Cotronei e Bosco
di Pierantonio Pardi - mercoledì 15 maggio 2024 ore 06:00
Due insoliti mestieri.
Uno si chiama Marino e di mestiere fa l’ufologo, l’altro è Massimo e spara ai demoni con la 44 Magnum. Insomma, due tipi bizzarri. Vittorio Cotronei è l’autore del primo romanzo Passato remoto , segnalato da Paolo Ferruzzi per il premio Strega 2019, dove si narrano appunto le gesta di Marino, l’altro, La sindrome di Minosse di Ottavio Bosco, racconta le imprese di Massimo Ortis, più noto come il Purificatore che fa uno strano mestiere: ha una speciale licenza vaticana di uccidere demoni. E’ il migliore esorcista del mondo, che si muove come un detective dell’hard boyled.
Vittorio Cotronei
PASSATO REMOTO
Nella mia quasi maniacale ossessione di trovare analogie e corrispondenze tra gli autori che vado a raccontare, questa che ho scoperto tra il romanzo di Vittorio Cotronei e “La coscienza di Zeno” di Svevo è forse la più bizzarra; infatti, Il romanzo “La coscienza di Zeno” inizia con una Prefazione dello psicanalista, che dichiara di pubblicare le memorie di un suo paziente, Zeno Cosini, per dispetto (perché ha abbandonato il trattamento), e avverte il lettore che quelle che sta leggendo sono verità e bugie. Il narratore della “Coscienza”, l’inetto, nevrotico, malato immaginario Zeno, è chiaramente un narratore inattendibile, di cui non ci si può fidare come risulta dalla prefazione del dottor S., che insiste sulle tante verità e bugie accumulate nel memoriale.
Invece “Passato remoto”, il romanzo di Cotronei si conclude proprio con una riflessione della psicanalista che ha in cura il protagonista, Marino Maltese, rassegnata perché il suo paziente non salda il suo debito, ma intenzionata comunque a non abbandonarlo a sé stesso: “ Il paziente continua a presentare una grave forma di delirio persecutorio e ideazione paranoide rispetto al complotto, conseguente al trauma per il lutto non elaborato o comunque alla perdita del legame con l’amico Ramiro Bettini, scomparso ormai da dieci anni.”
Ma, al di là di questa bizzarra somiglianza, tra i due protagonisti, Zeno e Marino, non c’è nessuna somiglianza. Zeno è un ricco commerciante triestino, Marino di mestiere fa l’ufologo.
Però, in quanto a introspezione e autoanalisi tra i due ci sono molte affinità, tra cui quella di affidarsi alla terapia psicanalitica, Zeno, per liberarsi dalla sua inettitudine e dai vari complessi che lo affliggono, Marino dai suoi molteplici demoni.
E uno di questi demoni, sotto forma di ossessione, è dato proprio dalla scomparsa del suo amico Ramiro, nella pineta di Andalù da cui prende il titolo il romanzo che precede questo che stiamo raccontando. Ramiro aveva deciso di passare una notte nella pineta di Andalù teatro di prostituzione e messe nere e da lì non era più riemerso.
Anche in Passato remoto, Marino entrerà di notte in un bosco e si troverà ad assistere ad un’orgia … ma, procediamo con ordine.
Dunque, Marino è un ufologo che torna al suo paese natale, un antico borgo dell’entroterra toscano, Poggio Primo Marittimo dalla cui rocca il Modesti, pensionato della Solvay e noto bracconiere, si era gettato senza una ragione apparente.
Nella casa del suicida, Marino, che è tornato lì per indagare, rinviene dei fogli scritti in alfabeto etrusco che lo indirizzano verso il mondo dei tombaroli e del mercato nero di reperti archeologici. L’indagine lo condurrà in un luogo misterioso che pare legato al mito di Tagete, il “Saggio dalle sembianze di fanciullo” che leggenda vuole abbia insegnato agli Etruschi la scienza sacra dell’ aruspicina. Questa in breve la sinossi come viene riportata sul risvolto di copertina.
