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Attualità domenica 14 aprile 2024 ore 07:53

Buon compleanno, Aldo!

Aldo Agroppi e Gordiano Lupi

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia l’ augurio ad Aldo Agroppi firmato da Gordiano Lupi



PIOMBINO — Aldo Agroppi taglia il traguardo delle ottanta candeline e lo fa proprio di domenica, da buon calciatore, in un giorno di festa da passare sulle gradinate di uno stadio, magari proprio del vecchio Magona, dove la favola ha avuto inizio, campionato 1960 - 61 (io nascevo!), serie D, tre presenze e una rete. Piombinese di scoglio, simbolo di Piombino, del nostro carattere verace e polemico, battagliero e sanguigno, sempre spontaneo e sincero, provo di filtri. Per questo mi è sempre piaciuto. Non solo, è una persona di successo che - nonostante tutto - ama Piombino e ci è tornato a vivere, perché considera il posto dove è nato il luogo più bello del mondo. Avrebbe potuto trasferirsi ovunque, dopo i fasti del calcio, magari a Firenze o a Torino, persino a Perugia, ma è tornato a vivere in una villa sul mare davanti al golfo di Salivoli. Perché Piombino è casa sua, qui sente il profumo del mare, vede la tanto amata piazza Bovio, ricorda gli affetti che la vita gli ha tolto, i genitori e il fratello.

A Piombino Agroppi è di casa, tutti lo conoscono, almeno quelli della mia generazione, di tanto in tanto, la domenica lo vedi persino al Magona a sostenere le maglie nerazzurre. Critica il calcio di oggi, quel che è diventato, non sopporta i genitori che offendono gli arbitri e gli avversari nelle partite di lega giovanile, se la prende con chi non educa ai valori sportivi ma pretende di avere figli campioni. Agroppi calciatore è stato il simbolo del centrocampista infaticabile, di chi fa una vita da mediano per dirla con il Liga, francobollatore del miglior regista avversario, addetto al massacro sistematico del Rivera e Mazzola di turno, che ti si attacca alle costole e non ti fa respirare per novanta minuti. Nasce a Piombino il 14 aprile del 1944, sotto le bombe che cadono in via Pisa, la sua prima squadra è il Torino e resta nel suo cuore, pure se lo mandano a farsi le ossa in serie B, tra Genoa, Ternana e Potenza. La stoffa non manca, il Torino se ne rende conto e lo richiama all’ovile per lanciarlo in serie A, il 15 ottobre 1967, in una partita con la Sampdoria che nessuno ricorda perché quella sera, a soli ventiquattro anni, muore Gigi Meroni, mentre attraversa Corso Re Umberto, investito da un’auto in corsa. Fabrizio Poletti è accanto a lui ma non può fare altro che restare spettatore d’una morte assurda. Agroppidiventa una bandiera del Torino, squadra che segna la sua vita, ma nel 1972 non vince lo scudetto per colpa di Marcello Lippi che tira fuori un goal validissimo dalla rete della sua Sampdoria. L’arbitro non vede, Agroppi non gliela perdonerà mai, il rapporto litigioso con il futuro mister della Nazionale può avere inizio. L’ultima squadra dove gioca è il simpatico Perugia di gente folle come l’anarchico Paolo Sollier, una neopromossa che Agroppi porta alla salvezza nel 1975, come capitano e nuova bandiera, solo per due stagioni. Possiedo ancora la foto di Agroppicon la maglia azzurra della Nazionale. Un giorno, non ricordo come, mi trovo a giocare all’angolo tra via Gaeta e corso Italia, dove sua madre gestisce una trattoria dove si spende poco e si mangia bene. Lui mi chiama, mi regala la foto del suo debutto, 17 giugno 1972, a Bucarest. Italia - Romania 3 a 3. Agroppigioca solo cinque partite in nazionale, ma io quella foto con la firma a pennarello nero del mediano più roccioso della serie A la conservo ancora. È il sogno del successo di un ragazzo partito da Piombino per conquistare il mondo, un mondo che sembra dorato per un ragazzino di dodici anni che vive nella provincia toscana, ma non è così semplice. Successo e sacrificio vanno di pari passo nel mondo del calcio e pure quel bambino lo capirà. Agroppi chiude abbastanza presto con il calcio attivo e comincia a fare l’allenatore, prima con le giovanili del Perugia, poi con il Pescara, ma il sogno si avvera nel 1981 - 82 quando guida al successo il Pisa costruito da un personaggio come Romeo Anconetani. Agroppi discute molto con il vulcanico Presidente, ma riesce a convivere con il suo egocentrismo e con le pubbliche sparate. Ironia della sorte, il Pisa deve proprio a un livornese (di scoglio) la sua prima partecipazione al massimo campionato. In quel periodo vedo molte partite del Pisa di Agroppi, ché sono all’Università per studiare, e provo un moto di orgoglio quando dico a tutti che il mister dei nerazzurri è piombinese. Padova è un triste passaggio della sua carriera da allenatore, ché dopo tre mesi molla tutto, non si sa perché, ma la crisi nella vita di un uomo è sempre in agguato, non siamo dei robot. Torna al Perugia, un altro amore calcistico dopo il magico Toro, e disputa un grande campionato 1984 - 85 alla guida di una squadra che perde soltanto una partita, si piazza quarta in classifica e corre per la promozione fino all’ultima giornata. La panchina della vita arriva nel 1985 con la Fiorentina di Giancarlo Antognoni, che disputa un grande campionato e giunge quarta in serie A, pure se non mancano i motivi di lite con certe primedonne che Agroppi non sopporta. Comincia un nuovo periodo nero con una squalifica per omessa denuncia nel 1986, episodio non chiaro di una partita del campionato precedente. La carriera di allenatore declina dopo i fasti iniziali. Esonerato dal Como, retrocesso alla guida di un Ascoli troppo debole (Sono nato a Piombino, mica a Nazaret, non faccio i miracoli, dice durante un’intervista televisiva), due stagioni fermo e un ritorno disastroso alla Fiorentina (1992 - 93) che porta alla retrocessione in serie B.

Agroppi me lo ricordo anche nei panni del trasgressivo opinionista televisivo, ché i suoi commenti sul calcio rompono con quel modo cattedratico e saccente che molti sfoggiano parlando di una cosa tanto semplice. Agroppiinventa uno stile, fatto di coloriti siparietti quasi comici mentre commenta le partite, infastidisce troppi permalosi, ma non tiene la lingua a freno e il battibecco è frequente. Scoglio è professore, io non sono manco bidello, dice un giorno in televisione riferendosi all’allenatore filosofo che non rientra nelle sue simpatie. Polemiche anti juventine a non finire, da buona antica bandiera del Toro, litigi con Lippi per la conduzione della nazionale, tutti piccoli esempi di un lavoro da commentatore senza peli sulla lingua. Opinioni e parole che paga molto care, ché i potenti di turno (leggi Juventus, sempre loro) lo fanno cacciare dal tempio. Non abbandona mai la sua Piombino, dove vive ancora, a Salivoli, frequenta Corso Italia, il Bar Cristallo, gioca a carte al Circolino e fino a diversi anni fa anche allo Stadio Magona. Ormai non fa più neppure i commenti di calcio per le televisioni toscane dal divano della villa di Salivoli, a volte scrive per qualche giornale, pubblica libri di ricordi, si fa sentire alla radio. Non è cambiato molto. È sempre il solito Agroppi battagliero che non si fa problemi nel dire quel che pensa, il mio idolo da ragazzino, un esempio incrollabile per la mia vita da mediano.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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