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lunedì 14 ottobre 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

​DIZIONARIO MINIMO: Alla lettera

di Libero Venturi - domenica 04 novembre 2018 ore 07:30

Noi pensiamo al lavoro, alle pensioni, alle cose reali per cui gli italiani ci hanno votato; prima gli italiani, la finanza viene dopo, può attendere. Così parlò Salvini, commentando la manovra del governo e le critiche mosse dall’Europa.

«Prima gli italiani» è una frase spesso usata, una parola d’ordine del leghismo sovranista e nazionale varato con successo proprio da Matteo Salvini e molto condivisa. Presa alla lettera, che significa? Nessuno pensa di far venire prima gli svizzeri o, figurarsi, altre “etnie”. Il problema però è sapere chi sono gli italiani, a parte brava gente. Quand’è che uno è italiano? I figli del mio amico Ali che ha sposato un’italiana o i figli del mio amico Beppe che ha sposato una senegalese, nati qui in Italia, sono solo per metà italiani? Hanno meno italianità e diritti dei miei figli, nati da genitori entrambi italiani? E perché? E i figli di due stranieri nati in Italia sono italiani o cosa? È il sangue che decide o il suolo patrio e nazionale? Alla fine non sarà il colore della pelle? No, perché il dubbio resta anche con albanesi e rumeni e loro sono bianchi. Gli italiani non sono mica razzisti! Però, se rimane decisivo il sangue per la nazionalità, stai a vedere che è proprio una questione di razza. Valli a capire questi italiani.

E invece «la finanza viene dopo, può attendere». Peccato, Salvini, che anche il «deficit spending» sia una manovra finanziaria. Cioè, avete basato il bilancio del governo, la spesa sociale e gli investimenti sul deficit. Vuol dire che noi, si fa per dire «noi», emetteremo buoni del tesoro ordinari o pluriennali che investitori, risparmiatori o finanzieri speriamo ci comprimo e a cui per questo saranno corrisposti interessi che è necessario non siano né troppo bassi e quindi poco remunerativi e attrattivi, né troppo alti e quindi speculativi e costosi per lo Stato, tanto meno divengano spazzatura da finire in bancarotta. E vi scagliate contro la finanza, dicendo che viene dopo e che può attendere!? Solo il Paradiso, se c’è, può attendere, la finanza speriamo che non aspetti e venga subito, se no con cosa li finanziamo la manovra e il deficit? Con i fondi di Putin? O di Trump? Di Orban non credo.

E, a proposito, dato che almeno fino alla fine dell’anno esiste ancora il «quantitative easing», cioè la quantità di fondi con cui la Banca Europea immette liquidità e garantisce l’acquisto di titoli di Stato con un tasso bloccato e basso per sottrarli a manovre speculative e aggressive, l’Europa e Draghi, un italiano vero, di madre e padre italiani, anche se parla bene l’inglese, sarebbe meglio tenerceli buoni. E anzi sarebbe bene preoccuparsi perché il mandato di Draghi finisce a fine anno e forse anche le sue politiche di sostegno finanziario.

E invece Mario Draghi non è nelle simpatie governative, nemmeno di Di Maio: «Vedo da alcuni ministri di altri paesi, come quelli tedeschi, molto più rispetto per quello che stiamo facendo che dal capo della Banca centrale europea il quale viene a dire che il clima di tensione in Italia è un problema. Mi meraviglia che un italiano si metta ad avvelenare il clima ulteriormente». Cioè Di Maio si chiede: come è possibile che Draghi, un italiano, alzi i paletti nei confronti dell’Italia?

Di Maio, a parte il fatto che Draghi è il Presidente della Banca Centrale Europea e se ne intende e te, con tutto rispetto, no o, capace, un po’ meno. A parte il fatto che lui non sta lì per aiutare un paese o un altro. Non sarà proprio per il fatto che è italiano e vuol bene all’Italia che esprime preoccupazione sulla nostra situazione, mettendoci in guardia?

Cioè praticamente tutti in Europa, compresi gli amici populisti, destrorsi e sovranisti degli esponenti del nostro governo, criticano la manovra, chiedono correzioni, ci richiamano al rispetto di norme e regolamenti prudenziali, finora condivisi e financo sottoscritti e noi facciamo spallucce e non diciamo «me ne frego», ma il senso è quello. Tanto gran parte del popolo italiano plaude, batte mani e manine: hanno preso alla lettera il rifiuto della politica rigorista. Per i rigori abbiamo già il VAR, cosa vuole ancora Bruxelles?

In Europa del resto ci distinguiamo per il dialogo e le buone maniere: quelle dell’eurodeputato leghista Angelo Ciocca che, durante una conferenza, si è tolto una scarpa e l’ha sbattuta sugli appunti di Pierre Moscovici, il Commissario europeo per gli affari economici, critico sulla manovra italiana. La scarpa è «fatta a Vigevano»: il trionfo del “Made in Italy”! Se per Salvini il modello è Putin al Cremlino, per Ciocca è Krusciov all’Onu. Sarà per questo che strappano voti a sinistra, anche di ex comunisti?

Il deficit previsto rispetto al Pil, il prodotto interno lordo, è del 2,4%, ma gli osservatori economici temono che vada al 2,7% e se il deficit non si riduce l’indice può essere anche maggiore. Che poi non sarebbe così un problema se l’Italia non avesse il secondo debito pubblico più alto del mondo. Insomma quello che, in soldoni, si deve capire è che potrebbero non bastarci i soldini per i nostri figli o nipoti. Ministro dell’Economia è Tria, un ministro minore, perché sembra che a menare la danza sia sopratutto Savona. Il Ministro degli Affari Europei, non euro entusiasta, che ha teorizzato un piano per uscire dall’euro e tornare alla nostra amata liretta, mostrando il lato B all’Europa, niente più che «una Germania circondata da pavidi». Sono parole sue. Paolo Savona ha 82 anni, è del 1936. Siamo nelle ferme mani di un ottuagenario.

Comunque l’idea è che la manovra sia espansiva e si rilanci il Paese tramite flat tax, condoni, prepensionamenti, decreto dignità, sussidi e, sopratutto, una politica di investimenti «senza precedenti nella storia della Repubblica» come assicura Conte. Che sarebbe il Primo Ministro: “primus inter pares”, anche se non pare. E ho letto che qualche economista condivide questa impostazione e critica la rigidità europea.

Ma anche «investimenti senza precedenti» deve essere stato preso alla lettera. Vuol dire che semmai ne faranno solo di nuovi, infatti quelli «precedenti», finanziati e in corso d’opera sono tutti bloccati. Saranno sottoposti all’attenta valutazione costi-benefici dello stralunato Ministro Toninelli. Quindi i cantieri sono al momento tutti fermi, imprese e lavoratori compresi. Forse si farà il gasdotto, la TAP, ma non la TAV, l’alta velocità ferroviaria. A volte cosa vuol dire una consonante! Perché in Italia siamo contro il gas e la pentola a pressione, contro il treno, specie se va veloce. E guardiamo pure con sospetto a gallerie, valichi e perfino gronde, tanto le rondini, si sa, non fanno nemmeno primavera. Basta con queste diavolerie della vecchia politica che è tutto un magna magna e con i falsi miti del progresso e della crescita asserviti alle multinazionali! Però sembra uno strano modo di concepire una politica di investimenti e di rilancio del Paese.

Comunque tutti quelli che parlano in termini finanziari e dicono «term sheet, fee, break-even, mol» e potrebbero più utilmente dire «documento contrattuale, tassa, pareggio, margine operativo lordo», a me stanno sui coglioni. E credo di essere in buona compagnia. Usano termini inglesi o sigle per darsi un tono, per farsi capire da una cerchia ristretta di presunti competenti e non fare intendere una mazza a tutti gli altri che sono i più. Che siamo i più. Anche se «prima viene l’italiano» non va preso alla lettera e le lingue bisogna saperle, perché l’ignoranza non è più una virtù. Quella era l’ubbidienza. Però ciò che dà noia è la forma, la sostanza no. Ad esempio il pareggio di bilancio è bene conoscerlo ed è meglio che ci sia. Invece dopo che le agenzie internazionali di «rating», cioè di classificazione o valutazione, ci hanno pesato, ci hanno misurato e ci hanno trovato mancanti, sul palco Grillo in uno dei suoi irridenti sproloqui ha detto a Di Maio: «Non avrei mai pensato che Luigi in pubblico dicesse di essere contento perché l’outlook è stabile. Ma non ci rompere ‘u cazzu, Luigi!».

Ora a parte il fatto che Luigi sarebbe il Vicepresidente del Consiglio. A parte il fatto che non è nemmeno vero che l’outlook è stabile perché una delle agenzie di rating non ci ha declassato, come l’altra, ma in compenso ha ridotto proprio quello. Si sono divisi i compiti. E a parte ancora il fatto che, invece di «outlook», si potrebbe ugualmente dire «la prospettiva», così tutti capirebbero, ma, scusa Grillo, «‘u cazzu» che indice è? Tradotto in genovese è «belìn»? E se si rompe che succede? Saranno cazzi, ma chissà se capiscono in Europa, quegli ignoranti. Ma tanto non vanno mica presi alla lettera! «Noi ci liberiamo, siamo liberi psicologicamente, non cadete in queste trappole!» ammonisce Grillo, che sarebbe un comico. E infatti è tutto da ridere. Ma sì, chissenefrega! Buona domenica e buona fortuna.

Pontedera, Domenica 4 Novembre

Libero Venturi

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