Ma perché un ufologo dovrebbe indagare su un semplice caso di suicidio; ecco come viene fornita la spiegazione:
Il Modesti si era suicidato per non aver sopportato l’onta di volantini anonimi che lo accusavano di essere un farabutto per non aver saldato un vecchio debito di anni. Quei volantini erano usciti casualmente pochi giorni dopo aver a suo dire, avvistato un UFO nei boschi della Valle del Rio ed essere arrivato persino a toccarlo con mano. Sulla fusoliera dell’aeronave aveva visto degli strani segni che non ha saputo descrivere in un primo momento ai Carabinieri, ma che poi ha trascritto su un foglio, quando gli si sono ripresentati improvvisamente in sogno le notti successive.
Quei segni erano una scritta in etrusco che significa Tagete, una divinità che pare, secondo la leggenda, abbia insegnato agli Etruschi una scienza sacra, l’aruspicina, che permette di prevedere il futuro attraverso la lettura delle interiora degli animali.
E comunque spesso in quei boschi di notte si vedono luci anomale e anche su questo Marino dovrà indagare.
Quello che più mi ha colpito in questo giallo che evoca però le atmosfere del noir, non è tanto l’inchiesta (la quète) che porterà Marino a scoprire loschi giri di tombaroli alla ricerca di urne etrusche, visto che i boschi ne sono pieni, a conoscere un personaggio inquietante, temuto da tutti, il Lucumone, che gestisce il traffico dei reperti, a verificare che esiste un “Confraternita”, una sorta di massoneria che vede implicati in loschi e fruttuosi affari tutti i notabili del paese… quello che ho trovato originale è la focalizzazione zero messa in atto dal narratore sul personaggio Marino, sulle sue crisi di identità, sul problematico ritorno al passato remoto della sua esistenza.
Poi, volendo, un’altra analogia esiste anche tra la “Confraternita dell’uva” di John Fante e la confraternita di questo piccolo borgo. Nella Confraternita dell’uva Fante parla di un padre, il vecchio tirannico e orgoglioso primo scalpellino d’America, un immigrato di prima generazione, Nick Molise che, insieme ai suoi amici, viene guardato con inorridita inquietudine dagli americani, persuasi che gli italiani fossero creature di sangue africano, che girassero con il coltello e che la nazione fosse ormai preda della mafia.
La stessa diffidenza che si trasforma spesso in sarcasmo è quella con cui viene accolto Marino dai vecchi amici, o meglio dalle vecchie conoscenze, e dai notabili della Confraternita del paese.
Ecco come parlano di Marino, il sindaco e Ilio Nacci, due esponenti di spicco di questa confraternita:
- - Poi – cambiò discorso il Sindaco . ci sarebbe anche un altro problema.
- - Allora ragazzo, l’hai trovati questi UFO? – chiese con forte accento inglese
- - Senti ma te per fare l’ufologo sei mica iscritto all’INPS? – lo provocò Volpe
- - Sono a partita IVA, collaboro con varie riviste del settore che mi pagano al pezzo.
- - Senti senti … - sentenziò ironico
- - Marino allora si rivolse di nuovo a Dondolo – In questo come in altre centinaia di casi dichiarati falsi, ciò che non si spiega sono le testimonianze.
- - Io l’ho visto – ribadì l’americano.
- - Ci credo, come altre decine di persone hai visto quella luce, ma non c’è nessuna prova concreta al riguardo, nessuna. Per questo motivo considero l’ufologia una religione. Non c’è al mondo, nessuna prova concreta dell’esistenza di Dio, eppure milioni di persone credono in lui, vanno in chiesa, pregano, osservano i sacramenti, affermano di aver assistito a miracoli e prodigi. Ugualmente non c’è nessuna prova concreta riguardo all’esistenza degli alieni, eppure ogni anno ci sono milioni di avvistamenti in tutto il mondo, molti vengono spiegati scientificamente, altri no. E senza prove certe, la cosa che accomuna chi crede nell’esistenza di Dio a quella di visitatori provenienti dallo spazio è una e una soltanto: la fede.
