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Attualità domenica 28 agosto 2022 ore 07:00

Enrico Salvadori, una vita da Robinson

Foto di Diego Luci

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi ricorda Enrico Salvadori recentemente scomparso



PIOMBINO — Il mio ricordo di Enrico Salvadori è legato a mio padre e a lunghe passeggiate primaverili in direzione Fosso alle Canne, dove abbiamo conosciuto un singolare custode di una spiaggia bellissima e remota, che ci accoglieva da perfetto padrone di casa, servendo caffè e impartendo istruzioni per conservare l’habitat naturale nel modo migliore possibile. Eravamo ospiti di questo Robinson cittadino, innamorato del suo mare, scultore di statue di legno e artista, intrattenitore del pubblico con i suoi racconti di viaggio. Diego Luci ha raccolto molte confidenze e sta scrivendo la biografia di un uomo che si è già meritato la menzione in un romanzo scritto da Dario D’Avino (Baracca Siti) che lo vede protagonista indiretto.

Ripercorriamo la sua vita grazie agli appunti di Diego. Enrico Salvadori nasce a Venturina, il 6 aprile del 1941, figlio di Giovanni, proprietario di una piccola impresa edile, che deve mantenere una famiglia numerosa (i nonni, la moglie Zelina, tre figli e il nipote Anastasio abbandonato dalla madre) in una casa in Via Fiume, che ha un bagno in comune con un altro appartamento. Enrico frequenta le scuole a Venturina, dalla maestra Guidi, bonaria e sorridente, che lo apostrofa sempre con il vezzeggiativo di “Enrico dolce come un fico”.

Si trasferisce a Piombino nel 1951, dove il padre si impiega come muratore per la ditta Pavoletti e costruisce la nuova tipografia dell’avvocato Nesi, a San Rocco. La storia tra Enrico e la scuola non è delle migliori, i compagni di piazza Dante lo deridono come “amico dei preti” e lui per reazione inizia a odiare gli studi. Tra l’altro alcuni compagni tentano di rubargli la colazione (il castagnaccio di Ponzo) e lui per difenderla sale sugli alberi come Tarzan, il personaggio preferito delle storie che la domenica vede al Sempione, interpretato dal grande Weissmuller. Lavora fin da piccolo per pagarsi i vizi, fa servizi per i contadini di San Rocco (Arzilli, Bezzini, Tolomei); raccoglie ciliegie, cocomeri e poponi, lavora anche per Ponzo, che possiede un terreno a San Rocco. Infine raccoglie ferro, cenci e pelli di coniglio che rivende a Lindoro, il popolare straccivendolo che gira per la città con un carrettino trainato da un ciuco. Terminate elementari e medie, Enrico tenta con la scuola di avviamento professionale in Cittadella, ma a quindici anni decide di lavorare e viene assunto dal Pavoletti. Recupera mattoni refrattari dentro i forni Martin Siemens, un lavoro tremendo perché le temperature sono altissime; fa il muratore per la Cooperativa della Venturina con cui costruisce una serie di case a San Rocco. A diciassette anni conosce Marcella, che ha dodici anni e mezzo e vive nel podere di Casone al Pino, un amore per la vita, il suo primo regalo fu la costruzione di un’altalena. “Ti sposo”, le disse, “ma devi venire a vivere con me su un’isola deserta”. Profetico, pure se Fosso alle Canne non è un’isola. In ogni caso si sposano davvero, il 4 aprile del 1964. Enrico da alcuni anni può contare su un lavoro sicuro, in acciaieria, prima al campo di colata dell’AFO3, poi gruista, fuochista, aggancino, infine macchinista.

