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domenica 26 ottobre 2025

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Lettera al sultano

di Marco Celati - domenica 26 ottobre 2025 ore 07:00

AL GRANDE KAHAN ABDUL-HAMID II

Sultano dellImpero e Califfo dellIslam

Custode delle due Sacre Moschee

Sublime Stato Ottomano

Affari Interni

Signore del mondo,

Le scrivo come sempre il mio rapporto da questo isolato avamposto, lontano da Costantinopoli, in cui, anni fa, sono stato inviato. Perdoni l’ardire di questo umile servitore e Suo diligente informatore, che è molto più di ciò che gli occidentali, volgari e infedeli, chiamano "spia”. Allah è grande e misericordioso, lui solo sa cosa alberga nell’animo umano: io eseguo il mio compito per una paga modesta. Lavoro come se non dovessi morire e prego come fossi prossimo alla morte. La mia vita è nelle mani di Dio, come nelle Sue, mio potente Signore.

I nemici dell’Impero sono sempre più aggressivi e arroganti. Non circondano più la nostra Fortezza né sono solo miraggi, ombre del deserto, frutto dei nostri timori o pregiudizi. Sono ormai fra noi, entro le nostre mura, sotto mentite o palesi spoglie. Le grandi potenze, gli europei sopratutto: inglesi, tedeschi. Francesi e italiani anche. Perfino americani e russi. Conosco le loro lingue, sto ancora cercando prove certe, ma si dice che cospirino e fomentino rivolte della popolazione locale: i greci qui, arabi, slavi e armeni altrove. E li armino nei paesi che furono loro.

Soltanto a Voi e a Dio posso confessare una mia debolezza, sperando di non essere punito, come forse meriterei. Ho seguito la mia fede, la mia patria e insieme l’amore. Non sempre sono stato o mi sono sentito corrisposto, ma chiedo venia per questo ardire blasfemo. Oggi, in questa stanca stagione che ha già vendemmiato, attendo un sole superstite e inatteso, forse improbabile, senza eccessiva speranza. E tutta la mia vita è come un’amarissima e dolcissima agonia. E vagabonda è la felicità.

Chiedo scusa per queste divagazioni personali e private che al Vostro cospetto suoneranno inutili e insulse e torno a riferirVi che la situazione degenera. Lo vedo e lo sento. E mi duole anche dire, ma altrimenti non sarei un valido informatore, che le autorità locali da Voi inviate e preposte, non sono così sottomesse e ligie al Vostro alto comando. Peccano di immoralità levantina negli affari e nella condotta del potere. Anche sua eccellenza, il Pascià. E le scarse truppe, fiacche ed ostili, non sono da meno. Tutto quanto fa perdere autorità al nostro sacro Impero di Turchi Ottomani. Giunge perfino ad oscurare il Vostro santo nome. I nostri rappresentanti non sono ben visti e denunce e rivolte non sono infrequenti.

Gli stranieri nelle sale d’albergo e nel locali d’intrattenimento mostrano un palese distacco, quasi un odio cortese che ci offende e ci irride. Si permettono addirittura di sparlare delle Vostre ventitré consorti e ventuno tra figli e figlie. Dicono, e offro la mia testa per quanto sto per riferire, che l’Impero è al tramonto e decadrà. Si dissolverà e loro si spartiranno resti e ricchezze del suolo. Che la rivolta dei “Giovani turchi”, di cui quaggiù non arriva che una pallida eco, mina le basi dell’Impero che chiamano impunemente “il grande malato”. Dicono anche che il celebre diamante blu di cui siete diventato proprietario, ad onta del suo nome “Hope”, speranza, sia maledetto e fonte di sciagura. Affermano infine, e non si capisce se sono tracotanti, felici o spaventati per questo, che una grande guerra è prossima nel mondo e scompaginerà gli imperi, liberando nazioni.

