Biden in Medioriente, nessun addio
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - martedì 19 luglio 2022 ore 08:00
Joe Biden ha concluso la sua missione in Medioriente, tra successi diplomatici e qualche punto di domanda. Non scontato che arrivasse apertamente a dichiarare che gli USA resteranno impegnati nella regione. Nessun addio o disimpegno in stile Afghanistan. Al contrario, l’inquilino della Casa Bianca ha messo in chiaro durante la vista in Arabia Saudita di voler sviluppare maggiore attenzione ad allargare la sicurezza nell’area, integrando quando possibile l’alleanza tra paesi arabi del Golfo ed Israele.
Questa la strategia delineata dal presidente statunitense nel suo primo viaggio ufficiale in questa parte del mondo, dove la contesa vera è con l’Iran prima che con Putin. Per rendere concreto questo piano di contenimento dell’influenza sciita ha però dovuto incassare non poche critiche interne. Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è biasimato internazionalmente per le ripetute violazioni dei diritti umani nel paese: il caso dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi compiuto nel 2018 da sicari sauditi è un pesante atto d’accusa nei confronti di quel regime molto lontano dalla democrazia.
Tuttavia, Biden non nasconde di avere, in questo particolare momento, il fondamentale bisogno dell'aiuto del gigante dell'OPEC. Sostanzialmente per due ragioni: spingere la monarchia saudita a stringere una cooperazione militare con Israele in chiave anti ayatollah e, convincere gli sceicchi ad aumentare l’esportazione di greggio verso l’Europa, per ridurre la dipendenza di gas da Mosca. Obiettivo: stabilizzare i mercati e rendere meno vulnerabili gli stati europei pro Ucraina. Più cooperazione tecnologica (5 e 6 G) e armi quello che il successore di Trump ha messo nel piatto in cambio di posizioni ambigue.
Prima di atterrare nel Golfo aveva fatto tappa in Palestina ed Israele. Gli USA sono un fedele e prezioso alleato dello stato sionista. Dove ha siglato con il primo ministro Yair Lapid la Dichiarazione di Gerusalemme, confermando l’impegno a non permettere all’Iran di acquisire il potenziale bellico nucleare. Tale documento, o manifesto, è l’essenza della visione della Casa Bianca, e del governo israeliano passato e futuro, per il Medioriente: affrontare l’aggressione e le attività destabilizzanti di Teheran. E arginare la sua ramificazione che incorpora: Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, Siria e si estende fino in Yemen.
In questo contesto il pericolo del nucleare iraniano rende tutto maggiormente esplosivo e pericoloso. L’avvicinamento di Mosca a Teheran (via Ankara) disegna un quadro geopolitico in rapido movimento. Da cui continua ad essere tagliata fuori la questione palestinese, sempre più marginale. Biden ha riaffermato il sostegno alla soluzione di due stati, ha promesso aiuti economici (in particolare alle strutture sanitarie per la popolazione araba di Gerusalemme Est). Ma non ha potuto garantire che le annessioni di Territori palestinesi da parte israeliana vengano definitivamente sospese e la fine dell’occupazione militare. Forse oggi il minimo sindacabile. Sicuramente poco.
Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi