Thomas Berra e la nuova pittura italiana
di Riccardo Ferrucci - venerdì 21 giugno 2019 ore 16:16
Thomas Berra, nato a Desio nel 1986, vive e lavora a Milano. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Tra le mostre personali recenti: Studio Park Associati, Milano, 2018; Tutti dobbiamo dei soldi al vecchio sarto di Toledo, Spazio Leonardo, Milano, 2018; Verde indagine, Placentia Arte, Piacenza, 2017; Dopo il diluvio, Villa Vertua Masolo, Nova Milanese, 2017. Tra le collettive: Premio Cairo, Palazzo Reale, Milano, 2018; Iperpianalto, Fondazione Spinola Banna, Poirino, 2018; Stupido come un pittore, Villa Vertua Masolo, Nova Milanese, 2018; Il paradigma di Kuhn, Galleria FuoriCampo, Siena, Studio O2, Cremona, 2018; So Long (Arrivederci), Fondazione Pastificio Cerere, Roma, 2017. E’ uno degli artisti più significativi della nuova generazione italiana. Lo abbiamo incontrato mentre è al lavoro in Sardegna alla Settimana dell’Arte , organizzata da Casa d’Arte San Lorenzo di San Miniato.
Sei uno degli artisti più affermati della nuova generazione e da alcuni anni stai lavorando essenzialmente su un solo colore, il verde, e dedicandoti in particolare al tema delle piante vagabonde. Com’è nata questa idea e continuerai a lavorare a questo ciclo di dipinti ?
Questo ciclo pittorico nasce dopo la lettura del libro “Elogio delle vagabonde” di Gilles Clèment, architetto e paesaggista francese, il quale, realizza un saggio sulla resistenza e sull’accettazione della diversità, attraverso lo studio delle piante. E’ un volume che ha profondamente segnato il mio approccio alla pittura.
Le vagabonde sono piante generalmente estirpate o eliminate dai giardini, poiché spontanee e non inserite nella progettazione di questi, la loro spontanea ricrescita è un atto di resistenza. Penso all’esempio del Re Sole e del giardino di Versailles, quando il monarca andava nel suo splendido parco, in compagnia di paggi e damigelle, si pungeva le caviglie con l’ortica. Iniziò, così, una battaglia feroce per eliminarla: oggi la monarchia è caduta e invece l’ortica vive ancora in quei prati.
La mia ricerca parte da un’indagine sulla natura usando il verde come colore più spontaneo per rappresentarla.
Il verde è un colore che ti permette di entrare in un’altra dimensione.
Inizialmente la composizione pittorica era più legata alla rappresentazione della pianta e al tema del vegetale, concentrata sul gesto e sul segno. Adesso sente l’esigenza di sprofondare nel colore.
Nel lavoro è proprio dal colore che la forma vegetale tende ad apparire, diventando riconoscibile. Il segno stesso diventata libero.
La dimensione onirica ha posto nelle tue opere?
Certamente. I sogni sono una dinamica fondamentale nel lavoro, mi guidano tutti
i giorni. La mia pittura ne è intrisa.
Ammiro il lavoro di Federico Fellini, dove tutto è sospeso in dimensioni sognate, fantastiche.
Uno dei grandi scrittori italiani, Italo Calvino, parlava della leggerezza come uno dei valori fondanti per il nuovo millennio. Ti ritrovi in questa definizione e l’idea di affrontare il mondo della natura non comporta, come logica conseguenza, un’idea di leggerezza e di fluidità ?
Assolutamente sì e le Lezione americane di Calvino sono state un altro stimolo fondamentale nel mio percorso. Leggerezza legata a rapidità. Il mio tentativo di rappresentazione del mondo della natura si associa a una “pesantezza” di argomento che si risolve in una leggerezza di colore, segno e composizione.
In questi anni hai partecipato a numerose residenze artistiche, anche all’estero. Sono esperienze utili e che hanno influenzato il tuo modo di essere artista ?
Credo che viaggiare e conoscere realtà differenti sia fondamentale per un’artista, per l’uomo in generale. Uscire dai luoghi dove si è cresciuti, aiuta a comprendere meglio il mondo oltre a formare una cultura personale di storia ed esperienza. Per crescere. Per affrontare e superare nuove sfide.
Una tua recente mostra è un omaggio all’opera di Tano Festa. In altri tuoi lavori si colgono corrispondenze con l’opera di Schifano. La scuola romana è stata importante per i tuoi riferimenti culturali ?
La scuola romana di Piazza del Popolo è stata fondamentale, Angeli, Festa soprattutto Schifano. Autori che ho seguito e amato fin da ragazzo.
Tutti dobbiamo dei soldi al vecchio sarto di Toledo è un progetto realizzato con UNA Galleria negli spazi delle Assicurazioni Generali Leonardo a Milano.
Il lavoro nasce da una frase di Tano Festa detta a Mario Schifano.
L’opera è un wall painting che percorre una delle pareti all’interno dello spazio, sperimentando un tipo di ricerca che parte dall’analisi dei segni attraverso la natura fino ad arrivare ad una nuova gestualità, una nuova cadenza e composizione artistica e rappresentativa. Il lavoro murale è la raffigurazione di differenti livelli rappresentativi, si parte da quello superficiale con una serie di segni caratteristici che seguono un andamento svincolato da qualsiasi ristrettezza espressiva per poi penetrare ed arrivare a comunicare con uno strato più intimo e intrinseco. Lo stato più profondo ci fa intravedere forme ed immagini che evocano il ricordo dell’artista Tano Festa, colui che ha reso Michelangelo Buonarroti un esempio artistico da seguire. Questa è un’analisi semiotica del gesto che attinge dal passato per modellarsi e comunicare un concetto specifico che va oltre al gesto rappresentativo e simbolico.
Adesso stai lavorando ad un nuovo progetto per Siena, ad una mostra che verrà ospitata alla fine del 2019 ai Magazzini del Sale in Piazza del Campo, uno degli spazi espostivi più suggestivi che ci sono in Italia.
Il mio percorso a Siena è fondamentale, è importante entrare in sintonia con la storia dell’arte e la bellezza unica di questa città.
La mostra presenterà l’ultima produzione pittorica e grafica, un’indagine iconografica della scuola senese di pittura, che fiorì in Italia tra il XIII ed il XV secolo e riuscì a competere con Firenze, nonostante fosse più conservativa e si focalizzasse maggiormente sulla bellezza decorativa e l'eleganza dell'ultimo periodo dell'arte gotica. Esplorando i capolavori di Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, Domenico e Taddeo di Bartolo, Stefano di Giovanni (il Sassetta) e Matteo di Giovanni.
Le opere saranno realizzate attraverso l’utilizzo di solo due colori, Bianco e Nero, cromie presenti nello scudo senese. La Balzana, simbolo dalle origini leggendarie e storiche.
Confrontarmi con Siena evocandone i suoi miti: la nascita della città fondata da Senio e Ascanio, figli di Remo, che fuggendo da Roma con due cavalli, uno bianco e uno nero, danno origine alla città di Siena.
Riccardo Ferrucci