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Attualità domenica 29 dicembre 2024 ore 07:20

Le strade della Piombino perduta

Via Pisa (Foto di Riccardo Marchionni)

Su #tuttoPIOMBINO una passeggiata tra i ricordi di via Pisa, via Lucca, via della Ferriera, via del Chiassatello e viale Regina Margherita



PIOMBINO — Via Pisa, via Lucca, via della Ferriera che portano leste verso il porto, tramite via Silone, forse l’unica strada piombinese senza un abitante, con una sola casa diroccata, recintata, in attesa d’esser demolita. Largo Enzo Tortora, più avanti, non sapevo neppure che esistesse, dedicato a un presentatore martire, svincolo che separa il porto dalla città, la rotatoria che s’imbocca al termine del cavalcavia che conduce fuori dall’inferno. Tra via Pisa e via Lucca scorreva la vita dei nostri anni Cinquanta, del primo dopoguerra, ma anche degli anni che precedettero il conflitto più atroce della storia. Strade di famiglie proletarie, mariti che tornavan di Magona, sogni infranti dai giorni tristi della vita, adesso inferno di ruggine e abbandono, scalcinate facciate, tralicci immensi, stabilimento dimenticato. In via Pisa, angolo via Lucca, c’era un cenciaio, un robivecchi (per parlar bene), adesso dove un tempo compravano e vendevano ferro e cartone, solo case diroccate, un ricordo di altiforni antichi e del vecchio Sacro Cuore, in via Landino Landi, con la saletta per il cinema parrocchiale. In questa zona, dopo via Landi e via Pisa, c’era via Guido Monaco (adesso scomparsa) che congiungeva via Portovecchio a via della Ferriera e ospitava la caserma dei carabinieri. Non esiste più nemmeno via degli Aranci, progettata dall’ingegner Jacopo Bozza come diramazione di via Portovecchio, fino allo stabilimento siderurgico La Perseveranza. La strada della Ferriera dicono che ci fosse anche prima del 1865 (anno di costruzione delle Ferriere), proprietà di Roberto Antinoro, quindi di Leopoldo Fedeli e Jacopo Bozza, infine se la divisero Magona e Ferriera. Nel 1818 si chiamava sempre via degli Aranci, scrive Mauro Carrara e dobbiamo seguire la sua tesi documentata dagli archivi storici. Il motivo di tale denominazione è semplice: pare che in quella zona venissero coltivati degli aranci. Nel 1881, infatti, c’erano ben due poderi, uno di proprietà dell’ingegner Alfredo Novello, primo direttore de La Magona d’Italia piombinese, l’altro degli eredi di don Giuseppe Montauti.

Un cavalcavia ci accompagna verso il porto, landa desolata di città dimenticata, dove un tempo c’era un grande passaggio a livello dove attendevi che scorresse il tempo, adesso incuria e immondizia dimenticata, sparsa ovunque, tra erbacce e vicoli sterrati, un parcheggio di camion, un piazzale poco prima della grande industria. Prendi la strada che porta in città, adesso viale Regina Margherita, in onore ai Savoia, in tempi grami (purtroppo) intitolata a Galeazzo Ciano, gerarca fascista, genero di Mussolini. Una siepe di pitosforo separa le due grandi direttrici, barba di giove ai lati delle strade, piante grasse, agavi spinose, pini marittimi lungo i marciapiedi. A sinistra scorgi la Tolla, che s’inerpica verso i ripetitori dei canali televisivi, a destra la discesa che conduce al Chiassatello, dove non c’è più La Pergola, antica bettola dove mio nonno beveva gotti di vino quando veniva verso casa nostra, ché noi abitavamo in cantoniera, proprio davanti alla strada ferrata, dove un tempo c’era un passaggio a livello piccolino che collegava via Buozzi alla zona portuale. Ti siedi a riposare sulle panchine che segnano la storia, dove c’era il magazzino del pesce di Wilson Modesti, i prodotti surgelati, anche una cabina del telefono che non si sa quante telefonate abbia ascoltato, parole d’amore e di dolore che in casa mica le potevi dire. E davanti a tutto questo lo stadio Magona, l’entrata del passato, quella storica che adesso usano gli arbitri e gli atleti, mentre il pubblico - quel poco che è rimasto - entra da via Salgari. Viale Regina Margherita, tutta la decadenza del passato, palazzi alti di mattoni rossi e quel che resta d’uno stadio tanto bello, che la Toscana intera c’invidiava, al punto che quando venivan gli avversari prima di giocare rendevano omaggio al tempio del passato, ché dentro quelle antiche mura aveva disputato la serie B un gruppo di leggendari calciatori. Tra quelle case perdute, gli spogliatoi e i vialetti di pitosforo, il Piombino - era il 18 novembre del 1951 - batté la Roma per tre reti a uno. Tutto quel che resta di viale Regina Margherita è un bar che non lavora come ai tempi in cui nello stadio antico si disputavano gare di ben altro lignaggio, quando il calcio era passione di tutti i piombinesi e la domenica al Magona era un delitto perdersi la partita. Resta un’edicola che regge con scommesse, video poker e altre diavolerie, giornali pochi, tabacco e superenalotto, gratta e vinci, che tristezza! Strada che ha perso il suo fascino antico, strada che percorrevi trafelato per arrivare in tempo alla partita, per un allenamento, strada che adesso porta verso una stazione in abbandono dove quasi non partono più treni, come se il tempo si fosse ormai fermato.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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