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lunedì 02 dicembre 2024

PSICO-COSE — il Blog di Federica Giusti

Federica Giusti

Laureata in Psicologia nel 2009, si specializza in Psicoterapia Sistemico-Relazionale nel 2016 presso il CSAPR di Prato e dal 2011 lavora come libera professionista. Curiosa e interessata a ciò che le accade intorno, ha da sempre la passione della narrazione da una parte, e della lettura dall’altra. Si definisce amante del mare, delle passeggiate, degli animali… e, ovviamente, della psicologia!

​Quello che alle mamme non dicono

di Federica Giusti - venerdì 12 luglio 2024 ore 08:30

Mi capita spesso di lavorare con donne che diventano madri e quasi sempre nella stanza di terapia vengono espressi vissuti di vergogna, inadeguatezza, colpa. E’ del tutto normale e fisiologico dopo una gravidanza e quando si ha a che fare per quasi tutta la giornata con un esserino che dipende dalla mamma.

Ma una quota parte di queste emozioni potrebbero, a mio avviso, essere annullate se alle madri venisse narrata la verità legata alla maternità, ossia la sua intrinseca ambivalenza.

Anche nelle situazioni in cui un figlio lo si è ardentemente desiderato, può capitare, anzi, capita di sentirsi sopraffatte. La stanchezza, l’idea di scontrarsi con la realtà oggettiva relativa al cambiamento importante della vita della donna e della coppia, mettono a dura prova tutto il sistema familiare. I bambini sono bellissimi ma sono anche estremamente complicati. Dobbiamo prenderci le misure e non è detto che lo si faccia in una condizione psicofisica ottimale, anzi. Spesso il corpo e la mente della mamma ma anche del babbo, sono davvero affaticati. E quindi è normale attraversare pensieri bui, nei quali magari si accarezza l’idea di ciò che era prima e lo si fa con malinconia.

L’istinto materno viene descritto, erroneamente, come un dato di fatto che si attiva immediatamente alla stessa maniera in ogni donna, e che porta la madre ad amare il figlio sempre e comunque con un’intensità massima, senza sentire la fatica, senza provare rabbia, senza potersi lamentare di niente legato alla condizione. Ma non è così. L’ossitocina riveste un ruolo fondamentale nel far sì che la donna si prenda cura affettivamente e nella pratica del figlio, ma per far sì che si attivi quell’amore ci può voler del tempo, e questo non fa essere la madre sbagliata o meno capace.

Accettare l’ambivalenza che è insita in ognuno di noi, quindi anche nelle donne che diventano madri, può alleggerire un po' da quei sensi di colpa che spuntano come funghi dopo la pioggia nelle donne che sentono narrazioni di totale perfezione della diade madre-figlio.

Nessuna donna è inadatta nella misura in cui fa ciò che sente di fare in scienza e coscienza nei confronti del figlio e, quindi, di sé stessa.

Non smetterò mai di portare come esempio il fatto che sugli aerei, quando gli addetti alla sicurezza ci spiegano le varie manovre in caso di emergenza, la prima cosa che dicono a chi ha con sé minori o persone non autosufficienti, è di indossare per primi la maschera dell’ossigeno e il salvagente e solo dopo farlo indossare ai bambini. Perché un adulto che non si salva non può tutelare un bambino.

E una donna che dimentica di essere donna, vive alla ricerca dell’immagine e dello stereotipo di donna-uguale-madre e madre-uguale-donna-felicissima sempre e comunque, e questo non le permetterà di vivere serenamente il nuovo arrivo.

E se vi va di leggere un romanzo interessante, vi suggerisco Quello che le mamme non dicono di Santamaria.

Perché essere madri non significa non sentire la pesantezza della condizione.

Federica Giusti

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