Insomma, per farla breve, è il “credo quia absurdum” di Tertulliano, ma sintetizza bene l’interpretazione che Marino dà del suo mestiere.
Ma sentiamo come Cotronei parla del suo libro.
D. Diversamente da molti romanzi gialli il protagonista di “Passato remoto” (oltre che di “Andalù”) non è un poliziotto ma un ufologo. Come è nato il personaggio Marino Maltese?
R. Il personaggio Marino Maltese nasce dalla voglia di scostarsi e diversificarsi dalla moltitudine di commissari che popolano le librerie italiane ed è ispirato ad ufologi in carne ed ossa come Giorgio A. Tsoukalos e Erich von Däniken.
D. La gran parte del tuo romanzo si svolge tra il paese immaginario chiamato “la cittadina” (ipotetico paese costiero in provincia di Livorno), Poggio Primo Marittimo, ma anche Pisa e Volterra. Come in “Andalù”, anche in “Passatoremoto” le tue pagine hanno una forte connotazione territoriale, non solo per i paesaggi e i luoghi ma anche per i tipi umani che compaiono. Marino Maltese potrebbe esistere solo in questo angolo di mondo?
R. Questo angolo di mondo fa parte dello stesso Marino Maltese. Siamo noi e le nostre circostanze, lo diceva José Ortega y Gasset.
D. L’ufologia compare nel tuo romanzo non tanto come narrazione di avvistamenti, quanto come “religione” o atteggiamento nei confronti dell’ignoto. È una consapevolezza di Marino Maltese oppure dell’autore Vittorio Cotronei?
R. Non mi interessa tanto l’ufologia quanto gli ufologi, la loro personalità come quella di tutti i complottisti in generale.
D. Sono tante le citazioni che fai all’interno del tuo romanzo di libri pubblicati nella catena Urania. Oltre ad essere i libri preferiti di Marino Maltese sono anche i tuoi?
R. Certo! “Le Comuni del 2000” di Mack Raynolds e “Antigravitazione per tutti” di Bob Shaw fanno parte dei miei libri preferiti in assoluto.
D. Esiste davvero una birreria che si avvicina alla descrizione del Due Lune di “Passato remoto”?
R. Il Due Lune esisteva. Si chiamava Pino Solitario, a Marina di Cecina. Là ho passato l’intera giovinezza.
D. Ci sono delle ritualità che rispetti prima di scrivere o quando scrivi?
R. Non ho particolari riti se non isolarmi completamente dal resto del mondo.
D. Ci sono possibilità che il protagonista Marino Maltese abbia ulteriore sviluppo con un altro volume?
R. Certo, vorrei finire la trilogia ambientandolo a Volterra, un’indagine su Fernando Nannetti akaNof4.
Vorrei riportare adesso la motivazione inviata da Paolo Ferruzzi a sostegno della sua segnalazione riguardo a questo libro, al premio Strega
«Conoscevo questo autore grazie al suo romanzo precedente Andalù, di cui avevo scritto la postfazione, apprezzandone le intuizioni e la descrizione con leggerezza quasi “kunderiana” di una cittadina rivierasca ormai spoglia dei fuochi d’artificio estivi.
In Passato Remoto c’è una maggiore consapevolezza; una trama densa ben congegnata e una importante maturazione stilistica.
Come l’opera precedente, anche Passato Remoto sfugge a una stretta collocazione di genere, raggiungendo un felice equilibrio fra l’affresco sociale di una provincia e di chi la abita raccontati con rapide e vivide pennellate, e una matrice di stampo giallistico sospesa fra suggestioni di fantascienza e un affascinante viaggio nei meandri della misteriosa civiltà etrusca.
