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martedì 19 marzo 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

​Il ritardo dell’uomo nel mentalizzare

di Adolfo Santoro - sabato 03 dicembre 2022 ore 08:00

In ambito psicoterapico si intende per “mentalizzazione” la capacità di “tenere a mente la mente”, cioè di riflettere e di comprendere il proprio stato d’animo per avere un'idea di ciò che si sente e perché lo si sente. Avere presente la propria mente significa saper immaginare la complessità della vita, che include anche la rappresentazione della mente degli altri come soggetti simili a noi, per cui percepiamo ed interpretiamo i comportamenti nostri e quelli degli altri come il risultato di stati mentali interni ed intenzionali (bisogni, obiettivi, desideri, credenze, aspettative, sentimenti).

Questa funzione si sviluppa nel bambino attraverso l’interazione con gli adulti che si prendono cura di lui ed inizia con la mentalizzazione delle emozioni: il neonato ha bisogno che i suoi segnali comunicativi, che esprimono stati emotivi interni ancora indefiniti, siano rispecchiati e definiti da chi si prende cura di lui. Una madre che percepisce il pianto del suo bambino, ad esempio, può immaginare cosa significhi quel pianto e quindi riconoscere lo stato in cui il bambino si trova; ne consegue che si attiva e fa qualcosa per rispondere al segnale di dolore del bambino. La mentalizzazione include, pertanto, oltre all’immaginazione, anche la conseguente esecuzione di quanto è stato immaginato. Essa è la base della regolazione affettiva della coppia genitore-bambino ed è anche la base dello sviluppo della relazionalità. Attraverso il rispecchiamento emotivo, l’attenzione condivisa e l’interazione educativa il genitore aiuta il bambino a formarsi gradualmente un sé interiore e a rappresentarsi nel proprio inconscio come agente intenzionale, dotato di sentimenti e di pensieri propri. Il bambino diventa così gradualmente capace di percepire come significativo e prevedibile l’universo relazionale; sviluppa così la capacità di rispondere alla complessità della vita sociale.

A dire il vero, il processo di mentalizzazione inizia già nel genitore che desidera di avere un bambino e continua durante la gravidanza e nel parto. Dopo la nascita il bambino gradualmente sviluppa in sé, all’interno del rapporto di accudimento con un adulto, una “teoria della mente” attraverso alcuni precursori. Verso i 6 mesi, ad esempio, mostra un oggetto con l’intenzione di condividere l’attenzione dell’altro su quell’oggetto. Dagli otto mesi il bambino è capace di dirigere lo sguardo della madre su un oggetto, a cui sta prestando la propria attenzione e può divenire consapevole della differente rappresentazione che ne hanno lui e la madre. A 9 mesi segue lo sguardo della madre per individuare e osservare l’oggetto dell’attenzione della madre (capacità di condividere l’attenzione tramite lo sguardo). A 18 mesi sa giocare in modo simbolico e sa fingere. A 24 mesi manifesta il pensiero narrativo per poi “imparare” a dire le bugie. Verso i quattro anni, il bambino comincia a capire che le azioni delle persone sono causate dalle loro credenze. La capacità di attribuire stati mentali intenzionali a se stessi e gli altri, di perfezionare la “teoria della mente”, non si sviluppa prima dei 4 anni di età.

Avere una teoria della mente non rigida ed un attaccamento sicuro verso i genitori, che siano per il bambino una base sicura, sono i requisiti fondamentali per sviluppare nella vita adulta un senso di responsabilità adeguato verso i cambiamenti del mondo, il cui progresso si è talmente accelerato da divenire caotico.

L’uomo sembra inadeguato a gestire un cambiamento pericoloso da lui stesso provocato: in considerazione dei tentativi fallimentari delle Istituzioni a livello planetario di governare le risoluzioni del Global Warming, ci si può accorgere del ritardo nella capacità di mentalizzare da parte di tutte le istituzioni (dall’Onu agli stati, agli individui). Ci si può anche accorgere che il ritardo mentale è stato trasmesso di generazione in generazione. Questo ritardo trova un corrispettivo in una cultura ferma a modalità del 1800, che non sa ragionare nel senso della sostenibilità della Vita sulla Terra per le future generazioni: le Istituzioni e gli individui, quand’anche siano intellettualmente consapevoli – almeno nell’effimero momento - dell’urgenza delle cose, non sono coerenti con tale urgenza e si dimenticano di quello che i seri scienziati di tutto il mondo stanno prevedendo. Con lo stile di vita attuale, infatti, ci siamo già addentrati in cambiamenti irreversibili (come lo scioglimento dei ghiacci polari, cui conseguono fin da ora eventi climatici estremi e il cambiamento delle stagioni) e ci stiamo avviando verso il mancato rispetto dell’obiettivo individuato nella Cop21 di Parigi del 2015, nel corso della quale i governi concordarono di mantenere il riscaldamento globale entro +1,5°C rispetto all’epoca pre-industriale. Le previsioni degli scienziati, che si sono sempre più tecnicamente affinate, ci informano, inoltre, che il trend attuale dell’aumento delle temperature ci porterebbe ad un + 2,4-2,6°C entro la fine del secolo, il che significa fenomeni catastrofici già entro i prossimi cinque anni (con tre miliardi di uomini condannati a vivere in ambienti invivibili e con il conseguente fenomeno delle migrazioni).

Una visione “aperta”, all’interno della Complessità e della Teoria Generale dei Sistemi, mostra la necessità di dirigere l’attenzione verso una Transizione Ecologica Interiore. Lo stato attuale del Ritardo Mentale si riflette in tre ambiti (rottura del patto sacro con la Natura, prevalenza del “maschile che preda” sul “femminile che condivide”, prevalenza del conflitto/guerra sulla pace), che condizionano il processo degli altri Sottosistemi. Ne deriva la necessità di ragionare contestualmente su questi tre sottosistemi.

Se questo Ritardo Mentale “generazionale” è presente in tutte le Istituzioni mondiali, anche le Istituzioni elbane non ne sono esenti. Il cambiamento urgente dipende da coloro che detengono attualmente il potere nelle Istituzioni, che hanno bisogno di sviluppare una consapevolezza non solo intellettuale, ma anche operativa, della necessità di una Transizione Ecologica, che trova nel rapporto tra Istituzione-Scuola e Soggetti territoriali un nodo fondamentale nella costruzione di una società sostenibile.

Adolfo Santoro

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