuna era stata quella di tornare in Italia - a parte la guerra - sposare una donna che amava, mettere al mondo una figlia, insomma, vivere, come capita a tutti. Affrontare il futuro senza paura, come una scommessa in ogni caso perduta ma da far durare il più a lungo possibile e nel modo migliore.

Adesso rivedo con gli occhi del tempo che passa le passeggiate in piazza Boviocon mio padre e verso i giardini di via del Popolo con il nonno. Le rivedo e sono come madeleines assaporate nel tempo che non ritorna, pure se cerchi di scovarlo nei meandri della memoria, tra i pescherecci attraccati alla rada di Marina e il vento di scirocco che soffia dal Golfo di Follonica. Il tempo perduto svanisce come nebbiad’estate, rugiada di primo mattino, sabbia finissima che scivola tra le maglie della clessidra che segna gli attimi della tua vita.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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