Una storia che si snoda in tanti cunicoli aprendo via via la vista su camere segrete che offrono al lettore un punto di vista ogni volta diverso su una vicenda che rivela uno dopo l’altro i suoi molti segreti come un antico sepolcro per la prima volta violato.»Quando prima ho scritto che questo romanzo evoca le atmosfere del noir, ho pensato a una definizione che Derek Raymond (Incubo di strada, Il mio nome era Dora Suarez)dà del noir: “Lo scopo del noir è mostrare tutta la merda che lo Stato, come una vecchia domestica isterica, cerca costantemente di nascondere sotto il tappeto davanti al maggior numero di gente possibile dicendo: “Non pensate anche voi che qua sotto ci sia un gran puzzo di merda?”
Ed è quello che Marino porta alla luce con la sua indagine: un mondo corrotto, avido e bugiardo, quello, in sintesi che si riconosce nella fantomatica “confraternita”.
Un’indagine nella quale comunque Marino non sarà solo; avrà come aiutante Matilde, la giovane figlia dei coniugi Sabatino, proprietari della villa che dà sulla vallata e dove spesso in quei boschi di notte si vedono delle luci anomale.
L’altro aiutante è il Fruzzetti che però gli provoca una forte ansia: Un paio d’ore dopo avrebbe dovuto incontrarsi al Due Lune con il Fruzzetti. Forse era stato proprio quell’appuntamento, la prospettiva di scontrarsi ancora una volta col passato ad aver innescato l’ansia inesplosa che gli giaceva nel petto come un ordigno bellico sommerso.Il male oscuro, ecco con cosa deve combattere Marino:
Il sapore amaro del risveglio, il male dell’anima, la bestia dentro. Marino sapeva, conosceva le periferie più malfamate della tristezza. Il vuoto, autentico, in cui sapeva di poter essere risucchiato (…) La morte nel cuore (…) l’ansia di dover rivedere persone non degne di questo nome.
Un’altra aiutante è Teresa, la barista, con cui intreccerà una breve relazione e soprattutto il Matto del paese (il Leonardo Da Vinci delle colline) con cui, alla fine, risolverà il mistero che, ovviamente, non vi svelo, anche se posso dirvi che la Necropoli non c’entra niente … c’è ben altro.
Ma, ripeto, al di là dell’intreccio che è ben costruito, grazie ad una serie ben calibrata di colpi di scena, l’elemento forte di questo romanzo è dato dal personaggio Marino, dal suo riflettere in termini introspettivi sulla sua vita, sulle donne, sul suo mestiere:
Marino forse nutriva un pizzico d’invidia per coloro che conducevano una vita regolare, perché in fondo la sua natura non gli aveva dato alcuna possibilità di scelta; era nato per inseguire l’ineffabile, fare la guerra ai mulini a vento, dare la caccia agli extraterrestri. Non avrebbe potuto fare altrimenti.
Marino Maltese insieme al Marco Buratti (l’alligatore) di Massimo Carlotto e al Lazzaro Santandrea di Andrea Pinkets è uno dei personaggi più originali dello scenario giallo/noir della narrativa italiana.
L’autore
Vittorio Cotronei è nato a Pisa nel 1977. Una volta laureato in legge si trasferisce a Madrid, dove rimarrà per cinque anni. Attualmente vive a Montescudaio (Pisa). Premiato al Fazio Degli Uberti con il racconto Luce, il suo romanzo, Andalù (MdS Editore, 2015), è stato premiato al Premio Letterario Internazionale Cinque Terre – Golfo dei Poeti. Dopo aver partecipato alle raccolte di racconti Vituperio delle Genti e Maledetti Pisani (MdS Editore, 2016/17) esce con il suo nuovo romanzo in cui si ritrova l’ufologo Marino Maltese, già protagonista di Andalù.
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Ottavio Bosco
LA SINDROME DI MINOSSE
Inizio a presentare questo inquietante romanzo partendo dalla mia prefazione
Prefazione
Stavvi Minòs orribilmente , e ringhia
Essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia
(Inferno, V, vv. 4 -6)
Inevitabile la citazione dantesca, prima di versare sangue e parole su questo allucinante remake postmoderno dedicato ai demoni.
