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martedì 05 novembre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

​La pubblicità è dannosa per i bambini (e per chi non sa decodificarla)

di Adolfo Santoro - sabato 30 settembre 2023 ore 08:00

Siamo al supermercato. Una mamma fa la spesa nel reparto della verdura, ma si accorge che la piccola figlia, Emma, è sparita. La chiama, cammina, allarmata, tra gli scaffali del supermercato e chiede a due giovani donne: “Scusate, avete visto una bambina piccola?”. La vede, infine, nel reparto-frutta davanti al banco delle pesche; la rimprovera (“Emma, ma ti sembra che tu scappi via così!?”); Emma, che ha una pesca in mano, non dà spiegazioni, ma i suoi occhi vanno dalla pesca agli occhi della mamma. Questa continua a rimproverarla con l’indice sollevato da maestrina (“Vuoi una pesca? Va bene, prendiamo una pesca, ma non devi farlo mai più, ok? Andiamo.”). La bambina si accoda, silenziosa, alla madre con un leggero saltello e segue poi con gli occhi le sorti della pesca (che non è stata pesata, né prezzata) sul rotore della cassa tra gli altri prodotti (tutti confezionati in maniera industriale), comprati dalla madre. Segue poi il deposito della spesa nel bagagliaio dell’auto. Durante il tragitto verso casa la madre cerca di recuperare il rapporto (“La maestra mi ha detto che oggi hai fatto un disegno bellissimo, vero?”), ma Emma, guardando ammutolita fuori dal finestrino e vedendo una coppia che è in giro col figlio, sembra molto triste, mentre la madre continua a descrivere il disegno senza aspettare la risposta alla domanda “vero?” (“… le stelle marine, poi c’erano i pesci, un castello tutto verde…”). Chi guarda il filmato può perciò capire che i genitori di Emma sono separati e che lei ne soffre molto. Solo allora la madre si accorge dell’interruzione della comunicazione con la bambina (“Mi stai ascoltando?”). Arrivata a casa la madre, mentre sull’onnipresente televisione scorrono i cartoni animati di Pippo, sembra volersi finalmente occupare della figlia distogliendola dai cartoni animati: le fa il solletico (la bimba ride), fanno ginnastica insieme. In quel mentre c’è una suonata al citofono; un uomo grassoccio e un po’ trasandato, che ha l’aria di essere il papà, fa un cenno alla madre che è andata alla finestra con le labbra strette. Questa poi si gira verso la bambina dicendole: “Emma, c’è papà”. Emma è già accorsa a depositare la pesca nel suo zainetto. La mamma le dice affettuosamente: “Io ti chiamo questa sera, va bene?”; Emma annuisce; si abbracciano. Si vede poi Emma correre nell’androne del portone verso il padre, che è accoccolato con le braccia aperte dicendole “Vieni qui!”. Insieme vanno, mano nella mano, verso l’auto del padre che, anche lui, sembra non ascoltarla (“Tutto bene? Ok.”), mentre la madre li segue, triste, da dietro i vetri della finestra. Il padre fa salire nel sedile posteriore Emma dandole lo zainetto. Poi Emma, con la cintura di sicurezza ben sistemata, fruga nello zainetto; il padre si accoccola a fianco alla macchina e chiede sorridente: “Che fai?”. Emma estrae la pesca e, senza incrociare gli occhi del padre, gli dà la pesca scandendogli una bugia (“Questa te la manda la mamma”). Il padre è meravigliato e guarda trasecolato la pesca (“Me la manda la mamma!?”). Emma, mentre lo guarda pienamente identificata nel ruolo della bugiarda, dice di sì con la testa. Lui, sorridendo, rientra nel ruolo infantile e dice: “Mi piacciono le pesche. Allora, dopo chiamo la mamma per ringraziarla. Ok?”. Emma, contenta degli effetti della sua bugia, dice un “Ok” sommesso. Il padre si alza, dà un’occhiata alla finestra come per rinsaldare il rapporto con la madre, poi va al volante e si gira verso la figlia, che, mentre tormenta un filo, appare soddisfatta. In sovraimpressione compare la scritta “NON C’È UNA SPESA CHE NON SIA IMPORTANTE” (lo è sicuramente per i proprietari del supermercato!).

Che cosa c’è da aggiungere? Che già in uno spot del 1988 un bambino aveva messo nella tasca di un papà-separato un fusillo di una nota marca di pasta e che in uno spot del 2016 un papà-separato fa trovare al figlio, nella sua nuova casa, una cameretta identica a quella della casa dove vive con la mamma: è un ritornello che i pubblicitari sfruttano periodicamente!. L’attore grassoccio del filmato, inoltre, era già stato collaudato: in uno spot di qualche anno fa, quando era più magro, aveva assistito, tra i banconi di un supermercato, ai capricci isterici di suo figlio che pretendeva che gli venissero comprate delle patatine; l’attore aveva allora immaginato la marca del “preservativo” da comprare per evitare altri figli del genere.

È evidente a chi ha senso critico che questi spot sono diseducativi, sia per lo spot in sé, sia per il più generale problema della manipolazione dei bambini da parte della pubblicità. Entrambi i genitori del filmato appaiono disattenti e non mantengono un rapporto autentico con Emma: non approfondiscono le reazioni emotive della bambina e la educano alla bugia lasciandole spazio per fare da tramite tra i genitori attraverso la zuccherosa pesca (in considerazione, forse, che la sensuale mela di Eva ha fallito nella sua funzione). Lo spot è dunque un chiaro rimprovero ai genitori che si separano e che con questo atto egoistico sembrano non accorgersi del dolore arrecato ai figli innocenti.

E questo è vero! La separazione è un atto immaturo da parte di due adulti o presunti tali, che hanno riportato nel loro rapporto di coppia l’infantilismo delle loro scelte adolescenziali. Mentre i genitori devono attraversare la fine del rapporto coniugale (ma l’hanno scelto!), i figli dei separati subiscono il lutto, la cui elaborazione richiede l’attraversamento di cinque fasi, classicamente così distinte: 1) negazione, 2) rabbia, 3) percezione magica, 4) depressione, 5) risoluzione del lutto e visione di nuove prospettive. Le prime tre fasi esprimono i tentativi di evitare il lutto della perdita, la quarta fase esprime la resa al lutto, la quinta l’accettazione del lutto, che apre alla possibilità della risoluzione nel senso che “anche questa è stata un’esperienza che mi ha insegnato e la vita, che è la mia maestra, continua ad insegnarmi”. Se i genitori, come i genitori di Emma, non sostengono il bambino interiormente nel corso della separazione perché troppo impegnati nell’elaborare il proprio lutto, succede che non riconoscano i segni della sofferenza del bambino, che in silenzio e/o tramite “disturbi” comportamentali cerca di esprimere questa sofferenza. Emma sembra trovarsi nella “fase 3) della percezione magica”, in cui la rabbia della fase 2) l’ha portata a sentirsi in colpa per non essere stata capace di dare un senso a questa famiglia; Emma non si dà per vinta e passa alla fase 3): inverte le generazioni, con una bugia si occupa degli pseudo-adulti distratti e si propone nel ruolo nascosto di “paciere”.

Ma l’assenza di sostegno nell’elaborazione del lutto espone al rischio di rimanere impigliati in una fase del lutto e di riportare, anche per tutta la vita, nella relazione con l’Altro le emozioni (di negazione, di rabbia o di magia) non elaborate: lo “pseudo-Sé” si sostituisce così al “vero-Sé”, per cui il bambino, se non sostenuto, rischia di identificarsi con la maschera dello “pseudo-Sé” e col “normale malumore” ad essa connesso. Deve sperare di incontrare, nella realtà, un Altro, che lo sostenga e lo aiuti a riconnettersi con il suo “Vero-Sé”, quello che è innocente e che non ha niente a che fare con i drammi o le tragedie del mondo condiviso.

Se il filmato di questo spot fosse stato mostrato solo a genitori che stanno separandosi, avrebbe avuto un alto valore educativo. Ma, se viene mostrato ad adulti-bambini che facilmente si identificano con il “normale malumore” provato da Emma (come la Meloni o i vari “esperti privi di esperienza” interpellati o la stragrande maggioranza degli italiani), il giudizio di costoro è poco obiettivo, perché guidato, probabilmente, da un analogo abuso emotivo da parte dei loro genitori e dalle stesse emozioni non ancora elaborate. Questi “adulti emotivamente bambini” rischiano in silenzio di identificarsi con le emozioni irrisolte di Emma e col loro sentirsi abbandonati a se stessi ed esposti al riattivarsi di emozioni sepolte nell’inconscio. Le emozioni diventano così motore di schieramenti moralistici o ideologici e di posizioni di bassa politica. E la bassa politica si occupa di utilizzare come “propaganda” anche questo spot, mentre si dovrebbe eventualmente occupare - ma probabilmente lo ignora - del nodo centrale: gli abusi della propaganda e della pubblicità (che continuano a promettere cose evidentemente false) ed, in particolare, l’abuso dei bambini nella propaganda commerciale. Roberto Fico, politico di ben altra levatura, aveva dichiarato, quando faceva parte della Vigilanza Rai: “Basta ipocrisie, ogni pubblicità è una manipolazione”. A questa dichiarazione un pubblicitario aveva risposto che quella di Fico era “una battaglia di retroguardia”: le agenzie pubblicitarie si erano, già da tempo, accorte dell’importanza dei bambini sia come consumatori (le merendine-spazzatura, ad esempio, non avrebbero mercato senza la promozione pubblicitaria), sia come attori negli spot pubblicitari: in questo caso la pubblicità serve come “cavallo di Troia” per inculcare nei bambini un modello da imitare. È il “Nag Factor” (Fattore Assillo), una tecnica che riconosce nei bambini “una tavoletta di cera” su cui incidere, in modo che impongano al genitore l’acquisto della marca del prodotto inculcata nelle loro menti.

Lo sperimentiamo quotidianamente: la propaganda e la pubblicità continuano ad avere la meglio.

Sfugge a chi è alienato da se stesso, agli “pseudo-Adulti”, la complessità della relazionalità coniugale e intergenerazionale. Le Agenzie educative (Famiglia d’origine, Scuola, Gruppo di amici, Cultura di appartenenza) dovrebbero preparare e sostenere il bambino/ragazzo/giovane in via di formazione.

Ma come i genitori possono difendersi dal “Nag Factor”, dall’assillo pubblicitario dei loro figli, trattati come target dalla pubblicità? Come le strutture educative possono essere fattori di crescita - e non ostacoli – verso la consapevolezza e la scelta responsabile?

L’unico modo è che genitori e/o Scuola (che sappiano decodificare la manipolazione dei media) sostengano il bambino/ragazzo/giovane favorendo lo sviluppo della critica responsabile nell’esplorazione dei mondi del consumo passivo proposti da TV e social… in modo che sia appresa la decodifica dei messaggi.

Ma esistono Famiglie o Scuole in cui si possa apprendere a diventare critici e responsabili? Chi, inoltre, dovrebbe formare quelli che dovrebbero formare? I pubblicitari?! … ma mi faccia il piacere, diceva Totò!

Adolfo Santoro

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