Il paesaggio, il bene comune e la salute pubblica
di Franco Cambi - venerdì 20 marzo 2015 ore 16:44
Storici e archeologi moderni guardano alle geografie che li circondano e cercano di interpretarne storie, successi e disagi, con passione per il tempo presente. Un unico piano unisce il paesaggio degli artisti con quelli ricostruiti di storici, geografi e archeologi, con il paesaggio a rischio dei geologi, con quello di agronomi, vitivinicoltori, urbanisti, giuristi, ecologi. In ossequio ad una finta modernità, quella per cui tutto può e deve essere sfruttato e conta solo ciò che ha apparente rilevanza economica, negli ultimi tempi si sono sperimentate forme sempre più violente e inutili di uso del suolo: capannoni, finti PEEP, insediamenti turistici.
Il paesaggio dei pittori non esiste più e, probabilmente, questo è un bene. Le belle raffigurazioni dei luoghi, volte a rappresentare l’immagine del Bel Paese presso le culture egemoni dell’Europa, coincidevano, per le classi subalterne del Bel Paese medesimo, con scenari di spaventoso degrado economico e sociale. Nella civilissima Firenze del 1840 l’aspettativa media di vita era di 40 anni; nell’altra Toscana (in Maremma) la metà.
I rischi per il bel paesaggio toscano e italiano sono molti.
I geologi scrivono che, continuando in questo modo, il meno che possa capitare è di finire tutti travolti dal fango e dalla melma. La natura ha dimostrato, con terrificanti esperimenti ripetuti (Albegna, Lunigiana, Isola d’Elba), la fondatezza di quegli ammonimenti.
Le agricolture degli ultimi decenni, meccanicamente molto aggressive, hanno creato paesaggi artificiali mentre gli agronomi più avveduti e moderni sostengono che l’unica salvezza può venire da un ridisegno armonico dei paesaggi agrari.
Le nuove opere urbanistiche, trasformando le campagne in periferie desolate, travolgono tutto e l’invasione degli spazi rurali, unita all’abbandono dei coltivi già esistenti, modifica i microclimi della piana fiorentina e della val di Cornia.
Il profitto non può essere l’unità di misura di tutte le cose.
Dobbiamo impostare oggi un cambiamento epocale, di spessore, intensità e portata pari a quelli del miracolo economico, investendo nelle risorse riproducibili dei diversi contesti. Il paesaggio è il luogo e il momento nel quale si elabora un governo che tenga conto del bene comune dei cittadini (la salute pubblica) prima che del profitto di alcuni. Tutte le cose sono insieme e dobbiamo chiudere il cerchio: nel bene e nel male, il paesaggio è il luogo della convergenza delle nostre competenze di esperti e delle nostre intelligenze di cittadini.
Alla fine della strada si pone dunque il paesaggio dei cittadini, sul quale tutti camminiamo e dal quale tutti noi traiamo, o dovremmo trarre, cibo, benessere, svago.
Il Piano Paesaggistico della Regione Toscana, nella sua forma originale, lungi dall’essere uno strumento di congelamento del presente, serve a orientarsi nel cammino e a sviluppare progettualità autenticamente innovative.
Franco Cambi