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Attualità domenica 07 marzo 2021 ore 08:29

Il cambiamento di fine anni Cinquanta

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi raccoglie i ricordi di Annamaria Tognarini e dedicati all'infanzia in via dell'Indipendenza



PIOMBINO — Le cose cambiano e si avvicinano a quelle che ho vissuto anch’io, nato nel 1960. Non ho conosciuto le bande cittadine ma gli attaccabrighe isolati e i bulli di quartiere non me li sono fatti mancare. Sono nato in via Gaeta, in un condominio simile a quello che racconta Annamaria, dove c’era la chiostra con la pila, mio nonno abitava un appartamento ricavato accanto ai lavatoi, due stanzette buie che a me sembravano bellissime. Erano il mio rifugio dove andare a leggere fumetti di supereroi quando avevo dieci anni e mio padre non voleva che perdessi tempo con le cose inutili. Caro babbo, chi può sapere quali sono state le cose inutili della mia vita? Sono stati quei fumetti che mi hanno fatto venire la voglia di scrivere, che hanno acceso la curiosità di leggere cose più importanti. Sono convinto che adesso lo sai pure tu, non hai bisogno di consultare testi di sociologi passati di moda. Quando ci rivedremo sai quante risate su questa cosa… I giochi dei maschietti, invece, non comprendevano la campana, ma la palla non poteva mancare, come c’erano le biglie e le buchette, le figurine dei calciatori e la bicicletta. E la domenica era d’obbligo la partita allo Stadio Magona, in alternativa il doppio spettacolo - con provvista di semi e gommoni - al Cinema Sempione! Ma leggiamo i ricordi di Annamaria…

Gordiano Lupi

Il cambiamento di fine anni Cinquanta

Le cose cambiarono velocemente; con le case nuove aumentarono gli abitanti del quartiere e scomparvero le bande assieme ai cantieri. Rimasero individui isolati pronti alla rissa che si sfidavano come galli, per la nostra felicità, al punto di coinvolgere anche le famiglie e i vicini. Una di queste risse si scatenò per lo scontro tra due ragazzi, uno dei quali era l’attaccabrighe di mio cugino, e la mamma dell’altro gettò mia zia a terra tenendola per i capelli con il rischio di sbatterle la testa contro il cordolo del marciapiede. Gliela tolsero dalle mani in tempo, mentre noi si faceva il tifo pieni di entusiasmo! 

Gli abitanti della zona aumentavano e cresceva la varia umanità, mentre sempre di più scompariva il verde di alberi e orti! I miei genitori avevano costruito la casa d’angolo, quella della pescheria di Nida, tra via Indipendenza e via Dalmazia, lì ci eravamo trasferiti dopo aver abitato all’ultimo piano del palazzo al lato opposto. Ogni pianerottolo di quel palazzo aveva un gabinetto in comune tra le due famiglie di quel piano. Noi l’avevamo in comune con i nonni e gli zii. Gli inquilini a piano terra per i loro bisogni dovevano salire al primo piano.

Così andava il mondo… Io sono nata lì! Sotto di noi abitavano i Passoni, la loro figlia Vilma era molto bella, sposò Giorgio Macchi, giocatore di pallone. La casa nuova era piena di comodità, vere meraviglie per quegli anni, basti pensare a un bagno molto grande, munito di lavandino, vasca, water, persino bidet. Dalla nuova abitazione vedevamo arrivare nuove famiglie, con la possibilità di nuovi amici, nuovi incontri e legami che credevamo indissolubili, nuovi scontri e odi tribali. Di quel periodo la cosa che ricordo con un certo disagio, era la presenza di famiglie che abitavano nelle cantine dei palazzi del Comune. La mia camera era a parete con il palazzo del Comune di via Dalmazia e nel silenzio della notte o nelle prime ore della mattina spesso sentivamo voci, risate, persino grida e discussioni. Non doveva essere facile per famiglie intere vivere in quelle catacombe che prendevano luce solo dai grandi cortili sul retro del palazzo. Questi erano estesi quanto il palazzo stesso, vi venivano coltivati fiori, qualche pianta, ma più che altro varie verdure commestibili e allevato anche qualche animale da cortile. Durante il giorno io e mio fratello, dall’alto del nostro terrazzo sul retro della palazzina che si affacciava su quei terreni, senza renderci conto del privilegio di avere un’abitazione ampia e confortevole, quasi invidiavamo quei ragazzini che si rincorrevano nell’erba e sguazzavano nell’acqua dei solchi tra l’insalata e i fagiolini. Qualche volta, nelle prime ore dell’alba arrivavano le macchine della polizia per sanare le baruffe nate per il viavai di uomini che si avvicendavano nell’abitazione di una signora che mia mamma diceva (a mezza voce e con vari ammiccamenti) che facesse la vita, qualsiasi cosa volesse dire quella parola. Spesso scoppiavano violenti scontri verbali con gli inquilini del palazzo con scambi di reciproche accuse. I motivi di interesse erano tanti! Chissà secondo quali criteri furono assegnati quegli alloggi! In un periodo di grande miseria ma anche di grandi speranze mi rendo conto che tali scelte venissero comprese, accettate ed accolte proprio perché tese a soddisfare necessità primarie come quella dell’alloggio, dopo quello che la gente aveva passato e quel che si andava ricostruendo.

Devo dire che era tangibile in ogni famiglia, nelle attività lavorative, nella vita di tutti i giorni anche per noi giovani la voglia, anzi la vera e propria certezza di andare verso un futuro migliore, per tutti e tutti assieme. Per questo non ho mai sentito i miei genitori parlare male di qualcuno dei nostri vicini, né maltrattare i bambini. Da parte nostra, forse memori dei tempi delle bande, con alcuni di quei ragazzi stringemmo legami di amicizia durata fino a quando non ci siamo persi di vista.

Intanto il quartiere cresceva d’importanza per numero di abitanti, di negozi e di servizi come l’ufficio dell’Onarmo, un ente assistenziale, in seguito arrivò la Mutua, in cima a via Dalmazia. Avevamo nuovi amici e nuove conoscenze specialmente in via Dalmazia, dove varie famiglie abitavano nelle chiostre, che sono la caratteristica architettonica della struttura dei palazzi della vecchia Piombino. Nelle chiostre c’erano le pile condominiali, i lavatoi dove le donne andavano a lavare e a tendere i panni, dove, sui lati liberi erano stati ricavati alloggi abitativi. Non ci batteva molto sole o comunque per pochissimo tempo e c’erano certi topi, che a Piombino si chiamano tarponi, evitati anche dai gatti da quanto erano grossi! Uno degli amici più cari che abitava con la sua famiglia in una di quelle chiostre era Sauro Paini, con il quale anni dopo avrei ballato scatenati rock and roll. Insieme ad altri amici come Maria Vittoria Campanini (detta Chicca), figlia di Maria la Sceriffa verduraia, mio cugino Silvio Fanfani e Piero Pazzaglia, figlio di Angiolina la fioraia, mio fratello Paolo, che era ancora piccolo, abbiamo condiviso avventure allo Scoglio d’Orlando a fare ricci, lampade e polpi… Inoltre andavamo all’esplorazione del Falcone, della Buca del Bove, dove si scendeva la ripa passandoci mio fratello con notevole incoscienza. Infine andavamo anche alle Cento Scalinate dietro alle mura di Cittadella.

Pian piano le cantine si svuotarono e alle famiglie che le abitavano furono assegnati altri alloggi in varie zone di Piombino. Ci furono anni difficili e movimentati, ci fu l’occupazione della Magona, con la Celere e i licenziamenti, le camionette sui marciapiedi, le lotte operaie, ma anche la ripresa che ci faceva guardare al futuro con fiducia. Anche noi eravamo cresciuti e ognuno aveva preso la sua strada. Qualcuno di quei ragazzi lo vedo ancora, qualcuno lo riconosco, qualcuno mi riconosce. Tanti non ci sono più... come Sauro e Silvio. Quelle strade si sono zittite e nessuno fa più la sassaiola in una battaglia all’ultimo buco in testa.

A proposito di giochi

La Campana - Il gioco della campana si svolgeva disegnando in terra, meglio sul marciapiede perché già delimitato dalle mattonelle, 11 caselle di seguito l’una all’altra ed alcune doppie. Partendo dalla prima dove si lanciava la ciastrella si doveva fare il percorso fino all’ultima casella che era doppia, saltellando su un piede solo e spingendo la ciastrella con il piede a terra, casella per casella. Se si arrivava in fondo senza che la ciastrella si fermasse su una linea tracciata, si girava con un saltello sulla n.10 - 11 e si tornava indietro allo stesso modo. Se tutto andava bene si proseguiva gettando la ciastrella nella seconda casella e si partiva di li. Così di seguito. Il momento più difficile era quando si doveva gettare la ciastrella sulle ultime caselle senza che si fermasse su una linea. Altrimenti ci si fermava per un turno.

La Palla - Chi possedeva una palla aveva non solo un tesoro ma un vero e proprio potere. Infatti a suo insindacabile giudizio il gruppo poteva passare delle ore a giocare oppure il proprietario poteva negare agli altri il divertimento giocando da solo. Il gioco consisteva nel far rimbalzare la palla contro il muro recitando una filastrocca e riprendendola seguendo pari pari i gesti che la filastrocca suggeriva, con i piedi ben fermi a terra: Stando fermi , con un piè, con una mano, batti batti, zigo zago , girotondo, tocco terra, tocco cuore, angioletto del signore. Se finiva bene senza far cadere la palla, si proseguiva ricominciando ma su un piede solo e poi di seguito con una mano sola e via secondo la filastrocca. Insomma era sempre più difficile e se la palla cadeva ci si fermava per un turno.

Qui sotto gli altri due articoli dedicati ai ricordi degli anni 50 di Annamaria Tognarini.


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