Alcuni mi consigliano, quando non m’ingiungono, di lasciare tutto e andarmene da qui, ma non voglio farlo, Signore, e non lo farò. Mi sembrerebbe viltà e poi non saprei dove andare. In questo avamposto dell’Impero ho trascorso la mia esistenza solitaria, dopo l’ansia della gioventù e dell’amore, dedito al dovere e all’obbedienza. Anche se sento che questo Autunno che è arrivato non è solo una stagione, ma il crepuscolo della vita e delle cose. Non sono altro da qui. Non ho altro che qui.

In questo lasso di tempo che, a detta di molti, precede il declino e che non è più il mio tempo, la mia fede rimane incrollabile. Talora dubbiosa, ma incrollabile. Chi siamo noi per frapporci al volere di Allah? Sarà ciò che Dio vuole e annuncia il Profeta e Vostra Altezza, il Califfo dell’Islam, rappresenta qui in terra.

Mio Signore, io non so se queste missive, che temo siano le ultime, saranno lette o archiviate. Gli informatori sono tanti, vasta è la rete e tutto forse non può essere ascoltato. Non giunge a Voi. Non so nemmeno, che Allah mi protegga e perdoni, se ciò che sento corrisponde al vero o proviene dalla stanchezza del Vostro ormai anziano e fiaccato funzionario. In fondo spero di sbagliarmi e che il mio sia solo un pessimismo dell’anima, volto al peggio e alla morte.

Questo antico sole d’Ottobre splende più raro sulle vigne, ormai saccheggiate. Mi chiedo se sia valsa la vita, quel che volemmo o fu imposto. Se un amore dimenticato vive ancora e ci attende. Siamo alba e tramonto. Siamo infinito in un verso, cose piccole e grandi. E viceversa. Gli eventi minuti che compongono il tempo e scorrono insieme. Come tutto. Cronaca e storia distinte che s’incontrano a volte. Questa, alla fine, è la mia risposta. Del resto non so che sarà. Preferisco non chiedere per quanto ancora o quando, prendendo in considerazione la possibilità che vivere abbia una ragione, un senso, mentre chiedo scusa alle grandi domande, per le piccole risposte che ho dato.

E, nel porgerLe i più deferenti saluti, chiedo umilmente perdono innanzitutto a Lei, Signore del mondo, ombra di Dio sulla terra. O mio potente Sultano.

Basil Pascali

Isola di Nisi, Egeo 1909

P.S. Per una serie di fortunose e inenarrabili contingenze e vicissitudini sono entrato in possesso di questa lettera, inviata al Sultano turco nel lontano 1909 dal sig. Basil Pascali. Si tratta di una copia. Loriginale sembra sia conservato tra le carte della mitica Biblioteca di Babele”. Di essa colpisce una frase di grande suggestione evocativa: la potente invocazione finale. Stranamente la ricordavo, senza però rammentarne l’origine che, alla fine, mi è tornata in mente, come succede spesso al riaffiorare della memoria. Lettera e invocazione facevano parte di un film bello e dimenticato, visto anni fa, di cui avevano ispirato la trama. Non senza difficoltà ne ho rintracciato, in rete, il dvd. Si tratta del film Lisola di Pascali” con Ben Kingsley, Helen Mirren e Charles Dance, uscito nel 1988. Rinvenirlo è stata una gioia, come ritrovare un vecchio amico o un oggetto caro e perduto.

Purtroppo la copia della lettera a me giunta, se non apocrifa, è sicuramente rimaneggiata ex post da qualche anonimo estensore. Non si possono infatti non notare riferimenti posteriori rispetto alla data di origine, nemmeno tanto vaghi, al Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, nonché il saccheggiamento delle poesie Ottobre” di Vincenzo Cardarelli e anche Possibilità” e Sotto una piccola stella” di Wislawa Szymborska.

Mi pare comunque che, oltre ad esprimere sentimenti accorati sulla crepuscolare caducità delle cose, la lettera e le circostanze descritte dal testo si adattino, in qualche modo, agli instabili e tristi tempi di guerra che viviamo o ne siano in parte origine. Così mi sono limitato semplicemente a trascriverla, sperando potesse essere una buona lettura.

Pontedera, Ottobre 2025

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati