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martedì 19 marzo 2024

MUSICA E DINTORNI — il Blog di Fausto Pirìto

Fausto Pirìto

FAUSTO PIRITO - Sulle strade del Pop (e non solo) con l'ex caporedattore di Tutto Musica & Spettacolo, già direttore artistico del contest Rock Targato Italia e garante del Festival della contaminazione BresciaMusicArt, ideatore e curatore del Tributo ad Augusto Daolio e del contest Soms Experience, autore dei libri “In viaggio con I Nomadi” e “Vasco in concerto”

​Diego Spagnoli e la “macchina da guerra” di Vasco

di Fausto Pirìto - domenica 14 giugno 2015 ore 12:45

Diego Spagnoli sul palco con Vasco Rossi

Davvero “una splendida serata”, quella di venerdì 12 giugno allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, uno dei “luoghi della musica” più importanti e cult della nostra Toscana. Di scena c'era Vasco Rossi, con il suo “palco-astronave” fatto di mille amplificatori e mille luci... una “macchina da guerra” vera e propria che ha mandato in visibilio i quarantamila presenti fino a mezzanotte... e a Firenze stanno ora per arrivare Tiziano Ferro (martedì 23 giugno) e Lorenzo Jovanotti Cherubini (sabato 4 e domenica 5 luglio).