Allucinante ed ironico. Ora, intendiamoci, nel medioevo il diavolo era di casa, anzi istoriato sui muri insieme all’icona della morte con tanto di falce. Era un secolo di paure e superstizioni, quello, dominato comunque da una forte presenza divina, da un senso di predestinazione e di sporadiche assoluzioni, tramite indulgenze.
Dante ,a modo suo, aveva un po’ sdrammatizzato questa claustrofobia clericale e aveva dato vita alla pattuglia dei Malebranche, a quei diavoli dai nomi assurdi e tragicomici, Malacoda, Cagnazzo, Farfarello…
Dalla V Bolgia dantesca alla bolgia contemporanea, in realtà il passo è breve e Ottavio Bosco, come Virgilio, ci guida in una nuova dimensione del demoniaco.
L’eroe, in questo caso, si chiama Massimo Ortis e di mestiere fa il purificatore, ossia l’eliminatore di demoni, con licenza regolare conferitagli dal Vaticano, e si muove come un detective dell’hard boyled, alla Philip Marlowe, per intenderci…
Il plot in breve: una mambo (sacerdotessa Woodoo) vuol resuscitare un demone Asanbosan per creare un esercito di morti viventi che prenderanno il potere sulla terra. Un altro demone Astaroth cercherà di fronteggiarla, ma Massimo riuscirà a distruggere entrambi i demoni e la sacerdotessa mambo. Le scene si susseguono in sequenze a tratti filmiche e il ricorso allo splatter evoca il Tarantino di Pulp Fiction.
Il titolo è indovinato perché Massimo come Minosse ha il compito di giudicare e spedire all’inferno i peccatori. Minosse li spediva giù nei gironi avvolgendo la coda, Massimo a colpi di 44 magnum…
Narratologicamente parlando, questo libro appartiene al genere pulp, perché mischia e dosa con grande sapienza i morti viventi di George Romero, le atmosfere gotiche di Bram Stoker e la suspense di Stephen King, concedendo comunque molto al grand guignol.
Il ritmo è veloce e le sequenze narrative si succedono implacabili con continui rovesciamenti.
In realtà poi questo libro si presta anche ad una lettura allegorica, i demoni non sono che metafore delle nostre paure, delle nostre superstizioni, sono virus dell’intelligenza e Massimo, allegoria della ragione, li decapiterà, fornendo ai sopravvissuti nuove speranze, anche se molti dubbi affollano la sua mente : “ Ormai facevo fatica a fare una logica distinzione tra demoni e uomini cattivi. In fondo che differenza c’è? Stavo diventando un mostro? Lo ero sempre stato? Esiste un uomo in grado di giudicare cosa è bene e cosa è male?” – si chiede Massimo.
E questi sono dubbi che dovrà sciogliere il lettore…
Ma Ortis non uccide solo demoni; è anche un serial killer smanioso di ridurre in briciole qualsiasi disgustoso pedofilo, terrorista, stupratore a piede libero. Uccide anche gli “infetti”, coloro, cioè, che portano il virus trasmessogli dai demoni. Sembrano posseduti, si divincolano su letti impiastricciati di liquami disgustosi e inneggiano a Satana, berciando insulti contro il prete di turno; ma non basta sventolargli davanti una croce e sussurrare preghiere su preghiere, tanto non si libereranno mai, chi contrae il virus è insalvabile, condannato.
Solo un bel colpo di pistola può donar loro la pace. (…) L’esperienza l’ha reso ancora più duro, cinico e disperato, ma non gli ha fatto perdere l’ironia. E con battute becere, una gran tracotanza, eccolo che decide di dare una mano alla polizia nella risoluzione di un caso molto ambiguo. Quelli che sembrano banali atti vandalici in un cimitero condurranno fino alle fauci di un terribile demone, molto antico, anche più di Astaroth e Satana. (..) Massimo Ortis, che ricorda per i suoi comportamenti e il suo modo di esprimersi i duri dell’hard boyled, immortalati da Mickey Spillane o Raymond Chandler, non ha pietà per nulla e nessuno.
Ma diamo un saggio della scrittura di Bosco, altrimenti ci si ferma ai soli bla bla:
Consigliai a tutti i presenti di allontanarsi da porte e finestre ed impugnai la 44, pronto a fare fuoco. Udivo chiaramente, oltre al mio inopportuno amichetto interno che sghignazzava, i morti che raschiavano le mura esterne e i demoni che zampettavano sul tetto come passerotti dopo un temporale: indubbiamente una situazione a dir poco spiacevole che poteva terminare solo con un massacro. (…) Un fragore sordo scosse il robusto portone della chiesa dai cardini e io non esitai a far fuoco imitato dagli altri uomini che cominciarono automaticamente ad indietreggiare schiacciandoci contro il piccolo altare. Rumore, urla di terrore, urla disumane e fumo. Poi breve tregua e silenzio. Subito dopo, nuove urla, meno rumore e molto sangue. Gli uomini in prima linea venivano falciati come mosche dai morti che si gettavano in molti su uno solo mordendolo e facendolo a brandelli mentre altri venivano decapitati dai demoni che si muovevano a velocità pazzesche e colpivano in un modo che faceva presupporre un livello intellettivo sicuramente più evoluto rispetto ai loro amici/nemici morti senza cervello.
Sembra, leggendo questa sequenza di essere nel film Dal tramonto all’alba di Rodriguez, sceneggiato da Quentin Tarantino a cui questo libro sarebbe molto piaciuto.
Ma, come di consueto, sentiamo cosa ci racconta l’autore, riportando questa intervista realizzata da La tela nera.com nella quale Ottavio ci parla del libro e di come è nato, ma non solo. Non mancano neppure riferimenti a Il Purificatore il romanzo che precede questo, dove compare per la prima volta Massimo Ortis.
Esorcismi a Pisa: intervista a Ottavio Bosco Libri > Interviste > LaTelaNera.com ha intervistato Ottavio Bosco, autore de La Sindrome di Minosse (ETS Edizioni). Intervista realizzata da Alessio Valsecchi l’11 gennaio 2013. [LaTelaNera.com]: Presentati ai nostri lettori e raccontaci della tua passione per la scrittura.
[Ottavio Bosco]: Mi chiamo Ottavio Bosco ho 39 anni e da circa dieci anni svolgo l’attività di geologo come libero professionista. Sono nato e vivo a Pisa.
Fin da piccolo ho sempre avuto una grande passione per la lettura e impiegavo gran parte del mio tempo fagocitando un po’ di tutto passando dai grandi classici agli scrittori emergenti: non potevo e non posso immaginare la mia vita senza un libro e diffido per natura dalle persone che non leggono.
Passare dalla lettura alla scrittura è stato un naturale evolversi del mio percorso letterario e, anche se a causa degli studi ho tardato a mettere nero su bianco le prime righe, questa passione si è concretizzata all’inizio del 2011 con la pubblicazione del primo romanzo: Il Purificatore.
La Sindrome di Minosse è quindi nato come proseguimento de Il Purificatore anche se non lo definirei come il classico continuo ma piuttosto come l’evoluzione del personaggio principale del romanzo che va di pari passo con quella del sottoscritto.
Ora non posso più fare a meno di scrivere perché ne varrebbe del mio benessere psicologico.
[LTN]: Parlaci del tuo La Sindrome di Minosse: trama, temi, contenuti. Come è nato?
[OB]: Avevo assolutamente bisogno di continuare a dar vita a Massimo Ortis, personaggio principale già del primo romanzo nonché esorcista sui generis che elimina i demoni con regolare autorizzazione vaticana e, inoltre, dovevo assolutamente trovare un modo per impiegare le lunghe notti insonni. Questi sono i fattori predominanti che mi hanno portato a scrivere La Sindrome di Minosse.
La trama in sintesi: il confronto-scontro con un demone molto potente ha sconvolto la vita di Massimo rendendolo ancora più cinico e facendo emergere la parte malvagia insita in lui.
Ortis sarà così costretto a confrontarsi col male in una delle sue forme più subdole e sfuggenti che richiede una profonda e dolorosa presa di coscienza: accettare e dar sfogo ai propri demoni interiori per combattere un’entità arcana e immortale che rischia di far sprofondare l’umanità nel baratro della perdizione eterna.
Il tema principale e ricorrente del romanzo è quindi il male che può assumere molte forme, sia quella di un ripugnante “demone” privo di sentimenti pronto a uccidere che quella più profonda e sfuggente che si trova dentro di ognuno di noi: la malvagità insita nell’uomo e atavicamente collegata ai nostri geni. Non è possibile inoltre parlare del male senza pensare alla paura, ovvero un sentimento in simbiosi con il percorso evolutivo dell’uomo e che ci ha permesso di sopravvivere fino ad oggi.
Tutte le più grandi civiltà a noi antecedenti hanno fondato le basi della loro cultura sulla paura, spesse volte convertendola in uno stimolo positivo come ad esempio gli spartani, altre volte utilizzandola come vettore di controllo delle masse.
E' innegabile dunque che la paure e le fobie siano parte integrante della nostra vita e che quotidianamente siamo chiamati ad affrontare le nostre: non sempre con buoni risultati e questo è evidente. Il diavolo non è affatto scomparso con la civilizzazione e l’affievolirsi delle superstizioni ma ha solo cambiato forma e le modalità con le quali agisce sono le stesse dall’inizio dei tempi.
Un romanzo horror-pulp come il mio deve necessariamente far paura con un pizzico di ironia e, per ottenere tale esito, è fondamentale mettere a nudo le nostre debolezze e le nostre imperfezioni che sono poi le più difficili da accettare e comprendere.
La Sindrome di Minosse si presta anche ad una lettura allegorica che può variare secondo la sensibilità e i gusti del lettore.
[LTN]: Come hai conosciuto e pubblicato per la tua casa editrice?
[OB]: ETS Edizioni è una delle case editrici più importanti a Pisa e quindi già conoscevo la qualità delle loro pubblicazioni. Nonostante il mio romanzo non rientri propriamente nel genere trattato nelle loro collane, hanno deciso di darmi fiducia e di puntare su di me. Ho valutato diverse offerte ma non ho avuto dubbi nella scelta: sono una persona molto empatica sotto certi aspetti e prediligo ancora i rapporti umani e diretti.
[LTN]: Il risultato finale sulla tua opera ti soddisfa a pieno?
[OB]: Non proprio dato che tendo a essere un perfezionista perennemente insoddisfatto. Sono molto critico nel giudicare i miei lavori per cui difficilmente potrò essere appagato pienamente da ciò che scrivo. Ogni cosa può essere migliorata a posteriori e, visto che fare dietrologia non porta quasi mai a buoni risultati, direi che sono soddisfatto al novanta per cento.
[LTN]: Hai una tua pagina web "ufficiale" che usi come centro strategico per le tue attività letterarie?
[OB]: Ho creato una pagina su facebook, Dottor Ortis – Esorcista, in modo che le persone abbiano la possibilità di scrivere i loro commenti, positivi o negativi che essi siano.
[LTN]: Hai tenuto molte presentazioni letterarie per "spingere" il tuo libro?
[OB]: Il romanzo è uscito da poco tempo per cui ancora no: ho in programma un almeno un paio di presentazioni nella mia città nel mese di Febbraio e su altri progetti sto ancora lavorando. Desidero trovare la location giusta per presentare La Sindrome di Minosse e questo mi porterà a girovagare per la splendida Toscana che in quanto ad atmosfera e fascino non è seconda a nessun altro luogo.
[LTN]: Quali canali hai battuto personalmente per promuovere la tua opera?
[OB]: Essenzialmente social networks e il caro e vecchio passaparola (ammesso che possa essere considerato un canale).
[LTN]: Quale tipo di narrativa leggi generalmente?
[OB]: Spazio dai classici ai romanzi storici, dai trattati filosofici ai testi esoterici ma, chiaramente, prediligo il genere horror. Purtroppo ultimamente, secondo un’opinione meramente personale, quest’ultimo risulta un genere inflazionato e snaturato; non è raro infatti leggere di vampiri che si innamorano e che magari litigano con licantropi fronteggiandosi per la stessa donna, oppure di creature soprannaturali e malvagie con istinti e priorità esclusivamente umane. Non amo le storie d’amore mascherate da fantasy/horror e non prediligo le storie ibride. Dal mio punto di vista un demone per esempio, creatura infernale e spietata, non può provare compassione o pietà ma deve uccidere e causare sofferenze perché questa è la sua natura. Qualsiasi storia, e l’horror in particolare, deve riuscire a suscitare nel lettore delle sensazioni sia positive che negative; l’importante è che non generi indifferenza in quanto non sentimento.
[LTN]: Acquisti i tuoi libri sia online che in libreria? Preferenze?
[OB]: Entrambe le cose e per motivi differenti. Prediligo leggermente la libreria perché penso che la possibilità di girovagare tra gli scaffali e di sfogliare le pagine dei libri sia impagabile.
[LTN]: Quali fattori sono per te i più importanti per la scelta del libro da acquistare? Copertina? Quarta di copertina? Le recensioni online? Le recensioni su riviste e giornali? I consigli degli amici?
[OB]: Un connubio di tutte queste cose anche se attuo un metodo del tutto soggettivo. Solitamente prendo un libro e lo apro a caso all’inizio e a metà circa: leggo alcuni passi della pagina e, se il racconto mi trasmette qualcosa, allora lo prendo altrimenti lo lascio immediatamente. Nel caso di acquisti online dapprima leggo le recensioni e in seguito chiedo consigli agli amici.
[LTN]: Un libro di genere assimilabile al tuo che consigli ai nostri lettori è?
[OB]: Non esiste. Non perché sia bello o brutto ma per il semplice motivo che non ho letto mai niente di simile: magari i lettori potranno aiutarmi in questo. Come ogni altro scrittore, anche inconsciamente, avrò tratto ispirazione dai miei idoli e dalla letture che mi hanno colpito. Posso comunque consigliare tutti i libri di un mostro sacro come Joe R. Lansdale oppure Il Carezzevole e L’adepto di Massimo Lugli e, per finire, I racconti del Necronomicon di H.P. Lovecraft.
[LTN]: Segui qualche sito web o blog dedicato al mondo dei libri o ai temi trattati nel tuo libro?
[OB]:Nero Cafè, Horror.it e naturalmente La Tela Nera che apprezzo soprattutto per l’originalità e la varietà dei concorsi letterari.
[LTN]: Progetti per il futuro?
[OB]: Con buona pace di tutti… continuare a scrivere. Attualmente sto lavorando su una raccolta di brevi racconti naturalmente di genere horror anche se non è escluso che continui a farmi ispirare da Massimo Ortis perché mi sono molto affezionato a questo personaggio e, nonostante non ami le trilogie, non sarebbe proprio carino abbandonarlo!Molto interessante, alla fine del libro, il “Glossario sulla terminologia vaudou e i principali demoni”. Insomma, un romanzo, questo di Bosco che alterna continui colpi di scena, sorretto da un ritmo adrenalico e da immagini che somigliano a dei videoclip. Una discesa agli inferi in chiave metropolitana, ricca di metafore e allegorie sul Male e i suoi travestimenti.
L’autore
Ottavio Bosco è nato e vive a Pisa dove, attualmente, svolge la sua attività di geologo. Appassionato di narrativa horror, fantasy e pulp, con una forte predilezione per le tematiche soprannaturali e legate alla demonologia, esprime la sua predilezione per la scrittura con uno stile sui generis. Nel 2011 ha pubblicato il romanzo “Il Purificatore” (ETS).
- - Allora ragazzo, l’hai trovati questi UFO? – chiese con forte accento inglese
Pierantonio Pardi