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Attualità domenica 17 gennaio 2021 ore 08:42

Il furbo del Lelli

Piombino (Foto di Riccardo Marchionni)

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia "Il furbo del Lelli, la prepotenza del Cacini e la capra di Betto" di Gordiano Lupi. Foto di Marchionni



PIOMBINO — C’era una volta il furbo del Lelli, un chiurlo - come diceva mio nonno - che ferrava i coniglioli, ma soprattutto che tirava la martinicca in salita, ergo teneva tirata la leva del freno di stazionamento delle carrozze e dei calessi mentre procedeva in salita. Mio nonno usava molto l’epiteto chiurlo per definire un soggetto che riteneva poco furbo, forse perché dalle sue parti (Seggiano, alle pendici del monte Amiata) l’uccello di palude dal becco lungo che porta quel nome non riscuote grande popolarità. Il chiurlo, chiamato chiù, è anche l’assiolo tanto amato dal Pascoli, un uccello notturno simile alla civetta e al barbagianni che ripete monotono sempre il solito verso. Ecco, forse è proprio la variante barbagianni a definire lo sciocco di paese, la persona con poco comprendonio, il tipo un po’ tardo nel capire. Il Lelli doveva essere un vetturino, vissuto nei primi anni del Novecento che non aveva inteso bene quanto fosse deleterio e poco pratico viaggiare in salita tenendo il freno tirato. Il Lelli è morto ma il detto è rimasto. Lelli era il cognome di Gascio, nei primi anni Sessanta proprietario di un negozio di bilance e affettatrici situato a metà di via Galilei, che veniva preso in giro per la storia del furbo del Lelli ogni volta che andava a prendere un caffè al bar Nedo. Pure io quante volte mi sono sentito apostrofare da mio nonno e da mia madre con frasi tipo: De’ e sei furbo come il Lelli! ma anche: E chi sei … il furbo del Lelli? Magari quando facevo cose sciocche, tipo uscire di casa con la maglietta di cotone in pieno inverno e rischiare un malanno, oppure mettermi i mocassini leggeri in una giornata di pioggia e tornare a casa con i piedi zuppi. Tutti siamo stati furbi come il Lelli, almeno una volta nella vita. Non solo, a volte siamo stati prepotenti come il Cacini (ma anche il Catozzi e il Tondellini non erano da meno), uno spaccone piombinese che voleva sempre avere ragione nelle discussioni e quando non l’aveva - come si dice da noi - se la prendeva. Ti credi d’essere il figliolo del Cacini? È un'altra domanda retorica che ci rivolgevano le madri e i nonni degli anni Sessanta quando in un discorso ci siprofidiava (verbo molto piombinese) fino allo sfinimento e si voleva ragione a tutti i costi, oppure quando volevamo fare il nostro comodo senza stare a sentire discorsi e raccomandazioni! Pure il Catozzi è stato uno spaccone interessante, noto bugiardo storico, purtroppo per lui meno proverbiale del Cacini, pure se erano amici e andavano per la maggiore nei primi anni Sessanta. Il Catozzi era un guappo da osteria, come ce n’erano tanti in quel periodo, frequentatore del mitico Bar Nedo, quello che è scomparso nei sogni del passato, proprio in fondo a corso Italia, lato acciaierie. Voglio riferire un aneddoto divertente che lo riguarda, che mi è stato raccontato da Selio Rocchi. Il nostro eroe si vantava di aver fatto il manovale al Torrione ma lo diceva con un tono esaltato e pomposo, come se fosse stato uno dei fondatori della città vecchia. Catozzi era stato manovale durante uno dei tanti lavori di manutenzione e ripristino che si sono succeduti nel corso degli anni, ma lui ne parlava come se avesse partecipato alla costruzione del complesso storico originale. Termino con un ultimo ricordo che proviene sempre dal Rocchi, che ci riporta in una Piombino tra gli anni Cinquanta e Sessanta quando nella zona di via Amendola non c’era niente, solo canne di bambù e scogliere, si vedevano gli orti del Cambi Adriano, in lontananza quelli della Beppa Perissi con le sorgenti d’acqua e lo spettacolo dell’Elba sullo sfondo. Erano i tempi di Betto Mazzini, che viveva in una sorta di baracca ai margini della ripa, lungo un sentiero impervio che conduceva al mare. Betto era un omaccione corpulento che si reggeva i pantaloni con una fusciacca rossa a mo’ di cintola, figura mitica che i ragazzi più grandi dicevano fosse un ex garibaldino e che avesse partecipato alla spedizione dei Mille. Non era vero, l’anagrafe contraddiceva il fascino della leggenda, perché negli anni Cinquanta aveva appena settanta primavere ... Betto possedeva poche cose, ma è rimasto noto per la sua capra che brucava l’erba nel cortile davanti alla casetta fatiscente, animale che permane ancora nell’immaginario collettivo, visto che ogni tanto nei racconti dei vecchi riecheggia con poetico andamento la domanda: ti ricordi la capra di Betto?

 

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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