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PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

Spiegazioni

di Libero Venturi - domenica 31 marzo 2019 ore 07:00

Popolo sovrano. Ma chi è ‘sto popolo sovrano che oggi imperversa sulla scena politica e di cui i nostri politici parlano tanto? È quello di Atene e di Pericle inventore e promotore della democrazia? “Qui ad Atene noi facciamo così, la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero”. Benissimo, ci sarebbe da imparare pure al giorno d’oggi. Anche se ad Atene erano esclusi dal diritto di voto e dalla vita politica attiva gli schiavi, le donne, gli stranieri residenti, i cittadini indebitati e morosi verso la città, ma tutto va storicizzato. Il popolo erano forse gli aristocratici guerrieri Spartani, selettivi e militareschi? O era la plebe dei Gracchi? SPQR voleva dire Senatus Populusque Romanus: il Senato “e” il Popolo Romano. O forse si tratta di quel “Terzo stato” che ha dato avvio alla Rivoluzione Francese: tutti gli strati popolari dopo la nobiltà e il clero? Oppure il popolo è l’erede dei ghigliottinatori che l'hanno uccisa: giustizialisti, terroristi e forcaioli? Popolo sarà certamente il “Quarto Stato” dei diseredati in marcia, nel quadro di Pelizza da Volpedo. Oppure la classe borghese, che ha fatto il nostro Risorgimento? O sono i contadini sacrificati e i briganti vandeani e sanfedisti giustiziati in suo nome? Per non parlare dei morti della Grande Guerra. Rientrano nella definizione di popolo i nostri migranti andati in terra straniera a cercare pane o libertà? E se sì, allora non avremmo un dovere di reciprocità e di accoglienza, a proposito di migrazione? Il popolo sono stati gli italiani dell'Impero? Quelli di Addis Abeba e di Faccetta Nera, quelli che gridavano guerra o menefrego alle adunante fasciste, che applaudivano il Duce affacciato e gesticolante a Palazzo Venezia o inneggiavano alle leggi razziali, annunciate da Mussolini in piazza a Trieste? Sono gli alpini stremati dalla ritirata in Russia, al seguito dei nazisti sconfitti? O sono gli italiani insorti durante la Resistenza, i partigiani e quelli che hanno fatto la Repubblica? Insomma, chi è questo popolo? È un sovrano assoluto o la sovranità, il potere gli appartiene, a condizione che lo eserciti “nelle forme e nei limiti della Costituzione” che lui stesso ha voluto? E come hanno fatto i circa 45 milioni di italiani nel 1947 a scriverla, senza Internet, né social e neanche la piattaforma Rousseau?! Semplice, attraverso una Costituente eletta a suffragio universale. I suoi membri, di diverso orientamento ideale, insieme, l’hanno redatta e promulgata. Perché la democrazia vera è quella rappresentativa, che non è condizione sufficiente per la partecipazione alla cosa pubblica, ma è condizione necessaria perché un Paese possa dirsi libero e democratico.

Tutto il resto è burocrazia, tecnocrazia o, peggio, demagogia. La burocrazia, la tecnocrazia e la demagogia sono come le tre grazie, anzi disgrazie: grazia, graziella e grazie al... E in genere un cazzone demagogo di turno c’è sempre, dietro ad ogni popolo sovrano, specie nella variante odierna, sovranista e populista. Fateci caso.

Perché in realtà democrazia ed oligarchia, élite e popolo non sono disgiunti. Cosa unisce questi concetti, in apparenza antitetici? Una classe dirigente democraticamente eletta, degna di questo nome. Ah be’, allora tutto si spiega.

Pisa. Non si parla della simpatica città della torre, abitata dal benaugurale popolo dei Pisani. Si tratta dell’antica Πῖσα, Pîsa, località dell’Elide. Che si scrive con la “i”, con sopra, non il punto, ma un cappello. Presso Pîsa scorreva il fiume Alfea, come la cooperativa Cinematografica. E Olimpia, dove facevano le Olimpiadi, “era quindi certamente nelle vicinanze”. È scritto così su Wikipedia. Loro lo sanno, hanno Google Maps. Secondo la tradizione antica, a Pîsa sorgeva lo stadio, misurato da Ercole, che divenne poi un’unità di misura del mondo antico. Altro che Arena Garibaldi!

Fu sovrano di Pîsa, Enomao, poi spodestato da Pelope che allargò il suo regno a gran parte della Grecia, detta appunto Peloponneso, cioè Isola di Pelope. Pîsa fu verosimilmente distrutta nel VI secolo a.C. È scritto così:“verosimilmente”, che indica qualcosa di simile al vero. Volendo dire che forse è vero e forse no: va accertata la probabilità e apprezzato l’impegno. Il paese che oggi sorge sulle rovine dell'antica Pîsa è chiamato Archaia Pîsa, ovvero Pîsa Antica.

Secondo la leggenda, alcuni profughi Pelasgi, originari di Pîsa, di ritorno dalla guerra di Troia, sotto la guida di Pelope, fondarono da noi, in Toscana, l'attuale Pisa, con la “i” con il punto e senza cappello. E questo, dei reduci di Troia, spiega tante cose.

Aborigeni. Credete si parli dei nativi australiani? No, semmai quelli sono divenuti tali solo per antonomasia. Dal verbo greco ἀντονομάζω, antonomázo, “cambiare nome”, con cui si intende una figura retorica utilizzata a mo’ di esempio. Aborigeni erano dette le antiche popolazioni laziali, roba nostra. Infatti la parola deriva dal latino aborigines, da “ab origine”, dall’inizio, per indicare gente che stava lì fin dall’origine, popoli primitivi, nativi, indigeni, autoctoni. O che nel Lazio erano arrivati tanto tempo prima, chissà da dove. Da qualche parte di sicuro.

Dionigi di Alicarnasso, invece, sosteneva che il nome deriverebbe da aberrigenes, dalla parola latina aberrare, “vagare”, in quanto si trattava di popolazioni inizialmente nomadi. La gente girava parecchio a quei tempi. Secondo lo storico greco le terre laziali sarebbero state abitate nientemeno che dai Siculi, che furono scacciati da queste terre proprio dagli Aborigeni, che vi avrebbero vissuto come tali, fino all'arrivo dei Troiani. Dall'unione dei due popoli, Aborigeni e Troiani, sarebbero derivati i Latini.

I Siculi, come dice il nome, dal canto loro si ritirarono in Sicilia e là si stabilirono. E un altro storico greco, Tucidide, dice che l’Italia si chiamò così proprio per via di un re Siculo di nome Italo. Poi dice il mezzogiorno d’Italia... Invece era l’alba.

Secondo Virgilio i troiani, guidati da Enea, al termine della loro fuga da Troia, dopo essere sbarcati sulle coste del Latium, nei pressi della foce del Tevere, furono ospiti di re Latino che volle concedere in moglie ad Enea, che era vedovo, sua figlia Lavinia, già promessa in sposa a Turno, re dei Rutuli. Da cui, tanto per cambiare, derivò una guerra. C’era già stata Elena di Troia, mancava Lavinia del Lazio.

La leggenda comunque narra che la città di Alba Longa fu fondata da Ascanio, o Iulo, figlio di Enea, intorno alla metà del XII secolo a.C., qualche tempo dopo la distruzione di Troia, avvenuta secondo gli eruditi antichi nel 1184 a.C. Da Ascanio sarebbe quindi discesa una dinastia di Re albani, fino ad arrivare a Numintore ed Amulio, figli del re Proca. A quel tempo i domini di Alba Longa si estendevano fino al Tevere. Il legittimo erede di Proca era Numitore, ma questi fu scacciato dal fratello Amulio che si impadronì del trono. Una profezia predisse che Amulio sarebbe stato deposto da un discendente di Numintore. Per questa ragione Amulio, dopo aver fatto uccidere, così sembra, i figli maschi del fratello, costrinse Rea Silvia, unica figlia rimasta di Numitore, a diventare vestale, seguace della dea Vesta, a farsi suora in pratica, cosa che comportava automaticamente il voto di castità: in questo modo Numitore non avrebbe più avuto successori legittimi.

Secondo la leggenda tuttavia Rea Silvia partorì i gemelli Romolo e Remo, rimasta incinta del dio Marte, che bisogna avere fede per crederlo, ma spiegherebbe il carattere fumantino dei due. Amulio ordinò che i gemelli venissero uccisi, ma questi furono invece abbandonati nel fiume Tevere e si salvarono, venendo allattati da una lupa. Lupa in latino però significa anche prostituta e non aggiungiamo altro. Divenuti grandi e conosciuta la propria origine, scacciarono Amulio dal trono, restituendolo al nonno Numitore e da questi ottennero il permesso di fondare una nuova città, Roma. Era il 753 a.C.

Dopo la feroce lite di successione tra i fratelli progenitori Amulio e Numintore, anche i gemelli Romolo e Remo, come si vede nell’interessante film “Il primo re”, recitato in latino arcaico e sottotitolato in italiano, si sfidarono in un duello fratricida. “Io sono il mio destino”, dice nel film Remo ma, come si sa, vinse Romolo. Tutti figli di Troia e del Lazio, nonché padri di Roma. E pure questo, insieme ed oltre alla grandezza, spiega tante cose, fra le quali i laziali e i romanisti.

La "trappola di Tucidide". Prende il nome dal già menzionato storico greco che, ne “La guerra del Pelopponeso”, spiega le cause del conflitto che per anni dilaniò la Grecia, dopo la vittoria sui Persiani. Sparta, Atene e tutte le città della Grecia unite insieme, erano riuscite a fermare l'invasione persiana, ma, dopo la vittoria, il prestigio di Atene, che era stata la principale artefice del successo, iniziò a preoccupare Sparta. Troppo forte, questa Atene! Potrebbe insidiare il nostro prestigio, il nostro potere. E così Sparta entrò in guerra contro Atene, una guerra devastante che alla fine vide vittoriosa Sparta. Questo perché, secondo Tucidide, quando due potenze si formano all'interno di un territorio circoscritto, il conflitto diventa inevitabile. Per estensione, oggi si parla di trappola di Tucidide ogni qualvolta una potenza dominante viene a confrontarsi con una emergente. È il caso, ad esempio, della rivalità commerciale tra Stati Uniti e Cina, dove la potenza consolidata teme che quella emergente diventi talmente potente da non poter essere più sconfitta. La trappola di Tucidide, nel mondo globale, sembra scattare in continuazione. Tra l’altro il prezzo della vittoria di Sparta su Atene fu altissimo: Sparta e le città sue alleate, ridotte in miseria e spogliate dei loro giovani. Risultato: alla fine si farà strada Tebe, con buona pace delle rivali. Che più che trappola di Tucidide sembra “tra due litiganti il terzo gode”. Possono sfuggire America e Cina alla trappola? È Chi sarà il terzo che gode dopo USA e Cina? Putin? L’Europa? Magari! Il nazionalsovranismo? Il populismo internazionale? Nessuno? Anche la trappola di Tucidide spiega tante cose, ma speriamo di no, porca di quella troia! Buona domenica e buona fortuna.

Pontedera, 31 Marzo 2019

Libero Venturi

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