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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Il conforto

di Marco Celati - martedì 01 maggio 2018 ore 10:47

È un’età questa che ci si guarda indietro e stasera, che il cuore mi pesa, penso alla vita, a come è stato fin qui e i pensieri mi inseguono e le parole a volte vengono, a volte no e qualche volta una canzone. È allora che penso a noi. Volevo scriverti da tanto, volevo dirti che mi dispiace e chissà quante altre cose ancora, ma non l’ho fatto. Non l’ho fatto mai. Le parole vanno sapute usare. A volte si parla per parlare e si scrive così, per buttare nero su bianco. Meglio i giapponesi con i loro ideogrammi, che la scrittura è bella, anche soltanto a vedersi. Invece il tempo è passato e non sono stato di conforto per te. Ora avrai il cuore e la testa altrove e io continuo ad amarti a modo mio e provo devozione.

Quando sono partito c’era sempre la guerra, stava per finire, ma anche nella coda aveva il suo veleno. Dopo l’otto settembre sono andato partigiano. Che partigiano sono parole grosse. Sono stato alla macchia, mi sono aggregato alle formazioni di Giustizia e Libertà per non partire soldato o finire nei campi in Germania. Eravamo in tanti, giovanissimi e anch’io ho fatto la staffetta, partecipato ad azioni. Non mi va di parlarne. Meno male è finita, era una vita grama. In pace, poi, l’Italia è rinata, ma speravamo meglio. La mia storia si è offuscata e non solo la mia. Sono stato comunista. Oggi non si sa più a chi credere. Lasciamo perdere, ormai è acqua passata. Sono tempi lontani e speriamo non tornino mai.

Ho fatto e lasciato tanti lavori, come succede con le cose della vita, come avevo fatto con gli studi. I ragazzi sono grandi, sposati, amano, lavorano, stanno al mondo come si deve. Sono nonno. Non sono stato di conforto a nessuno, nemmeno a me e con nessuno, nemmeno con Dio, ho fatto pace. Forse neanche con me o forse sì. Perché ero stanco di prendermi in giro o troppo sul serio. Non si sa mai quanto essere leggeri o pesanti, quando c’è di mezzo la vita. Si fanno cose giuste, insieme a cose sbagliate. Sono stato anche all’estero, a lavorare. Le prime torri eoliche, sul mare del nord. Quando ero lassù in cima, vedevo quel mare grigio e sentivo il vento freddo che soffia sulle pianure d’Europa e pensavo al mio Paese, al mare azzurro, ai venti miti. E quando tornavo a casa pensavo alle solitudini e alla luce bassa delle pianure d’Europa. Ero già vecchio. Sono stato inquieto, come tanti di questi tempi piatti e inquieti.

Mi sarebbe di conforto sapere che stai bene in qualche chissàddove o chissàquando. Vorrebbe dire che il tempo non tutto invano è trascorso e così noi. Quei viaggi, quelle foto in posa per lasciarci un ricordo migliore. Migliore di noi. Di me di sicuro. Vengo male in fotografia e spesso mi chiedo se è così che mi vedevi, che ci vede la gente. Non ho mai imparato a sorridere. A comando, voglio dire, nemmeno quando avevo una bocca più presentabile. Così sembro una figurina triste. Non che non lo sia. Ma di un po’ di spirito dispongo. Avrei voluto farti ridere, avrei dovuto. Forse avrei potuto. Ci piacciono le persone così, che ci mettono allegria e ci fanno stare bene o meglio di come si sta. In fondo è questo che conta, poi ognuno se la cava da sé.

Con qualche amico a volte ci si sente, quando ci va di ricordare o bere. I ricordi a volte sono un conforto, a volte no. Bere non saprei. Beni non ne ho, andrò via come sono venuto, ma alla fine va bene così. Meno pensieri. Mi dispiace solo di non lasciare niente, di non essere di aiuto. Anche questo sarebbe stato un conforto, ma non possiedo alcunché e ormai non ci posso fare nulla. E anche a pensarci prima, chissà se l’avrei fatto, se ne fossi stato capace. Ho provato solo ad esistere presso di me e dintorni. E c’è stato un tempo che i dintorni si sono molto allargati, comprendendo società ed amori.

Abbiamo appena saltato il duemila. Sono anni che sarebbe ora di andare. La speranza di vita è passata da un po’. Ho un’età che le notti si allungano ed è già tanto pisciare ogni mattino che viene. Sapeste il sollievo! No, non bisogna buttarsi giù, lamentarsi più di tanto. Ho una pensione minima e mi arrangio come posso. Mi spiace solo questa cosa del conforto. Avrei dovuto scriverti da tanto e non l’ho fatto. Volevo dirti che io avrei bisogno di te. Volevo dirti tante cose. Anche solo ricordarsi quel tramonto sul lago che sembrava un dipinto giapponese o quella volta della minestrina che scuoceva, mentre la radio trasmetteva una canzonetta dolce e stavamo abbracciati. C’era più fame e voglia e forse anche amore. Ho nostalgia di noi. Ma non ho più posto per i ricordi. A volte scrivo, non a volte, troppo, sarebbe meglio leggessi di più. E a volte mi viene da cantare, anche se non ho una bella voce come te e sono stonato. Ma forse scrivo e canto ancora di te. Anche se non credo ti piaccia come scrivo o come canto. Chissà, scusa, è solo per conforto.

Marco Celati

Pontedera, 25 Aprile 2018

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Questo raccontino, al solito lamentoso e intimista, è stato ispirato da due belle canzoni, contenute nell’album «Maeba» di Mina, «Volevo scriverti da tanto» e «’A minestrina» cantata da Mina e Paolo Conte. Potete ascoltarle in rete o su Spotify. Senza pagare, se non volete. La musica è di tutti, mi disse un compagno scomparso che voleva “sfondare” a un concerto Jazz che costava un bel po’ di soldi. Glielo impedii e chissà che non avesse ragione. Il dipinto è dell’autore, che non è nemmeno giapponese.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati