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Attualità domenica 29 agosto 2021 ore 08:21

​Bona Ugo!

Foto di Riccardo Marchionni

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi raccoglie nuovi modi di dire toscani e non



PIOMBINO — Quante volte l’abbiamo detto o sentito dire nella nostra infanzia. Prende le mosse dalla forma di saluto Bona, semplice commiato tra amici, per augurare buona fortuna in senso generale, modificandosi in Bona Ugo!, esclamazione rassegnata, come per dire questo proprio non capisce, ma anche - in sintesi - Svegliati bello!. L’esclamazione va bene per esprimere incredulità in risposta a una menzogna troppo grande, ma anche per dire che un certo progetto non giungerà mai a compimento. Perché proprio Ugo? Non è dato saperlo, forse la brevità del nome si prestava, anche se in Toscana esiste un Ugo (950 - 1001), nipote del re d’Italia Ugo d’Arles, consigliere dell’imperatore Ottone II, noto per aver portato la capitale a Firenze. In ogni caso il nostro Ugo tutto era fuorché addormentato o sciocco.

Se Bona Ugo! è gergo toscano, diffuso nel livornese con varianti di significato, ci sono altri modi di dire che stanno a certificare l’appartenenza senza ombra di dubbio alla costa labronica. I livornesi di scoglio in odor di Maremma quando mangiano - se sono maldestri - spesso sbiascicano e sbrodolano; si soffiano il naso con la pezzòla (mica con il fazzoletto), sono gromosi (invece che sporchi) e se hanno sete e manca l’acqua minerale bevono l’acqua della cannella (mica della pila). A Piombino si sbarella, nessuno barcolla; l’onomatopea deriva dalla barella portata da due persone per i manici che provoca un movimento ondulatorio, indica uno che traballa se ha bevuto troppo, ma anche un ragazzo appena sceso dal Tagadà del Luna Park, persino una persona che dice cose prive di senso sta sbarellando, perché è fuori di melone. In alternativa, quando ci riferiamo a un tipo poco furbo si usa dire che non batte pari. Se il motivo dello sbarellamento è il vino, potremmo essere in presenza di un briào tegolo, uno così ubriaco, così pieno di vino, da far ricordare un tegolo (pure se la forma corretta sarebbe tegola) inzuppato di pioggia, in definitiva un ubriaco fradicio. 

Sempre in tema di pioggia, quando da ragazzini tornavamo a casa dopo essere stati sorpresi senza ombrello da un acquazzone primaverile, la mamma ci accoglieva con il classico Sei bagnato mèzzo!, che sta a significare bagnato fradicio. Mèzzo ha natali nobili, perché viene usato da Dante nella Divina Commedia ed è reputato aggettivo corretto dalla Treccani che lo consiglia per indicare la frutta marcia, una zona paludosa e tutto quel che può essere alternativo a bagnato fradicio. Se di ritorno da una partita a pallone in piazza Dante eravamo particolarmente accaldati, per le mamme degli anni Sessanta si grondava dal sudore, termine usato ancora per indicare eccesso di sudorazione, quando grossi goccioloni cadono dai capelli. A Piombino, d’inverno, si pipa dal freddo, quando si gela e fa un freddo cane, un freddo marmato (l’acqua è ghiaccia marmata) oppure quando gli uccelli volano bassi (termine da cacciatori) al punto che si prendono con le mani. Pipare dal freddo non è una frase volgare, ma si riferisce alle nuvolette di vapore che escono di bocca quando la temperatura è molto bassa e sembra di fumare la pipa. Va da sé che da noi per non prendere freddo ci s’imbacucca, nel senso che s’indossa sciarpa, guanti, papalina, cappotto e chi più ne ha più ne metta, secondo la temperatura corporea. A tutti è capitato di indossare un capo nuovo di zecca, i vecchi piombinesi usavano il verbo incignare per inaugurare un vestito, che si poteva estendere anche all’apertura di un frutto estivo piuttosto grosso, come un’anguria. A tal proposito dalle nostre parti vige una diatriba secolare sul modo di chiamare l’anguria, che per i piombinesi è il cocomero, anche se tale termine andrebbe riservato ai frutti rotondi, mentre gli ovali o oblunghi sono angurie. Il melone viene chiamato regolarmente popone, mentre si usa il nome di melone per indicare la mortadella. Non mi chiedete il motivo. A tavola noi maremmani di costa abbiamo il nostro gergo: cignale invece di cinghiale, conigliolo (ma anche conignolo) invece di coniglio. Ricordo che alla scuola elementare la maestra mi correggeva spesso certi errori nei compiti, perché a sentir parlare in un determinato modo, si finisce per scrivere uguale. A Piombino non si mangia a ufo, ma a uffo, ecco il motivo di un altro diffuso errore grammaticale, perché è regola generazionale che i genitori accusino i figli di non guadagnarsi il cibo con impegno. E chi non ha mai parlato con gli amici di formìole o formicole (formiche), ragnoli (ragni), terrantole (tarantole), caccole(topi)? Livornese puro, da vocabolario Borzacchini, adottato anche nella Piombino di scogliera. Quando si cammina di mala voglia, trascinandosi con stanchezza, si va a strasciconi, magari con la maglia tutta sbudellata (fuori dai pantaloni) e se c’è un bimbo piccolo da badare, si prende in collo(mica in grembo). Tutti abbiamo usato montare al posto di salire: Monta un po’ le scale che ti aspetto! Ora monto le scale e vengo… E quando abbiamo mangiato, i piatti non si lavano, ma si rigovernano, dopo si spazza con la granata, mica con la scopa, sperando che non esploda, infine si passa il cencio (non lo straccio) per terra. Se capita di fare una partita a carte, a Piombino si gioca con il regio (il re), il gobbo (l’uomo) e il geppino (settebello), regolarmente il gobbo vale più della donna, nove contro otto, siamo ancora maschilisti. A Piombino non abbiamo tante cose di un certo tipo, ce n’abbiamo un fottìo! Se andiamo al mare e sono i primi giorni che ci abbronziamo, capita che prendiamo la foata, mica l’insolazione. E i primi giorni di giugno l’acqua del mare è ancora diaccia marmata, mica gelida. Quando si fa tardi: S’ha dì d’anda’? Gnamo, è tardi! In senso più volgare e diretto, in ogni caso amichevole, ci si leva di culo e il termine è usato anche come interiezione rivolta a una persona che avrebbe stancato: Levati un po’ di culo! (la c spesso è aspirata), preceduto da un De’ bello (cocco). Terminiamo con una frase che indica tutta la boria livornese, della serie ci si sente unici, indispensabili: non so’ mica venuto ar mondo perché mancava uno!

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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