Ma c’è davvero bisogno di combattenti?
di Federica Giusti - venerdì 13 gennaio 2023 ore 08:00
Se prendiamo in considerazione solo l’ultimo mese, abbiamo assistito a numerosi lutti, anche “vip”, oltre, inutile dirlo, relativi a persone più o meno vicine a noi.
L’ultimo famoso, al momento in cui scrivo, è Gianluca Vialli.
Persone giovani che se ne sono andate presto, troppo presto, a causa di malattie ancora troppo aggressive.
E, leggendo i vari commenti sui social, sempre più spesso leggo frasi come “Ha perso la sua lotta contro la malattia”, “Forza guerriero, combatti, non mollare!”, “È riuscito a vincere la guerra contro la patologia X”. E mi chiedo: perché abbiamo così bisogno di combattenti?
In questa logica simil bellica sembra che chi vive sia più forte e più in gamba di chi perisce. Ma, ahimè, non dipende da quanto siamo attaccati alla vita. Non solo almeno. Può capitare, purtroppo, che la malattia con cui si ha a che fare, sia così potente da non lasciare scampo. Ci sono situazioni nelle quali l’unica cosa che rimane da fare è accogliere la propria condizione di irreversibilità nel modo più dignitoso e più libero possibile. Senza sentire il peso del giudizio di qualcuno che vede nella morte l’idea di non aver combattuto o di aver, comunque, mollato.
Combatte anche chi se ne va, se proprio abbiamo necessità di usare termini bellici, combatte chi è appeso ad un filo, e magari lo fa con tutto se stesso, ma, molto banalmente, ha di fronte qualcosa più grande di lui.
E chi resta grazie alle cure, ai progressi della medicina, alla fortuna di una diagnosi precoce magari, al medico giusto al momento giusto, non è migliore di chi se ne va, ha avuto per fortuna direi, un destino diverso. Merita, ovviamente, la nostra gioia e merita che la sua tenacia sia sottolineata ed apprezzata, in alcuni casi anche presa come esempio. Ma la stessa cosa vale per chi, alla fine, se ne va, perché non è detto che non sia stato altrettanto tenace e forte.
Sarà che è un tema che mi tocca anche da vicino, ma ho visto persone affrontare malattie a testa alta, provando con tutte sè stesse ad uscirne vive per poi capire che non era possibile e non mi va che passino per coloro che hanno smesso di combattere.
E, parafrasando Ungaretti, è proprio di fronte alla morte che siamo così attaccati alla vita, ma non sempre, purtroppo, è sufficiente.
Federica Giusti