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Attualità domenica 04 dicembre 2022 ore 07:00

La Camera del Lavoro a Piombino (1907 – 1911)

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia “La Camera del Lavoro a Piombino (1907-1911)” di Gordiano Lupi



PIOMBINO — La Camera del Lavoro nasce ufficialmente nel 1907, la sua commissione esecutiva è soprattutto rivoluzionaria, con una modesta partecipazione di riformisti. Viene eletto segretario Curzio Carnesecchi, un impiegato comunale che fa da mediatore tra le opposte fazioni per cercare di tenere unito il sindacato. Alcuni nomi di sindacalisti molto attivi: Bacci (fonditore), sempre della minoranza riformista, Pio Dardini (muratore), Primo Lazzeri (macchinista) e Giuseppe Damiani (operaio).

La Camera del Lavoro si compone di 26 leghe, alcune di mestiere (laminatori, fornaioli, tubaioli, elettricisti, attrappatori, forbiciai, macchinisti, fuochisti, muratori, ferrovieri, meccanici…), formate da operai specializzati; altre di reparto (cottimisti delle varie unità produttive, come altoforno e treno a freddo). La maggior parte delle leghe è di natura siderurgica, composte in gran parte da operai della Magona, dopo il vittorioso sciopero del 1906. Accanto agli operai siderurgici piombinesi non mancano leghe di impiegati comunali, fornai e operai dei mattoni refrattari.

La Camera del Lavoro nasce in un periodo critico di rinnovamento degli impianti e di riorganizzazione lavorativa, terreno sul quale si misurano le pretese della classe padronale e la rivendicazione operaia. Uno dei problemi più importanti sul tappeto è la riduzione dei cottimi, ma il sindacato chiede anche di non creare infiniti livelli salariali, di non lasciare le nuove qualifiche nelle mani dei capireparto e di non perdere la professionalità acquisita dai singoli operai.

La difesa del posto di lavoro è al primo posto, il sindacato punta alla massima occupazione, impostando una lotta per il lavoro disposto su tre turni, aumentando la produttività e cercando (per quanto possibile) di svincolare il salario dalla produttività aziendale. L’azienda non ci sente da questo orecchio, si difende facendo venire a Piombino operai da San Giovanni Valdarno per confrontare la produttività e per forzare il livello di produzione.

La Camera del Lavoro, nel frattempo, diventa sempre più importante, riesce a farsi riconoscere come unico soggetto preposto alla dichiarazione di uno sciopero, cercando di non farsi scavalcare dalle sezioni e pretendendo di essere interpellata prima di ogni agitazione sindacale.

Il primo successo in tal senso è datato 1907, con il nuovo segretario Benvenuti, che si trasferisce a Piombino da Savona e prende il posto del socialista Carnesecchi. La lotta per i miglioramenti salariali è complessa, il sindacato della latta in Magona ottiene qualcosa ma non è così semplice agli Altiforni della Piombino e nelle sezioni siderurgiche. La Camera del Lavoro è attiva anche nella vita civile, promuove una Società di Mutuo Soccorso, una cooperativa tra gli operai degli Altiforni, aderisce alla protesta contro il caro vita, nomina consulenti per i casi di infortunio in fabbrica, istituisce un ufficio di assistenza medica.

Poco a poco si sviluppa un discorso di lotta unitaria che contempla le tre principali industrie cittadine, affrontando le questioni basilari per lo sviluppo della siderurgia. Le lotte riguardano la riduzione del cottimo, l’eliminazione della sovrapproduzione in Magona e la riorganizzazione del lavoro negli Altiforni.

Un ruolo importante per la diffusione di certe tematiche lo gioca il giornale proletario Il Martello, che si batte in funzione antiprotezionista, denuncia i giochi in borsa dei gruppi finanziari che formano il capitale dell’industria piombinese.

In questo periodo storico i portuali (gli scaricatori di Portovecchio) diventano una categoria compatta e combattiva, che si costituisce in cooperativa sull’esempio di Genova e Marsiglia, portando sostegno ai lavoratori dell’industria. Gli Altiforni della fabbrica Piombino sono il punto dolente, dove la Camera del Lavoro stenta a farsi riconoscere, mostrando difficoltà a combattere i giochi azionistici del trust di imprenditori. Una cattiva direzione tecnica della Piombino porta a sprechi di materiali e disorganizzazione nell’impiego della mano d’opera, nonostante i grandi capitali profusi. La battaglia da vincere è la difesa del salario, che va di pari passo con la protezione della professionalità operaia, messa in pericolo dall’assunzione di mano d’opera straniera e di ex braccianti che provengono dalle campagne, utilizzati per i lavori meno complessi. Un altro problema politico è dato dall’Alleanza Cooperativa Padronale che mette i capi delle industrie in una posizione dominante, al punto che una parte dei salari è costituita da buoni cibo da spendere nei magazzini degli stessi padroni. Non solo, si emanano norme assurde che vietano l’infortunio sul lavoro (come se fosse possibile!), minacciando il licenziamento per chi si infortuna troppo spesso. “Un trattamento bestiale degli operai”, scrive Il Martello, “che non vengono rispettati nei loro diritti base, al punto che uno sciopero generale risulta inevitabile”.

La Piombino è soggetta a un regime poliziesco, dove i singoli capireparto hanno in mano gli aumenti salariali e i possibili licenziamenti, in una parola sono arbitri del destino di ogni operaio. Nel frattempo diventa teso il rapporto tra sindacalisti e socialisti, che da Cecina tentano di organizzare contadini, boraciferi e boscaioli per togliere il ruolo guida alla Camera del Lavoro di Piombino. Il disegno socialista non va a buon fine, la Camera del Lavoro finisce per togliere iscritti non solo a Cecina, ma anche a Livorno, portando tra le proprie fila non solo minatori elbani e campigliesi, ma anche i terrazzieri di Riotorto. La Camera del Lavoro estende la sua influenza anche alla Maremma Pisana e prova la sua forza nell’ottobre del 1909, quando proclama uno sciopero generale per protestare contro la condanna a morte in Spagna dell’anarchico Francisco Ferrer.

Tra il 1910 e il 1911 avvengono molti scontri di classe, tesi a spazzare via il trust e la concentrazione aziendale, a eliminare ogni forma di paternalismo (i buoni cibo da spendere negli spacci aziendali), a instaurare orari umani di lavoro (massimo 10 ore) e a regolamentare il lavoro straordinario. La serrata aziendale si contrappone allo sciopero ed è un modo per far ricadere la colpa delle mancanze padronali sugli operai. Il sindacato industriale si rafforza in vista di uno scontro durissimo, mentre i rappresentanti dei lavoratori ottengono modeste vittorie salariali e sul rispetto dei tempi di lavoro. Al termine della lotta che caratterizza questi anni difficili, il sindacato ottiene un orario non superiore a 10 ore, la retribuzione delle ore eccedenti come straordinario, l’abolizione delle 24 ore settimanali di lavoro continuo, infine la stipulazione di un contratto di lavoro della durata convenuta tra le parti.

Il grande sciopero del 1911 è alle porte, ma non sarà la sola dura sconfitta per la classe operaia, perché lo scoppio della Prima Guerra Mondiale sarà il momento peggiore per il tenore di vita delle classi meno abbienti. Vi racconteremo anche questo, nelle prossime settimane.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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