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sabato 14 dicembre 2024

SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

Sfortunato al gioco...

di Nicola Belcari - lunedì 26 ottobre 2020 ore 13:30

Tante volte ho sentito dire – sfortunato al gioco, fortunato in amore – e anche (non è esattamente la stessa cosa) – sfortunato in amore, fortunato al gioco o chi ha fortuna in amor non giochi a carte e ancora… è inutile continuare con tutte le varianti. Mi sono chiesto da che cosa traesse origine il motto finché non ho conosciuto il "Trentuno" e la storia di un certo Tuccio, abbreviazione e vezzeggiativo di non so quale nome.

Tuccio era appassionato di un gioco di carte chiamato Trentuno che prevedeva, per come le regole erano stabilite, l’eliminazione graduale di tutti i giocatori tranne uno. Egli trovava piacere nell’invitare gli amici a casa, ai quali poteva dimostrare la propria abilità, e nel vincere piccole cifre, un segno del riconoscimento d’una superiorità piuttosto che un sostanziale guadagno. Vinceva spesso infatti e gli esclusi anzitempo gironzolavano intorno guardando gli altri giocare o tenevano conversazione con la moglie che cuciva in una stanza accanto.

Col tempo alcuni non s’impegnavano più come avrebbero dovuto e ritenevano più educato prendersi il disturbo di fare compagnia alla moglie che si annoiava. Costoro addirittura s’ingegnavano di perdere affrettando il corso degli eventi sfavorevoli. Avevano preso confidenza e stretto amicizia con la disponibile padrona di casa che si rivelava sempre più un’ospite squisita.

Così mentre il marito si concentrava nel ricordare le carte passate, manovrava coppe e denari e urlava dalla gioia – Trentuno! – quando realizzava la combinazione vincente, nella stanza accanto, l’urletto del trentuno, sia pure soffocato, esprimeva un valore diverso e sorgeva da tutt’altre motivazioni e in tutt’altre circostanze.

Gli amici si consolavano dicendo – sfortunati al gioco, fortunati in amore – e il marito ridacchiava sotto-sotto e qualche volta insinuava che non poteva essere solo fortuna se vinceva sempre, lasciando intendere che si considerava un maestro in quel gioco che sarebbe stato più giusto chiamare “del cornuto” più che Trentuno.

I perdenti giustificavano le loro pratiche considerandole penitenze e se le sobbarcavano delle più varie, oltre quelle tradizionali, come “il viaggio a Citera”, “il bacio della lepre”, ecc., mentre al marito, senza saperlo, toccava fare “il cavallo di Aristotele”, “il viaggio a Corinto” e così via.

Penitenze degne di questo gioco, crudele nei suoi meccanismi, che prevede un premio in denaro, l’eliminazione del più debole, l’esclusione degli altri, la solitudine del vincitore dopo i simbolici omicidi rituali.

Nicola Belcari

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