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Attualità domenica 11 ottobre 2020 ore 08:27

Un ricordo di Don Sebastiano Leone

Foto di un camposcuola ragazzi del 1989

Su #tuttoPIOMBINO di QUInews Valdicornia "Un ricordo di Don Sebastiano Leone" scritto da Chiara Leoni e consegnato a Gordiano Lupi



- — Don Sebastiano Leone è nato il 2 Ottobre 1958, consacrato sacerdote il 17 Maggio 1986, tornato al Padre il 31 Agosto 2003.

Avevo chiesto per la mia rubrica qualche informazione su Don Sebastiano Leone, per ricordare la sua figura di parroco fuori dagli schemi, ma Chiara Leoni mi ha fatto avere un ritratto così ben scritto che devo pubblicarlo integrale.

Sebastiano Leone arrivó nel 1989 e tutti si accorsero subito che era una persona speciale. Allora era parroco di Santa Barbara a Niccioleta e durante il primo anno unificò quella piccola parrocchia con la nuova di San Paolo della Croce di Follonica, alla quale lo destinarono. In quel periodo Sebastiano era sempre affannato dividendosi tra le due parrocchie, sempre scappando di corsa, ma il suo cuore era giá a Follonica, infatti alla fine lasció Niccioleta. La parrocchia di San Paolo della Croce andava costruita da zero, a cominciare dalla struttura che era un prefabbricato. Durante i primi tempi, forse i primi due anni, non esisteva neanche l’abbozzo di un centro parrocchiale. C’era la chiesa, poi una minuscola dependance con un ufficetto quattro per quattro, una stanza con un tavolo per qualche riunione o colloquio. Dietro c’era il campo. A prescindere da questa povertá di spazi, per lo sparuto gruppo che cominciava a costituirsi intorno alla nuova parrocchia la vita era bellissima. 

Don Sebastaino era una persona speciale, diversa da tutti i sacerdoti che fino ad allora avevamo conosciuto. Durante tutto il primo anno tutte le attività venivano svolte dentro la chiesa. Sebastiano non aveva problemi che, finita la messa o il rosario, i giovani provassero i canti o parlassero nella Casa del signore. Il catechismo lo hanno fatto in chiesa per molto tempo. Per lui la chiesa non era fatta di mattoni ma di persone, che era anche un famoso canto liturgico, che lui applicava davvero. Piano piano furono costruiti alcuni annessi posteriori, una cucina con bagno, una sala grande per riunioni, alla fine spuntarono pure un paio di camere che Sebastiano cominciò a utilizzare per le attività di accoglienza. Aveva sempre posto per i poveri e per i tossicodipendenti, ma anche per gli amici dei parrocchiani che venivano in visita. 

Sebastiano restó circa dieci anni, costruendo dal nulla una comunitá; dette vita a una serie di progetti sociali territoriali, portò don Ciotti del Gruppo Abele, padre Ennio Pintacuda, fece conoscere la teologia della liberazione di Leonardo Boff. Lasció la parrocchia perché la sua esperienza aveva determinato molte rotture, purtroppo non tutti lo amavano, perché lui aveva idee un po’ rivoluzionarie, diceva che essere prete non equivale a fare il parroco, ruolo troppo amministrativo che a suo parere andava delegato a un laico, per lui fare il prete era seguire una vocazione personale. La sua era il sociale: fondó il Gruppo Heos, che lavora ancora per la riabilitazione dei tossicodipendenti, inoltre aveva l’idea visionaria di fondare una cooperativa sociale a Follonica. Avere i ragazzi con problemi di tossicodipendenza nella parrocchia non fu semplice. I giovani che sostenevano il prete lo aiutavano e vennero fuori tante belle esperienze: le nonne che insegnavano alle ragazze a fare la maglia; i coristi che insegnavano a cantare; le feste dell’ultimo dell’anno con i ragazzi che cucinavano le lenticchie... Sebastiano ha aiutato e recuperato molti tossicodipendenti. 

Quando arrivó aveva persino un bambino in affidamento familiare, cosa insolita per un prete. Lui si portava dietro il bimbo tra Follonica e Niccioleta, lo lasciava insieme ai ragazzini mentre lui diceva la messa. Era il figlio della parrocchia. Sebastiano diceva che era la sua vocazione perché era stato anche lui un bambino abbandonato e sapeva quanto fosse importante una famiglia. Quando lasció la parrocchia nel 1998 e fu destinato a Valpiana era giá malato di linfoma. Il suo posto fu preso da don Emanuele Cavallo, suo grande amico, persona squisita che attenuó il dolore per la sua perdita. Sebastiano morí nel 2003, non senza aver continuato a girare in lungo e in largo sempre impegnato nella sua voczione sociale. La chiesa in muratura come la vediamo oggi, non la vide, fu costruita dopo, con don Gregorio Bibik; lui aveva seguito un progetto bellissimo di una chiesa modulare, che aveva fatto l’ingegnere Bartolozzi (un parrocchiano), pensata totalmente per le attivitá di accoglienza (pensava che qualche coppia potesse convivere in parrocchia), ma non fu possibile portarlo avanti perché il Comune cambió la concessione del terreno. P

roprio per questo suo spirito francescano portò a Follonica le Missioni dei Frati Minori della Toscana. Durante un periodo vennero alcuni frati e suore francescani e giravano letteralmente per la cittá, parlando con la gente, andando nelle scuole, organizzando incontri. Fu montato un tendone nel piazzale dove si celebrava messa, era una cosa bellissima e toccante, un’esperienza che lasció un segno nella cittá. Con Sebastiano si vide gente atea adulta che chiese di battezzarsi perché aveva cambiato idea. Grande fu l’impegno sociale di Sebastiano, non da meno la parte di uomo di fede e uomo di Dio, che faceva andare sempre unita all’altra. Era disarmante nel dire che il Vangelo andava applicato alla lettera e senza mezze misure, quindi se nel Vangelo c’era scritto di aiutare i poveri, lui lo faceva: si toglieva i pochi soldi che aveva se incontrava un povero. 

La profonditá dell’esperienza di fede era sconvolgente; si definiva un ignorante, uno che non aveva studiato, ma durante le sue omelie non volava una mosca e che ogni sua parola scuoteva da capo ai piedi. L’esperienza di comunitá (aveva sempre la parola comunitá in bocca) era speciale. Era normale pregare, dopo passare un’oretta in sacrestia a chiacchiera, poi fare le prove di canto, magari pulire, mettersi a fare riparazioni, infine cenare insieme. La chiesa era la seconda casa di tutti. 

Poi c’era la Diocesi di Massa Marittima e Piombino, realtà complessa anche perché a volte si deve prendere il traghetto e andare all’Isola d’Elba. Lui diceva che non si poteva stare ognuno nella sua piccola parrocchia e bisognava respirare piú ampio, quindi organizzava campi scuola, ritiri spirituali, giornate di preghera. Fu solo grazie a lui che si formò, almeno a livello di giovani, una collaborazione tra parrocchie di tutta la Diocesi, un primo abbozzo di una certa interparrocchialitá. I

l sogno di Don Sebastiano era un’unica parrocchia cittadina con comunitá locali, come la struttura della comunitá di Bose, alla quale si ispirava. Sebastiano fu un regalo speciale per la Diocesi di Massa e Piombino, fece conoscere anche don Valentino Salvoldi, missionario in Africa, altra persona importante. Questi sono i preti di cui tutti hanno bisogno, persino i laici, persino gli atei.

Gordiano Lupi
© Riproduzione riservata


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