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martedì 19 marzo 2024

FAUDA E BALAGAN — il Blog di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

ALFREDO DE GIROLAMO - Dopo un lungo periodo di vita vissuta a Firenze in cui la passione politica è diventata lavoro, sono tornato a vivere a Pisa dove sono cresciuto tra “Pantere”, Fgci, federazione del partito e circoli Arci. Mi occupo di ambiente e Servizi Pubblici Locali a livello regionale e nazionale. Nella mia attività divulgativa ho pubblicato i libri Acqua in mente (2012), Servizi Pubblici Locali (2013), Gino Bartali e i Giusti toscani (2014), Riusi: da rifiuti a risorse! (2014), Giorgio Nissim, una vita al servizio del bene (2016), SosteniAMO l'energia (2018), Da Mogador a Firenze: i Caffaz, viaggio di una famiglia ebrea (2019). ENRICO CATASSI - Storico e criminologo mancato, scrivo reportage per diversi quotidiani online. Svolgo progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo. Curatore del libro In nome di (2007), sono contento di aver contribuito, in piccola parte, ad Hamas pace o guerra? (2005) e Non solo pane (2011). E, ovviamente, alla realizzazione di molte edizioni del Concerto di Natale a Betlemme e Gerusalemme. Gli autori insieme hanno curato i seguenti libri: Gerusalemme ultimo viaggio (2009), Kibbutz 3000 (2011), Israele 2013 (2013), Francesco in Terra Santa (2014). Voci da Israele (2015), Betlemme. La stella della Terra Santa nell'ombra del Medioriente (2017), How close to Bethlehem (2018), Netanyahu re senza trono (2019) e Il Signor Netanyahu (2021).

E se 20 anni fa, Rabin...

di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - lunedì 02 novembre 2015 ore 19:13

Tel Aviv. Sabato sera, lo shabbat è appena terminato. Nella grande piazza dove 20 anni fa veniva assassinato, da un estremista di destra, il primo ministro laburista Yitzhak Rabin è in corso la manifestazione commemorativa per la scomparsa dello statista israeliano e premio Nobel per la pace. Sul palco oltre ai familiari molti politici, l'eterno avversario politico Shimon Peres, l'attuale presidente Reuven Rivlin e Bill Clinton. Intorno l'abbraccio della folla, raccolta in silenzio e commossa. Lo scenario del Medioriente non è molto cambiato dalla morte di Rabin, una morsa di terrore e odio avvolge la Terra Santa. 

Israele è ancora un paese profondamente diviso. “In giornate come questa, nelle quali si ricorda questo straordinario uomo, un introverso, sfacciato, pessimista e amaramente sarcastico combattente per un futuro migliore, che era in grado di parlare con grande emozione, è doveroso per un attimo sognare ciò che sarebbe potuto essere, senza quei tre colpi di pistola alla schiena.” Sono le parole di Yossi Beilin, politico, ministro e stretto collaboratore di Rabin per mandato del quale lavorò segretamente con Abu Mazen ai negoziati di Oslo e poi tra i creatori dell'iniziativa di Ginevra con Yasser Abd Rabbo. 

Se la sera del 4 novembre 1995 Yitzhak Rabin non fosse stato assassinato è l’interrogativo che in questi 20 anni in Israele l'opinione pubblica si è ripetuta più spesso. E a quel se, a quel quesito, lo stesso Beilin non si sottrae all'analisi politica: “Pur essendo ben consapevole che questa è una domanda quasi infantile, ammetto che non posso fare a meno di chiedermi cosa sarebbe successo se Rabin non fosse stato assassinato. La risposta è nulla. Avrebbe potuto continuare a portare avanti l'accordo e dare l’impulso a intensi negoziati... E' possibile che avrebbe portato avanti i colloqui avviati con il presidente siriano Hafez Assad, al fine di raggiungere un accordo su un impegno preso con l'allora segretario di Stato Warren Christopher, che comportava la concessione delle alture del Golan in cambio di garanzie di sicurezza. Avrebbe potuto trasformare le elezioni del novembre 1996 in un referendum su due accordi di pace - con la Palestina e la Siria – raccogliendo i favori del pubblico, vincendo le elezioni.” 