La passione per il mare unisce Enrico e Marcella, che frequentano Baratti, ma vorrebbero una spiaggia deserta e incontaminata, tutta per loro, come nel sogno della promessa infantile. Ed è così che il 10 maggio del 1964 conoscono Fosso alle Canne, dove c’è già un abitante di un bungalow, che poi abbandona il luogo e lascia Enrico unico residente. Il promontorio ha un proprietario, la Populonia Italica, per non avere problemi il novello Robinson deve trovare un accordo con il direttore Carlo Verdiani. Il patto è che il Salvadori può restare in cambio di un servizio antincendio, regolarizzando la situazione da un notaio per evitare denunce, che ci saranno comunque, anonime e (addirittura) per abusivismo, amareggiando il custode di un tempio marino, ma per fortuna cadendo nel vuoto. In realtà Enrico Salvadori funge da garante per un lembo di spiaggia, per anni compie salvataggi, trasporta infortunati e feriti, in certi casi con la barca all’Ospedale Vecchio, in altri con l’apino a Villamarina. Ricordiamo, tra i tanti interventi di soccorso, un bimbo di 18 mesi caduto in acqua mentre gioca intorno alla barca. La vita cittadina della famiglia Salvadori prosegue con diverse residenze in affitto, tra via Amendola, via Buozzi, viale Regina Margherita, via del Risorgimento, per finire con San Rocco (1980), in una casa con tre ettari di terra da coltivare a mezzadria. Enrico lavora in acciaieria, concia pelli, imbalsama animali per i cacciatori, va a raccogliere funghi che rivende a Demos e al Girarrosto di San Vincenzo, in cambio di cibo, coltiva gli ulivi nella terra in affitto e alleva capre. Mette da parte i proventi dei tanti lavori e compra una stalla di proprietà dei Tolomei, dove costruisce la sua casa definitiva, per andarci a vivere nel 1987. Per finire il tetto, Marcella si fa venire l'idea di partecipare a “Tra moglie e Marito”, programma televisivo condotto da Marco Columbro, dove la coppia resta in gara per venti puntate e racimola il necessario per pagare il lavoro. Nel 1991 giunge la meritata pensione e le passioni prendono il sopravvento, sia la scultura del legno che i viaggi alla scoperta del mondo. Enrico si reca per due volte in Costa Rica (1995 e 96), quattro volte in Thailandia (la prima volta, da solo, lavora per una settimana in una fabbrica di mobili per imparare a intarsiare il legno), Nuova Zelanda, Cile, Cuba, Senegal e diverse volte alle Canarie.

Adesso che ci ha lasciato, Fosso alle Canne è rimasta orfana del suo Robinson. Per questo voglio dedicargli un pensiero, tratto dal mio ultimo libro, Amarcord Piombino.

“Spiaggia di Fosso alle Canne con il Salvadori padrone di casa, vecchio Robinson scultore di mare, tra canneti e fossati, impervie salite e scoscesi dirupi. Piccolo angolo di questo paradiso, Isola di Pasqua mediterranea con teste di legno intagliate, appare improvvisa dopo foreste di lecci e macchia silenziosa. Pietre levigate da onde e ricordi che si avvolgono ad altri ricordi, intricati come viottoli che diradano a mare, come sentieri polverosi e immagini che affiorano dal passato. Troppo popolata è la mia spiaggia che fu di nessuno, un tempo solitario rifugio d’imbarcazioni perdute e avventurosi viandanti, forse per questo le frasi che scrivo scorrono tra le dita e passano sul foglio, friabili come rocce di calcare scalate da bambini, come sempre, alla conquista di vette impossibili. Isola d’Elba negli occhi, ovunque tu decida di guardare lei resiste, in mezzo a quel mare cristallino e freddo di fine marzo, tra sambuco e tamerici, corbezzoli profumati, felci taglienti. Il fantasma di mio padre saluta dalla panchina intagliata nel legno, riparo di frescura a metà percorso, luogo dove prendere fiato prima di ripartire. Il suo ricordo è intrappolato tra queste rocce, nei passi sul selciato, vicino ai dirupi, tra mulattiere di mare e un orizzonte velato da nubi che diventano animali evanescenti. Tutto è ricordo, un istante del passato, il solo modo per restare immortali è trasformarsi in ricordo. Fosso alle Canne svapora in lontananza ed è già Spiaggia Lunga, Centralina, Cala Moresca; l’eco dei tuoi passi risuona nel golfo splendente, tra casa matta e spiaggia di ciottoli bianchi. Allora andavamo per queste strade e, in un modo o nell’altro, eravamo ragazzi, sudati, perduti, disfatti. Correvamo e ci tuffavamo tra queste onde, le solite onde che oggi ci fanno tremare; allora ogni gesto era un gioco e non si sapeva, ogni piccolo passo profumava di mare e scogliere. Era il nostro mare dell’infanzia e per lontano che si vada a finire ci si ritrova sempre tra le sue braccia, perché là fummo fatti quel che siamo. Adesso non ci resta che tornare, stemperando il ricordo d’un’isola mentre svanisce un frammento di passato, in attesa d’un saluto immaginario tra cuore e scogliere, osservando in lontananza il Falcone pervaso da torme di gabbiani, nell’affocato sole del tramonto che, sorridendo al giorno che muore, si tuffa nel mare”.

Ciao Enrico, quando passeremo da Fosso alle Canne sarà impossibile non pensarti.

Tutte le foto sono di Diego Luci.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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