Attualità domenica 16 febbraio 2025 ore 06:00
Via Landino Landi, già Via Livorno

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia Gordiano Lupi ci ricorda la storia di Landino Landi e la via a lui intitolata
PIOMBINO — Landino Landi era un antifascista piombinese, tra l’altro amico di mia nonna che rischiò il posto di lavoro per andare al funerale, nativo di Pomarance (1902), ucciso dai fascisti a Piombino il 23 maggio 1922. La via che lo ricorda è quella dove fu ammazzato, va da via Portovecchio a via della Ferriera, una strada di case popolari. Prima della guerra era via Francesco Crispi (politico - Ribea, 1819 - Napoli, 1901), ma ha avuto anche nome di via Livorno, quello che i nostri vecchi ricordano meglio. Si chiama via Landino Landi dal 1945.
Facciamo un po’ di storia, vista l’occasione. La prima vittima dello squadrismo fascista fu il giovane anarchico Landino Landi, ricordato come abbiamo visto da questa strada del centro storico, zona acciaierie, dove in tempi più recenti è accaduto un altro infausto evento. I fascisti non perdonavano a Landi di essere uno dei principali artefici delle loro ritirate, insomma era un ragazzo coraggioso che rispondeva alla violenza ingiusta con metodi altrettanto rudi. Poteva morire solo in un’imboscata. Landi si salvò da un primo agguato avvenuto in località Campo alle Fave, rifugio campestre insieme ad altri perseguitati, dove fu ucciso Amadio Lucarelli (fratello di Pio, il gioielliere). A capo della squadraccia assassina che dava la caccia agli antifascisti c’era addirittura l’ingegner Garabaglia, il direttore dell’Ilva. Landino Landi, rientrato in città, fu ammazzato a colpi di pistola nella notte del 21 maggio 1922, nei pressi del Bar Elba, tra via Pisacane e via Livorno, strada che adesso porta il suo nome. Tra i presunti colpevoli fu arrestato Rodolfo Agnelli, si fece pure un processo, ma fu una vera e propria farsa perché i presunti sicari vennero ben presto rimessi in libertà. Agnelli, forse colui che aveva commesso materialmente il crimine, restò per un po’ di tempo lontano dalla città, poi fece ritorno, forte della protezione del gerarca Piccioli. Agnelli continuerà a mietere vittime innocenti nel nome di Mussolini, repubblichino fino in fondo, spia e delatore, persecutore di partigiani e confidente dell’esercito di occupazione nazista. Il delitto Landi fu la scusa per scatenare una crudele repressione di polizia, con esponenti fascisti convocati in questura, oltre alle sedi di partiti e sindacati piantonate dalla forza pubblica. Per far star buona la gente c’era il ricatto del lavoro, delle assunzioni in fabbrica, che un sedicente Comitato Cittadino (d’ispirazione fascista e padronale) sbandierava a più non posso, confidando sulla fame arretrata di tante famiglie piombinesi. Ben presto tutto fu messo a tacere, senza conseguenze.
In via Landi, quando si chiamava via Livorno, c’era il negozio della Pineschi che vendeva frutta e verdura, proprio accanto alla palazzina che in un giorno infausto degli anni Novanta saltò in aria per un gesto scellerato di Simone Cantaridi, di cui ho detto tutto quel che so in Giallo Piombino e qui non voglio ritornarci sopra. Non son queste le cose memorabili, sono anche troppi i libri che scavano nelle ferite e nel dolore, il mio lavoro è altro, alla ricerca del tempo perduto, riscoprendo odori e sensazioni del passato. Via Livorno era la sede del robivecchi Barsotti, nonno materno dei Giuliani, padre della moglie di Aulo, uno dei commercianti più in gamba di Piombino. Quante volte da via Gaeta sono andato con il mio amico Luca a portare cartone e ferro vecchio per ottenere in cambio poche lire e subito dopo trasformarle in caramelle e dolci. In via Livorno c’era la fruttivendola Elena (non solo la Pineschi!), il negozio di Alfonsina (detta la sorda, ci sentiva poco) che vendeva stoffa a metraggio per vestiti, ancora le confezioni non le avevano inventate. Il Bar Elba segnava l’inizio della strada, in angolo con via Portovecchio, una teoria di palazzine proletarie indicava che lì vivevano famiglie di operai che campavano di fabbrica e mangiavano con quello spolverino che volava libero nel cielo, spinto da venti irregolari. Per finire c’era la latteria Minelli che vendeva gelati, panna e latte sfuso - come era normale fino agli anni Settanta -, entravi con un contenitore vuoto (di vetro) e la lattaia te lo faceva pieno, con quella densa panna cremosa che era la prima cosa da gustare. Era un posto vitale la via Livorno del passato, se poi ti spingevi in via Portovecchio, verso via Gaeta, c’era un’altra fruttivendola, la famosa Callai (madre di Alfio, tifoso del Piombino, e di Ida, morta a 13 anni, povera bimba), che sapeva fare le punture e - in caso di bisogno - la potevi chiamare pure a notte fonda. Tutto questo non è cronaca nuda e cruda, no davvero, non è nostalgico resoconto del passato, tutto questo è poesia cittadina ormai fuori dal tempo, sinfonia malinconica e ricordo.
Gordiano Lupi
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