Attualità domenica 01 giugno 2025 ore 07:03
Via Gobetti

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi presenta il racconto di Lucilla Lazzarini
PIOMBINO — Questa domenica vi lascio in compagnia di una scrittrice molto brava come Lucilla Lazzarini, dirigente Unitre di Piombino e insegnante di lettere, che ci racconta la sua via Gobetti del passato. Ricordiamo che Lucilla Lazzarini ha pubblicato alcuni libri con Il Foglio Letterario, sia antologie di racconti collettivi Unitre (Piombino racconta - Storie di una città di mare, Donne nei vortici del tempo, Unitre in giallo, Fiabe e filastrocche per bambini…), sia raccolte di poesie personali (Le filastrocche di Nello il Pipistrello, Frettoloso garrire), infine ha tradotto dal francese Il piccolo principe di Patrice Avella. Vi lascio al racconto, scritto con penna delicata da poetessa e soffuso di malinconici tratti lirici.
Via Gobetti
Malinconia del ritorno in via Gobetti a cercare la memoria di “allora”.
Il cortile coi pioppi dalle foglie d’argento che scintillavano al sole e nel vento ripetevano le canzoni bambine, le filastrocche dei girotondi intorno ai mazzi di san Giuseppe e le “conte” per giocare a nascondino tra i bidoni della spazzatura e nel buio delle scale che scendevano nelle cantine. Nelle cantine no, non si andava, che forse: “chissà chi c’è!”
Sere d’estate in bicicletta intorno alle aiole mentre sui terrazzi di quelle case popolari brillavano le punte delle sigarette accese dei babbi, in canottiera bianca di cotone, e a volte anche delle mamme, ma più raramente. E da un terrazzo all’altro si sentivano conversazioni, chiacchiericci, risate, pettegolezzi.
“Hai visto? fuma anche lei! che tempi!…ormai!”
Quei tempi a volte bigotti a volte ansiosi e urgenti di futuro.
Le donne di casa mia fumavano tutte, anche mia nonna, e lo facevano con soddisfazione e non importava cosa diceva la gente.
D’inverno, finita la lezione, noi bambini, dietro ai vetri delle finestre chiuse, si aspettava che spiovesse per scendere in cortile e ritrovarsi a gruppetti, secondo l’età; si lasciava il caldo della stufa a legna o a kerosene e si affrontava il freddo o anche la neve, quella epica del cinquantasei, imbacuccati nelle sciarpe e nei cappotti e coi berretti calcati sulla fronte, il naso rosso che ogni tanto colava, qualche starnuto, di nascosto che sennò ti richiamavano a casa e non potevi più uscire.
La vita passava come una piena tra le corse, i ginocchi sbucciati, i giochi della palla contro il muro, della campana, un due tre stella e gli sguardi ai ragazzi più grandi, lontani e irraggiungibili. Il primo amore: tu sedicenne, lassù al quarto piano, io bambina che arrossivo se mi guardavi e magari non mi vedevi neppure.
Via Gobetti. Una casa piccina per quanti eravamo. La cameretta condivisa con la zia dietro la “vetrage” di vetro e di legno che divideva il salotto e, di là, il pianoforte che babbo suonava. La zia, che aveva studiato musica, cercava inutilmente di insegnarmi le note. “Io suono a orecchio” le dicevo. E suonavo davvero.
Lo studiolo in una nicchia nel corridoio, la libreria, un tavolino piccino, i libri e io che mi divertivo a fare la maestra con le nonne, alunne diligenti.
Il nonno che veniva a volte a prendermi a scuola con la carrozza e una cavallina tutta marrone, Stellina, perché aveva una stella bianca sulla fronte. Lui faceva il vetturino di piazza e io mi sentivo una principessa.
I miei genitori, giovani e “scapestrati”, che partivano in moto il sabato mattina e tornavano felici, la domenica sera, e dicevano di aver visitato città affascinanti e paesi misteriosi, con gli occhi che brillavano, pronti per affrontare un’altra settimana di lavoro. E io li ascoltavo incantata, felice di avere due genitori “magici”.
Qualche volta, d’estate, la grande avventura della domenica pomeriggio: tutti insieme a prendere il gelato a Portoferraio. Il lunedì, poi, ne avevo di storie da raccontare ai miei amici e alle mie amiche del cortile!
Via Gobetti, io “la figlia degli impiegati” in un mondo fatto di figli e figlie di operai, all’inizio “l’intrusa”, poi la compagna, poi finalmente l’amica.
Via Gobetti, il sapore delle “bracioline” fritte che le nonne cucinavano quando a pranzo c’erano degli amici, perché il fritto “rende tanto e costa poco”. E c’erano spesso gli amici a casa mia perché i miei erano gente così, pochi soldi ma in compagnia.
Via Gobetti e quella vipera che quasi mi mordeva la caviglia mentre le passavo sopra saltellando a rincorrere il pallone. La rivedo ancora agonizzante, abbattuta a martellate mentre mia madre è bianca per la paura.
Via Gobetti delle risate e dei pianti, de “il fumo è pane” e dello spolverino sul terrazzo.
Via Gobetti e qualcuno già non c’è più, uno strappo grande e l’odore di morte e di lontananza. Una foto sorridente con davanti un fiore e un lumino sopra al comò.
Via Gobetti e la tristezza infinita di cambiare casa e lasciare quel mondo a vivere solo nel sogno e nel ricordo.
Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata
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