Ma torniamo a venerdì scorso. Ad accogliermi allo Stadio, alle 5 del pomeriggio, c'erano Guido Elmi, il produttore artistico di Vasco di cui vi ho parlato nello scorso appuntamento, e Diego Spagnoli, da sempre direttore di palco degli show del Blasco. E proprio di Diego, detto “Gu” (diminutivo di Diegun), voglio occuparmi stavolta, presentandovelo con una mini-auto-biografia che ho raccolto in occasione dell'uscita del libro “Vasco in concerto” (http://www.giunti.it/libri/musica/vasco-in-concerto/) scritto a quattro mani con Paolo Giovanazzi.
Intanto “Gu” continua a sognare...
«Fin da bambino ho sognato di campare di musica. Mi sono ritrovato anche a fare il “bassista per sbaglio”. A Brescia, verso la fine degli Anni Settanta, quando avevo neanche vent’anni, gestivo una piccola sala prove dove facevo suonare i giovani musicisti della città. Era una libidine stare con loro. A uno di questi gruppetti serviva un bassista, mi insegnarono qualche accordo e mi portarono sul palco. Per me, esibizionista nato, era il massimo. Tanta passione e poco talento. Di lì a poco, però, gettai la spugna e cominciai a organizzare concerti, alternando questa attività a quelle di geometra e muratore. Bernardo Lanzetti, i Saxon, Teresa De Sio... ma ci rimettevo sempre. Ero disperato. Agli inizi degli anni Ottanta Frank Zappa, di cui ero un grande fan, fece un concerto a Torino. Riuscii a registrare un bootleg e ne vendetti 1600 copie racimolando un po’ di soldi. Poco tempo prima ero stato fulminato da un pezzo di Vasco Rossi. Viaggiavo sulla mia 500 e la radio trasmetteva 'Albachiara'. Ne fui sconvolto, complice l’assolo di Maurizio Solieri alla chitarra, una specie di orgasmo strumentale. Mi dissi: “Be’, questo Vasco qua ha qualcosa dentro che non mi so spiegare. Una roba così non l’ho mai sentita”. Venni a sapere che a Sanremo, qualche giorno prima del Festival del 1982, ci sarebbe stato un concerto intitolato “Free Show” dove una serie di concorrenti presentava il lato B del 45 giri con la canzone in gara. Per Vasco si trattava di “Ogni volta”, retro di “Vado al massimo”. Mi fiondai in Riviera. Mi intrufolai sotto il tendone dello spettacolo. C’erano tutti: Riccardo Fogli, Bobby Solo, Albano e Romina... Da una parte, isolato, vicino alla scaletta del palco, seduto su una sedia, c’era lui, veramente a pezzi. Occhiali scuri, magrissimo, in braghe gialle millerighe, solo come un cane. Mi avvicino e gli dico: “Ciao, io vorrei organizzare un concerto con te”. Vasco alza appena appena lo sguardo e mi fa: “Guarda, dovresti parlare con un signore che è qui con me. Sembra vecchio, ma non è vecchio. Si chiama Guido Elmi. È quello lì con i baffetti, i capelli lunghi e gli stivali da texano”. Andai da Elmi, che non è mai stato un tipo facile da avvicinare. Rimasi sconvolto. Mi disse subito ok, mi chiese un cachet onesto, sui sei milioni manifesti compresi, e aggiunse: “Noi non vogliamo nessun anticipo: se dodici ore prima della data del concerto credi che non venga gente, se la prevendita non funziona, tu non mi dai niente e noi non veniamo”. Il concerto si fece, al Teatro Tenda di Brescia, e andò benissimo. Io portai a casa 200 mila lire. Dopo, Guido e Vasco mi dettero la possibilità di fare da gruppo di supporto con la mia band, ma mi resi conto che non eravamo all’altezza. Capii, però, che per vivere di musica non c’era solo la chance di stare sul palco a fare la rockstar. Capii che dietro uno show c’è tutta una serie di cose altrettanto utili per dare carattere allo spettacolo. Il mio secondo concerto di Vasco lo organizzai in Val Sabbia, in provincia di Brescia. L’impianto funzionava malissimo e la gente rumoreggiava. Alla fine Guido Elmi salì sul palco e disse: “Be’, abbiamo fatto cagare... allora, torniamo fra 15 giorni... gratis!”. Ci fu un piccolo boato e questo episodio la dice lunga su come, data dopo data, Vasco e la sua band siano riusciti a ingraziarsi il pubblico. Per quei primi spettacoli non erano previsti camerini. I musicisti si cambiavano su un camioncino. Massimo Riva, nonostante il nervosismo di quella notte, alla fine del concerto andò a rompere il cazzo a Vasco sul suo furgone, come d’altronde faceva sempre con una scusa o con un’altra. Risultato: si prese un pugno in faccia da Elmi, incazzato come mai.A quei tempi facevo un po’ di tutto. Aiutavo Solieri ad accordare le chitarre, facevo da autista, mi occupavo della vendita del merchandising e spesso mi ritrovavo a fare la “security” insieme con Guido. Nei posti dove andavamo a suonare non c’erano quasi mai le transenne e davanti al palco potevi trovarti 15 o 200 persone, ma sempre succedevano cose assurde e spesso c’erano degli scalmanati che non avevano paura a tirarti dietro anche le lattine ancora piene. Visto che gli episodi violenti aumentavano, decisi di darmi un’immagine che incutesse un po’ di timore. Mi rapai a zero, anfibi e pantaloni militari, maglietta tagliuzzata, atteggiamenti da “gorilla”. Finita quella specie di tournée mi ritirai in buon ordine. IntantoVasco, nel 1983, tornò a Sanremo con “Vita spericolata” e fece il botto. Pochi giorni dopo il Festival ricevetti una telefonata di Guido che mi propose di diventare responsabile di palco. Dall’oggi al domani mi ritrovai “on the road”. Era marzo, e non ci fermammo più fino a novembre. Facemmo 106 date. Da allora sono sempre stato al fianco del Rossi, eccetto il “Rock sotto l’assedio Tour” del 1995 e il “Word Wide Tour” del 1997. Al primo di questi due eventi erano previste 100.000 persone per la data di apertura, e non funzionava niente. Io ero tesissimo e passai tre giorni senza dormire. Il quarto giorno, in-vece di resuscitare, ero in trance sul palco alla mattina alle 9. Svenni. Il palco era alto quasi tre metri: cadendo mi fratturai due vertebre. Nel ’97 disertai il “Word Wide Tour”. Non condividevo lo spirito di quella tournée e lo dissi a Vasco. In più, erano ormai quasi quindici anni che il mio ruolo era lo stesso. Gliene parlai, sottolinenando che io voglio sempre crescere. Gli Africa Unite mi offrirono di fare il loro tour manager e io accettai. Vasco capì. Mi chiamò e, su un libro di filosofia grosso così che gli aveva regalato Gaetano Curreri, mi fece giurare che sarei tornato con lui al prossimo giro. Io feci la mia bellissima esperienza con gli Africa e loro fecero la loro bruttissima esperienza in Europa. Al ritorno tutti mi dissero: “Tu c’hai il terzo occhio, tu già sapevi come sa- rebbe andata a finire”. Pochi giorni dopo mi arrivò un fax scritto a mano, che diceva: “Ti nomino direttore di produzione. FirmatoVasco Rossi”. Poi mi telefonarono per dirmi che c’era in ballo un’operazione importante. Così, di lì a un anno mi ritrovai a preparare e gestire tutto l’ambaradan dell’esibizione di Vasco all’Heineken Jammin’ Festival. Era il giugno del 1998 e a Imola arrivarono più di 120.000 persone.Torniamo indietro. Andare in tour, nei primi anni, era un po’ come andare in guerra. Il successo stava arrivando. Ma a guidarci era un “cavallo pazzo”, un generale geniale e imprevedibile che non sapevamo mai se sarebbe arrivato in tempo per il concerto. Soffrivo di quel continuo stato di insicurezza, perché io mi sentivo l’anello di congiunzione fra l’arte diVasco e il pubblico. Ricordo che giravo sempre con un sacchetto pieno di gettoni del telefono per cercare di “beccarlo” da qualche parte, quando ritardava. Ma sapevo anche che l’artista è artista, e come tale ha sempre e comunque ragione, anche nella sua follia. Per Vasco, insomma, provo un grande rispetto, ma non sono mancate le litigate forti, fino ad arrivare alle mani. Io avevo il compito di fare in modo che tutto funzionasse affinché lui potesse esprimersi al meglio. Ma non era facile stargli dietro. La “vita spericolata” non è una leggenda, c’è stata davvero. Io non l’ho condivisa con Vasco, ma mi rendevo conto che lui giocava con la vita e la morte. Dopo l’episodio di Pesaro e il carcere per cocaina, Vasco cambiò in maniera radicale. Diventò puntuale, razionale, manteneva gli impegni sempre e comunque. Prima non sapevamo mai dov’era e con chi era, stava tre giorni sveglio, due giorni dormiva. Dopo Pesaro,Vasco si rese conto che la sua ricchezza, il suo punto fermo, era il pubblico. E questa nuova consapevolezza gli fece cambiare totalmente i rapporti con la gente e con noi dello staff. La gestione dei concerti diventò una cosa seria. Gli investimenti su Vasco diventarono importanti. Eppure, una sera, durante un concerto del “C’è chi dice no Tour” del 1987, mi ritrovai a piangere dietro l’amplificatore di Solieri. Mi rendevo conto che per fare bene il mio lavoro dovevo rimanere distaccato, dovevo non farmi coinvolgere dalle emozioni, ma il bello era proprio lasciarsi emozionare da Vasco. E capii che dietro a quel pianto c’era un presentimento. Qualcosa stava per morire. Sentivo che il cantante andava a mille e la band frenava. Alla fine di quella tournée, la Steve Rogers band prese un’altra strada.Chiuso il capitolo Steve Rogers Band, finì un’epoca. Del passato non era rimasto niente o quasi. Della vecchia “combriccola” c’eravamo Vasco e io, a parte Andrea Innesto e Daniele Tedeschi che però si erano aggiunti a metà Anni Ottanta.Vasco decise che da allora in poi, prima dei concerti, ci fosse una sorta di intro per caricare il pubblico. A Piacenza, in quella che doveva essere la data zero del “Liberi liberi Tour”, mi inventai un ingresso “urlato” poco prima di dare il microfono aVasco. Mi ricordai di una situazione di qualche anno addietro, forse era il 1984, in cui Vasco, prima di cantare “Giocala”, aveva sputato fuori questa frase: “Il cielo lasciamolo ai passeri, noi stiamo coi piedi per terra!”. La feci mia e la usai come per dire: le cose sono cambiate ma noi siamo sempre noi e sempre qui! Vasco rimase sbalordito, ma quell’intro funzionò, diventò uno slogan, piacque tanto che poi ne è rimasta traccia nel cd live “Fronte del palco”. Anno dopo anno, i tour diventarono delle autocelebrazioni. Capimmo che bisognava tornare a prendersi un po’ meno sul serio. Successe tutto per sbaglio, nel 1996. Fino ad allora, sul tappeto sonoro di “Siamo solo noi” Vasco presentava uno a uno i musicisti. Al concerto di Acireale, però, smisero di funzionare gli aspiratori e lui, tra fumi e polvere, rimase senza fiato. Uscì di scena quasi rantolando. E la band? Non si può non presentarla... “Fallo te” fu l’unica cosa che riuscì a dirmi. “Ok, vado io ma lo faccio come cazzo pare a me” gli risposi. Saltai in mezzo al palco, pensando a Frank Zappa e ai presentatori degli incontri di pugilato, e cominciai a spa- rarle grosse del tipo “Centocinquanta libbre di potenza: è solo lui, l’unico, inimitabile...” e via con i nomi. Dietro le quinte, Vasco era piegato in quattro dalle risate. Ecco come sono diventato anche il “presentatore” dei concerti del Blasco, qualifica che mi venne riconosciuta nei crediti dell’antologia “Buoni e Cattivi Live” del 2004-2005. E nella stagione 2009- 2010 ho fatto un altro salto di qualità. Infatti, prima dello spettacolo ho avuto uno spazio mio, da “intrattenitore”, una lunga performance alla console. E in questa apertura, con l’ok di Vasco, ho coinvolto Fulvio Arnoldi, un cantautore, chitarrista e tastierista innamorato come me dell’elettronica e della musica underground. Insieme siamo diventati quasi il gruppo di spalla di Vasco, proprio come sarebbe potuto succedermi all’inizio di tutta questa mia bella storia».
Questo racconto potete trovarlo nel libro citato insieme con tutte le date, le canzoni, i segreti e i “santuari” dei tour di Vasco. Insomma, tutto quello che avete sempre sperato di leggere sul Blasco e la sua band, in scena e backstage. In più, scoprirete che cosa hanno detto e che cosa hanno scritto di lui i giornalisti di tre generazioni rock e letestimonianze esclusive dei collaboratori e musicisti che lo hanno accompagnato in quasi quarant'anni di carriera: Andrea Braido (chitarre), Stef Burns (chitarre), Mimmo Camporeale (tastiere), Roberto Casini (batteria), Gaetano Curreri (leader degli Stadio), Guido Elmi (produttore artistico), Giovanni “Johnny” Gatti (medico personale), Claudio Golinelli (basso), Andrea Innesto (fiati e cori), Giovanni Pinna (lighting designer), Alberto Rocchetti (tastiere), Enrico Rovelli (tour manager), Tania Sachs (ufficio stampa), Maurizio Solieri (chitarre), Daniele Tedeschi (batteria), Dino Vitola (manager). In appendice, una mappa illustrata delle rarità discografiche che ogni fan di Vasco sogna di avere. Buona Musica a tutti... 

Fausto Pirìto

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