
Zhuang Zi, la lezione sempre attuale di un dei maestri del Tao: «Essere al momento giusto nel posto giusto (sognando di essere una farfalla)»
Attualità domenica 28 dicembre 2025 ore 07:00
Ci sarebbe da fa’ un caffettino…

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi raccoglie nuovi modi di dire con l'aiuto di Giorgio Cortigiani. Foto di Riccardo Marchionni
PIOMBINO — Cominciamo subito con una cosa che non dice più nessuno. “Ci sarebbe da fa’ un caffettino” non ha niente di alimentare e non c’entra molto con la bevanda italiana per eccellenza. Il caffettino è un buon affare, il paragone con il caffè versione diminutivo - vezzeggiativo si deve all’usanza di stringere un accordo verbale davanti a una tazzina di liquido forte e nero. Se l’affare va a monte (non se ne fa di niente) allora “si dà una botta al lume”, nel senso che si butta via tutto e non ci si pensa più, come quando si spegne la luce prima di dormire. “Dai un po’ una botta al lume!”, metti da parte tutto e finimola (non finiamola, ovvio, siamo a Piombino).
“Tutti i gatti al buio son bigi” è un altro modo di dire che era popolare un po’ di tempo fa, adesso si sente poco, così come quando qualcuno ti chiedeva se un bambino molto vivace era buono, la risposta immancabile era: “Dé, come il pepe negli occhi!”. Non fa piacere il pepe negli occhi, proprio no. “Testa a lucchese”, invece significava una testa schiacciata e lunga, forse gli abitanti di Lucca avevano tale conformazione, non lo so proprio, ma era una sorta di offesa leggera che veniva usata, alla pari con “testa a ventino”, indicata per chi aveva la testa piccola. “Vieni che ti faccio vede’ Lucca!”, era una minaccia, dove la città Toscana c’entrava poco, significava che la resa dei conti era vicina, bastava avvicinarsi e “un bel sarmante” (gragnola di botte) era sicuro. E poi “quando so’ morto vo’ in culo a chi resta!”, è ancora un’altra esclamazione maremmana che esprime fatalismo di fronte alla comune sorte. “Lui lì è uno di polso”, significa che ci sa fare, sa tenere il gruppo unito, è un buon condottiero che si sa far rispettare. Quando ci si arrabbia capita che si dica che “abbiamo un diavolo per capello”, a volte “ci prudono le mani” per la voglia di litigare e di menare. “Il pesce puzza sempre dalla testa” è un’espressione che di tanto in tanto si usa ancora per indicare il responsabile vero di una situazione, di solito chi comanda, chi dirige, certo non gli esecutori materiali, in caso di lavoro non è colpa degli operai ma della dirigenza se le cose vanno in modo fallimentare.
“Un po’ è troia, un po’ me la confondono!”, era tanto che non lo sentivo dire ed è un’espressione di un maschilista unico, pure se molto autoironica. La situazione felicemente riprodotta dall’espressione popolare vede in campo una moglie avvenente, molto corteggiata, che è al tempo stesso donna di facili costumi. Se la donna ci sta, “siamo a cavallo!”, altro modo di dire piombinese per indicare “è fatta!”, “siamo a posto!”. Invece “quello che cascò da cavallo disse che voleva scende” indica tutte quelle situazioni in cui si tenta di mascherare una sconfitta come se fosse una cosa voluta. In ogni caso “tutti nodi vengono al pettine”, nel senso che ogni problema, ogni difficoltà, giunge a soluzione. “Se eran maccheroni te ne toccavan parecchi!” è un’esclamazione antiquata che veniva rivolta a una persona che diceva una cosa risaputa. “Non esse’ bono nemmeno per la civetta”, viene riferito a un piatto di una cattiveria assoluta, perché la civetta mangia proprio tutto, non è certo “stucca” (dal palato fine) e “non si stucca mai” neppure di una cosa troppo dolce. “Chi non muore si rivede!”, è toscano in generale, si dice ancora - in senso ironico - per una persona ritrovata dopo tanto tempo. “La vetta” era un legnetto lungo e affusolato, prima si diceva “tremare come una vetta”, che era un vero e proprio frustino, quindi si faceva schioccare e vibrare. Ricordo la mia nonna elbana chiamarla “betta”, ma forse era un problema di pronuncia ispanica, visto che a Portoferraio gli spagnoli ci sono stati molto.
“A chi tocca ’un brontoli!” negli anni Settanta si diceva spesso in presenza di qualcosa che doveva essere fatto e qualcuno si doveva pur prendere la briga di compiere il mandato. Magari si tirava a sorte il nome e… a chi tocca ’un brontoli!. Chi deve svolgere un compito ingrato non si lamenti troppo. Si diceva anche “bazza a chi tocca!”, nel senso che uno bisogna che vada, c’è poco da fare. “Cosa nafanti?” deriva da un ben non precisato verbo “nafantare”, del tutto in disuso, mentre più spesso si sente dire “cosa razzoli?” oppure “cosa inventi?”. Per dire che una cosa l’abbiamo finalmente decisa, dopo tanto dibattere, “si taglia la testa al toro”, ma anche “si leva il vin dai fiaschi”. “O la va o la spacca!”, invece, vien detto quando si tenta il tutto per tutto, tanto da perdere c’è rimasto poco.
Non spazziamo i piedi alle persone perché la granata sui piedi significa matrimonio bagnato, se devi ancora sposarti, ma la spiegazione non è univoca, per alcune interpretazioni se si spazzano i piedi a una persona quest’ultima non si sposerà mai. Se mangi dentro il tegame, invece, significa che cerchi moglie. Termino con una sorta di proverbio in rima dal significato non del tutto chiaro: “Tira tira la gamba riccia oggi la pelle domani la ciccia!”, riguarda il maiale, credo, bestia della quale non si butta niente, si mangia tutto, dalla cotenna alla carne.
Gordiano Lupi
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