Rabin è una figura che ha attraversato e segnato la storia contemporanea di Israele, protagonista della scenografia politica e militare, qualcuno l'ha definito il migliore soldato che abbia servito nella Guerra d'Indipendenza. La guerra più difficile. La prima a imporre la supremazia militare israeliana su quella del mondo arabo. Quella in cui chi era al suo fianco in quei difficili momenti ricorda come “vittoria insperata e incredibile”. La guerra che ha visto l'ascesa di Rabin prima come soldato e poi da politico: la sua forza era nel suo pensiero, nella sua organizzazione, nella precisione dei dettagli, nell'approccio serio, responsabile, integro e formale. Così lo ricordano in molti che hanno servito sotto il suo comando. A riguardo Beilin scrive: “Su tutto ciò che è stato pronunciato o scritto nel ventesimo anniversario della morte di Rabin, tanti sono stati i “cosa sarebbe successo” se fosse rimasto vivo. Certo, non potremo mai saperlo, e ciascuno di noi si avvicina a questo pensiero dal proprio punto di vista o con le proprie posizioni politiche... 

Le elezioni, previste per il novembre del ’96, erano le prime che prevedevano il voto disgiunto tra il partito politico e il candidato primo ministro. Nel faccia a faccia tra Rabin, il premier allora settantatreenne, e il giovane leader del Likud Benjamin Netanyahu, i sondaggi oscillavano tra il pareggio e il vantaggio per il candidato più giovane, diretta conseguenza di una recrudescenza della violenza palestinese. Pur non escludendo una possibile debacle elettorale, giova ricordare che Rabin aveva dalla sua ancora un altro anno di governo e intendeva prendere misure significative per far cambiare il vento della storia.” Un finale diverso che non verrà mai scritto

Ma torniamo a quel se. “Se non fosse stato ucciso ci sarebbe stata la pace tra israeliani e palestinesi”, ripeteva frequentemente Arafat alle delegazioni internazionali in visita alla Muqata. Il leader palestinese era sulla via del tramonto, alla fine della sua parabola, assediato, prigioniero tra le mura della propria residenza e circondato dai fantasmi dei gravi errori commessi. L'uomo che aveva fatto la storia della causa palestinese e che in quei giorni rischiava di trascinare in un profondo abisso il suo popolo non mancava di guardare a Rabin con “tenerezza”. Arafat era ormai un politico invecchiato, ambiguo, questuante, autoreferenziale e molto sospettoso, ma le parole su Rabin e il trasporto del Rais erano, per una volta, talmente convincenti da non lasciare dubbi sulla sua veridicità. In effetti in questi 20 anni non solo il centro-sinistra israeliano ma gran parte dei leader mondiali hanno dato corpo al processo di mitizzazione di Rabin. 

Nessuno sa che cosa sarebbe successo se Rabin fosse sopravvissuto all'attentato, tuttavia, questi due decenni di fallimenti, di assenza di una trattativa seria e costruttiva, di guerre e Intifade pesano come macigni per la martoriata Terra Santa. La giornalista Melanie Lidman nel suo personale taccuino ha commentato: "Rabin non avrebbe permesso fiumi di sangue nelle strade di Israele. Avrebbe risvegliato l'illusione degli Accordi di Oslo e lavorato a sradicare il terrorismo". Un recente sondaggio commissionato dalla Knesset e pubblicato dal Jerusalem post rileva che il dissenso all'azione del primo ministro Netanyahu cresce tra la popolazione israeliana: il 72% degli intervistati è insoddisfatto delle politiche del Likud per frenare la spirale di violenza. Dal sondaggio comunque si evince che non c'è una alternativa all'attuale premier, anche i candidati dell'opposizione non godono di una diffusa fiducia. L'eredità di Rabin, con i suoi se e i suoi ma, è dispersa, almeno per ora.

Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

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